GLI UNDICI DIPINTI IMPERDIBILI DEL MUSEO CIVICO DI
PALAZZO CHIERICATI – VICENZA
SETTIMO IMPERDIBILE: ANTOON VAN DICK
Le Quattro età dell’uomo
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ANTOON VAN DICK – Le Quattro età dell’uomo
Dicono che non fosse molto alto di statura, ma grazie al suo portamento e ai lineamenti gradevoli del viso riuscì ad intenerire molti cuori. Dicono anche che fosse di salute cagionevole, ma non si risparmiò e visse intensamente. Quando nacque, nel 1599 ad Anversa, un altro pittore, in quella città, era già celebre: Rubens, tanto che, l’anno successivo, poco più che ventenne, firmò un prestigioso contratto con i Gonzaga, a Mantova. Se per altri artisti sarebbe stato difficile far valere le proprie qualità, stabilendo una posizione autonoma all’interno di quel medesimo solco, così non fu per Van Dick.
A quattordici anni dipinge già come un adulto, a sedici lavora in proprio. A quel punto, Rubens si accorge di lui e lo convince ad entrare nella sua bottega. “Il mio miglior discepolo” affermerà. Potrebbe sembrare un passo indietro, invece, grazie ad un fiuto infallibile, egli coglie l’opportunità di porsi sulla scia del maestro. Poi l’Inghilterra, quindi, subito dopo in Italia, dal 1621 al 1627. Inizia da Genova, ovviamente, dove Rubens ha lavorato molto. Mercanti, banchieri, uomini di scienza e di cultura. Non finisce mai di stupire la quantità di ritratti che riuscì a farsi commissionare. Dirà di lui Bellori: “Risplendeva in ricco portamento di abiti e di divise, per natura elevato e desideroso di farsi illustre, si adornava il capo di penne e di cintigli, portava collane d’oro attraversate al petto, con seguito di servitori. Sicché, imitando la pompa di Zeusi, tirava a sé gli occhi di ciascuno”.
Venezia, Roma, Milano, Mantova Firenze Bologna. Arriva sino a Palermo e vi rimane più di un anno. Durante il periodo italiano, prima cioè di rientrare nella sua terra, senza peraltro frenare l’indole di viaggiatore (morirà a Londra nel 1641, dopo aver influenzato in modo decisivo la pittura inglese), dipinse uno dei suoi quadri più intensi: Le quattro età dell’uomo giunto a Palazzo Chiericati nel 1826, grazie al prezioso lascito di Paolina Porto Godi. Tela sopravissuta ad antichi ed indelicati restauri.
Tema, quello dello scorrere del tempo, che ritroviamo in noi, attorno a noi e, di conseguenza, in pittura: da Giorgione a Friedrich, da Tiziano a Klimt. In questo quadro le figure scandiscono con sapiente armonia un ritmo narrativo fatto di toni, di luci e di ombre. Sulla sinistra, in basso, un fanciullo riposa tranquillo. La luce non lo disturba, ne avvolge anzi le speranze. A lui pare rivolgersi, indicandolo col dito, senza più luci né speranze, un’anziana figura, colta di profilo. Per quanto, è assai più probabile che la sua attenzione, inseguendo altri pensieri, sia puntata verso qualcosa che appare solo all’interno della memoria. Una seconda figura maschile è collocata al centro della composizione: l’impressione è che sia arrivata appositamente per farsi ritrarre, dopo una lunga assenza. E’ un uomo nella pienezza delle sue forze. Dall’espressione del volto si capisce che è abituato a trattenere interiormente le emozioni, infatti, ne restituisce solo una minima parte nei riflessi della corazza. Mostra di appoggiarsi ad un bastone, ma si vede bene che potrebbe farne a meno: è forse la prova di una recente fatica. Alla sua destra, emergendo dall’oscurità che la circonda, una giovane figura femminile trasmette e invoca dolcezza, guardando quell’uomo che la intimorisce e, al contempo, la attrae. Tiene in grembo delle rose e con la mano destra gliene porge alcune, andando a sfiorare con i petali delicati l’impenetrabile armatura. E’ una delle pagine più concentrate e sincere che Van Dick ci ha lasciato.
Silvio Lacasella