GLI UNDICI DIPINTI IMPERDIBILI DEL MUSEO CIVICO DI
PALAZZO CHIERICATI – VICENZA
SESTO IMPERDIBILE: JACOPO TINTORETTO
Sant’Agostino risana gli sciancati
JACOPO TINTORETTO – Sant’Agostino risana gli sciancati
Difficile convincersi che uno dei pittori dotati di maggiore vigore, vitalità, fertilità creativa, qual è stato Tintoretto (1519-1594), non si sia mai mosso da Venezia, per rimanere arrampicato sempre e solo all’interno delle proprie enormi tele, come un ragno pronto a catturare ogni tipo di suggestione: Tiziano, naturalmente, l’eterno rivale; ma anche Pordenone, Veronese, la pittura toscana, quella emiliana. Veloce, sempre più veloce, a costo di sfaldare la forma, senza badare alle critiche. Pietro Aretino: “E beato il nome vostro, se reduceste la prestezza del fatto in pazienza del fare”; Giorgio Vasari: “Se non avesse tirato via di pratica, sarebbe stato uno dei maggiori pittori che avesse mai avuto Venezia”. Più di tanto, non avrebbe fatto caso neppure ai taglienti giudizi di Roberto Longhi, allorché, nel 1946, con sottile piacere, lo definisce “genio soffocato dalla facilità” oppure “Greco senz’anima”, per arrivare ad augurargli “una discesa di molti gradini nella scala dei valori”.
Per lui, rallentare il passo avrebbe significato modificare un’essenziale condizione interiore. E’ una sorta di Pollock del Cinquecento. Molto amato anche da De Pisis, da Vedova, da Kiefer, artisti legati al gesto non ripetibile. Non è azzardato dire che molto si perde di Tintoretto se, all’interno del pensiero, si sbarrano le porte all’arte contemporanea.
“Granelo de pevere” e “praticon de man” probabilmente lo fu, grazie al furore creativo e ad un vastissimo campionario di astuzie tecniche. Astuzia e furbizia non sono, però, caratteristiche sovrapponibili. Infatti, non vi era in Tintoretto la volontà di cercare facili scorciatoie, era una corsa contro il tempo, una condizione essenziale ed “esistenziale”. Sartre, proprio per questo, lo ha amato molto, dedicando alla sua pittura pagine importanti.
La pala vicentina Sant’Agostino risana gli sciancati, giunta al Museo nel 1826, era stata direttamente commissionata a Tintoretto dalla famiglia Porto Godi verso la fine degli anni ’40, col proposito di collocarla nella chiesa di San Michele, a Vicenza (distrutta nel 1812). Il Santo appare improvvisamente in cielo, sopra agli ammalati, tenuto sospeso da una luce divina. Un chiarore che si riverbera su tutta la scena, evidenziandone le note più drammatiche, ma anche infondendo speranza nell’animo sconsolato dei pellegrini diretti a Roma.
Sbiadita dal tempo e da indelicati interventi. Ridipinta. Poi, ancora, resa monocroma nel 1975, quando si decise di raschiare il colore nei punti sbagliati. Quindi, alla vigilia della grande mostra di Madrid, nel 2007, nuovamente restaurata e riaccesa nei toni.
Per datare la tela del Chiericati è utile osservare le molte analogie con San Rocco risana gli appestati del 1549, alle pareti dell’omonima chiesa veneziana: medesimo sviluppo prospettico, con le linee convergenti verso un punto centrale. Simile la collocazione dei corpi dolenti, con torsioni e avvitamenti michelangioleschi, osservati probabilmente da Tintoretto nei disegni e nei calchi in gesso giunti in laguna grazie a Daniele da Volterra. Diversa è l’ambientazione: la scena vicentina è “girata” in esterno. A quel tempo, l’artista andava costruendo dei modelli in creta o in gesso, rivestendoli di “cenci”, per poi inserirli in piccoli teatrini: illuminati a “lume di lucerna”, in modo da studiarne le ombre e la prospettiva, oppure li sospendeva “co’ fili alle travature per osservare gli effetti che facevano veduti all’insù”. Così deve aver fatto anche per Sant’Agostino.
Silvio Lacasella
Interessantissima la riflessione sull’irreperibilità del gesto come unicità di espressione creativa, tanto più se messa in relazione con il canovaccio tecnico dell’arte che conosceva la bottega non l’avanguardia. Grazie.
La scrittura, anche la più descrittiva, mantiene al suo interno, sempre, una serie di semplificazioni. Credo sia così per tutto ciò che non ha a che fare con i numeri. Lo dico perché il “gesto irripetibile”, in effetti, è presente anche in pittori dalla cadenza lenta e minuziosissima. Una brocca di Vermeer o una veduta di Canaletto contengono una serie di riflessi e piccoli gesti irripetibili. Il fatto è che per alcuni pittori l’immediatezza trasmette una condizione interiore, fatta di buche e di saliscendi vertiginosi. La vera sfida è superare questi ostacoli, trattenendoli però all’interno dell’immagine. Prendiamo un artista come Mondrian (tra i massimi esempi della costruzione mentale), non è che, di volta in volta, non si metta in gioco, però dipinge per verificare la validità delle sue intuizioni. Se il dipinto non funziona, non è colpa della qualità della pittura. Tutt’altra cosa è per Tintoretto e per quelli come lui. Essi trovano (o perdono) quasi tutto strada facendo. Vabbeh… mi sono dilungato, forse per chiarire anche a me stesso. Grazie
Mondrian? Mondrian? La perfezione orientale di un unico gesto che custodisce il caos? Vabbeh, lo metto in conto questo commento, ma nel mio lato opposto del mio credo mondriano.
I maestri calligrafi sono i custodi del gesto non ripetibile. E’ la perfezione orientale… ecc. ecc. Mondrian quel gesto può riproporlo (nella tela), anche se giunge da un pensiero irripetibile