nicolò quirico
” Ma ciò che rendeva prezioso a Kublai ogni fatto o notizia riferito dal suo inarticolato informatore era lo spazio che restava loro intorno, un vuoto non riempito di parole. Le descrizioni di città visitate da Marco Polo avevano questa dote: che ci si poteva girare in mezzo col pensiero, perdercisi, fermarsi a prendere il fresco, o scappare via di corsa”- Italo Calvino, Le città invisibili
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Di quale sostanza siano veramente fatte le città non è detto saperlo. Chi pensa che siano fatte di vetro ferro e cemento, o pietra e mattoni, dimentica cosa abbia realmente smosso quintali di materia e materiali, maestranze imprenditori e banche, gente da ogni regione e addirittura da altri territori oltre confine. Si dimentica che le città sono recinti dove si installano i sognatori, gente che utilizza le parole, principalmente le parole, non solo fatica e sudore. Per questo le città sembrano tutte crescere dalla stessa zolla e si sollevano verso lo stesso sole. Sono, come nota Nicolò Quirico, Palazzi di Parole e forse prestando attenzione a ciascuna di esse forse, forse, si potrebbe raccattare qualche brandello di risposta, impigliato qui e là alla radice di un’isola, pedonale naturalmente, al semaforo di una strada ancora non rimosso dopo l’avvento delle rotonde che rendono fluidi i traffici, di parole certamente, da un polo ad un altro. Crescono in manifesti isolati, palazzi che si autopubblicano, che dichiarano il pezzo, di cielo e di terra in cui insistono, e mettono suoni dai balconi, parodie di parolerie, rumori dal fondo delle fondazioni, sussurri tra i terrazzi, ricordi legati alle ringhiere, medaglioni di imprese leggendarie, tutte le morti e le rinascite in milioni di milioni di individui tutti uguali e tutte diversi.
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Una vita intrecciata tra porte e inferriate, recinzioni e parapetti, barriere architettoniche che schiudono orizzonti alternativi, alternati alla nostra fretta, di vivere, magari anche nella carta soltanto ma vivere, in un continuo andare e venire, in un continuo mutare di luci e penombre di palazzi di epoche diverse, e di diverso stile, palazzi in cataste di parole accatastate spesso uniformi, di una trama inquieta, di un tessuto non urbano ma interiore dove lo sguardo si attarda e ripercorre da ieri fino a questo oggi tutto un futuro spendibile, accessibile o cedibile alla capacità dell’artista di vedere attraverso e di sognare l’oltre, disegnandone un corpo, traendone materia di storia, che scorre come un’acqua delle mille e mille vite che in essa si tuffano, vita presente come vita passata sostanza tutta umana compressa nella bibliografia di ogni facciata, costruendo spaccati di assonometrie vocali, dentro la pietra e il cemento, rappreso nel ferro di una struttura che testimonia lo scorrere nel tempo di un uomo dalle tante facce e da un volto soltanto.
“Lo sguardo percorre le vie come pagine scritte: la città dice tutto quello che devi pensare, ti fa ripetere il suo discorso, e mentre credi di visitare Tamara non fai che registrare i nomi con cui essa definisce se stessa e tutte le sue parti” (I.Calvino, Le città invisibili)
E’ un viaggio ed è un miraggio che sempre si ripropone ad ogni nostro incrocio con lo sconosciuto che lanciamo innanzi a noi e ad ogni sguardo riprendiamo, in noi, in un viaggio in cui perdersi per trovare ciò che forse siamo e soprattutto ciò che non siamo, immersi in una esistenza che è coniugazione del verbo vivere mentre al futuro non facciamo che coniugare la morte.
Veevera
nicolò quirico
A proposito dell’autore-
Nicolò Quirico si occupa di comunicazione visiva ed editoria dal 1985, da quando si è diplomato a pieni voti all’Istituto Statale d’Arte di Monza. Con due compagni di classe ha inventato la ricerca degli gnomi, un’iniziativa che oltre a raccogliere l’interesse di media e aziende ha dato vita a una serie di libri per bambini (I Cercagnomi). Dal 1996 al 2004 si occupa dell’organizzazione del Premio Morlotti di Imbersago e intanto si dedica alle sue ricerche fotografiche, partendo dal mezzo fotografico per creare installazioni di matrice concettuale. Ne nascono raffinati incontri tra immaginazione e memoria, tra storia e fantasia, tra le quali la mostra itinerante dedicata al fiume Adda e il Bestiario dell’ora blu, pubblicato sulla rivista Il fotografo. È tra gli artisti scelti dallo storico dell’arte Simona Bartolena per Qui, già, oltre – l’arte in Brianza dal 1950 a oggi, un progetto articolato in mostre, conferenze e un libro per Silvana Editore.
Tra le sue recenti esposizioni: Bormio pietre di carta (una serie di mostre in spazi pubblici e privati della Lombardia), una personale allo Spazio Polifemo -Fabbrica del vapore- a Milano e un progetto Site-specific per un grande Resort fiorentino. Ha vinto la seconda edizione del Premio nazionale organizzato dalla Fondazione Vittorio e Piero Alinari di Firenze Fotografare il territorio.
Nel 2011 è tra i finalisti del premio internazionale 125° CAS Ticino e Città di Lugano.
Il progetto fotografico Palazzi di Parole è uno dei vincitori della Rassegna di fotografia contemporanea Confini n.10 e del Premio Ora 2013.
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Riferimento in rete: http://www.quirico.com/bormio.html
Mi piace anche ricordare un pezzo di Fernanda Ferraresso di cui la città è appunto il tema, il corpo di un atlante dai segni omessi, così lei lo chiama, apparso pochi giorni fa in Cartesensibili, anche se si tratta di una scrittura piuttosto datata. Lascio il link per chi volesse leggerlo, è un modo di guardare la città diverso. https://cartesensibili.wordpress.com/2014/01/01/nelle-terre-di-mezzo-abita-la-vita-e/
i libri a formare architetture, le parole a creare case
un movimento reciproco dove tutto è contenuto e contenente
una proposta nuova, interessante
grazie a te Vee