GLI UNDICI DIPINTI IMPERDIBILI DEL MUSEO CIVICO DI
PALAZZO CHIERICATI – VICENZA
OTTAVO IMPERDIBILE: FRANCESCO CAIRO
Erodiade con la testa del Battista
FRANCESCO CAIRO – Erodiade con la testa del Battista
“Quello dell’Erodiade dové essere tema addirittura interno a Francesco: scritto nel suo sangue” osserva con particolare partecipazione emotiva Giovanni Testori. La versione custodita dal 1834 nelle collezioni pubbliche e poi in Palazzo Chiericati, grazie al lascito di Carlo Vicentini dal Giglio – proprietario di una assai rinomata fabbrica di ceramiche “ad uso inglese”, situata in borgo Santa Croce – si ritiene sia stata dipinta in anni successivi alle versioni di Torino e di New York e prima della tela di Boston.
Fu Roberto Longhi, nel 1922, a indicarla come opera di Francesco Cairo (1607-1665). In precedenza la tela era attribuita a Morazzone, autore, peraltro, che l’artista guardò attentamente negli anni della formazione. Cairo, infatti, assieme a Cerano, a Procaccini a Tanzio da Varallo e a Morazzone, appunto, è stato tra i massimi pittori lombardi del Seicento. Questo, nonostante la lunga permanenza nella corte Sabauda, a Torino. La sua vena si caratterizzò per il diffuso patetismo, per le atmosfere ottenebrate da umori visionari e per la capacità di evidenziare elementi tra loro contrastanti. Infatti, da ombre nere e sovrapposte nascono bagliori spesso innaturali, accentuati dal suo sentire interiore. Così come convivono ferocia e delicatezza, peccato e pentimento. Egli riuscì a rielaborare in forma molto personale la lezione di Caravaggio, la cui opera ebbe modo di osservare anche a Roma, dove si recò nel 1637-38.
Erodiade con la testa del Battista: questa di Vicenza, è una tra le prove più significative dell’intera produzione di Cairo, dipinta a metà degli anni ’30: quella che ci appare è una figura in deliquio, col collo reclinato, sola, abbandonata persino dal demone che ne ha guidato la collera.
Un impasto tra religiosità e mito, il tema è stato fonte di ispirazione nei secoli per moltissimi artisti, da Tiziano a Odilon Redon. Ne parla Matteo nel suo Vangelo, ma l’episodio pare essere modellato e lentamente modificato dal tempo: Erodiade abbandona il marito e va a convivere col fratello di questo, Erode Antipa. Comportamento condannato pubblicamente da Giovanni Battista. Erode allora lo fa imprigionare, evitando però di giustiziarlo. Il seguito lo conosciamo: invaghitosi anche di Salomé, la figlia di Erodiade, durante una festa le promise che se avesse ballato per lui (la celebre danza dei sette veli), avrebbe esaudito ogni suo desiderio. Da qui la decapitazione del Battista, presentato poi su un piatto d’argento, con uno spillone conficcato con crudeltà nella lingua.
Nel dipinto di Cairo, Erodiade appare esausta, stremata, trascinata negli abissi da una corrente interiore. Quasi che il pittore avesse messo in conto che nel 1893 Oscar Wilde avrebbe dato alla vicenda una versione differente, secondo la quale Salomé diviene l’amante di Erode, mentre Erodiade si innamora follemente di Giovanni Battista, che però la respinge. Sarà dunque questo, per lei, l’unico modo di possedere il suo corpo. “Poesia nera e tragica, una delle punte estreme, veramente a fil di lama, di cui la storia dell’arte disponga” scrive ancora Testori, che a questo tema dedicò un monologo teatrale nel 1967, poi trasformato in opera nel 1984, con il titolo Erodiàs
L’immagine che ora vediamo, dopo essersi addentrata nelle zone meno esplorate dell’animo, riemerge con la forza poetica che solo l’arte può restituire.
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