duomo- battistero, padova
Padova nel Trecento è terra di passaggio di grandi artisti, che qui trovano grandiose opportunità di lavoro. Il secolo si apre con gli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni, destinati a segnare il punto di svolta verso una pittura moderna e rivolta al “vero”. Gli anni Trenta del Trecento vedono Guariento impegnato nella decorazione ad affresco della Reggia Carraresi su commissione di Ubertino da Carrara: stile gotico temperato già dall’eleganza “cortese”, evidente nelle velature delle tinte pastello, nella preziosità dei particolari delle vesti, nell’atmosfera un po’sognante e nelle pose mosse delle figure. Nella Sala dei Giganti Altichiero da Zevio e Ottaviano da Brescia realizzano una serie di ritratti, purtroppo perduti ( l’unico superstite, quello di “Petrarca nello studio”, realizzato da Altichiero), forse ispirati al De viris illustribus di Petrarca, alla Cronaca carrarese, al De principibus Carrariensibus di Pier Paolo Vergerio, secondo una precisa rispondenza tra arti figurative e fonti letterarie tipica dell’arte di corte. Ancora Guariento, dopo la metà del secolo, dipinge nella chiesa degli Eremitani un Giudizio Universale, le storie della Passione di Cristo, Episodi della vita di san Jacopo e Guglielmo d’Aquitania e il ciclo delle storie di Sant’Agostino e di San Filippo, dimostrando un’attenta meditazione sul ciclo giottesco degli Scrovegni, evidente nella sensibilità spaziale, nella complessità dello spazio architettonico, nell’espressività e nel movimento dei personaggi. La Basilica di Sant’Antonio è per tutto il secolo un cantiere artistico di prim’ordine: dopo al presenza di Giotto (di cui forse restano, unica testimonianza di un complesso ciclo decorativo, le figure di sante ancora visibili nel sottarco della prima cappella a destra nel tornacoro, un tempo cappella gentilizia degli Scrovegni), si ricordano “Le storie stupende con figure che sembrano vive dipinte nella cappella di Sant’Antonio” dipinte da Stefano da Ferrara nel 1350, e i successivi interventi di Giusto de’ Menabuoi, Jacopo Avanzi e Altichiero (cappella di San Giacomo). La superba prova data da Altichiero fu probabilmente il motivo di un’importante commissione da parte degli stessi committenti della cappella di San Giacomo (Lupi di Soragna), la decorazione della cappella funeraria di famiglia a pochi passi dal sagrato della basilica, l’Oratorio di San Giorgio, portato a compimento entro il 1384, una vera e propria sfida alla cappella dell’Arena e al grande Giotto ottant’anni dopo.
Nella prima metà degli anni Settanta Giusto de’Menabuoi fu incaricato di decorare il battistero del duomo di Padova dalla nobile Fina Buzzacarini, che intendeva fare dell’edificio un mausoleo per sé e per il marito, Francesco da’ Carrara. Sebbene non si conoscano con certezza gli estremi cronologici dell’intervento dell’artista, è probabile che nel 1378, anno della morte di Fina, i lavori fossero terminati. Nel testamento della committente, che indica esplicitamente il battistero come suo luogo di sepoltura, non si fa infatti alcun riferimento alla decorazione pittorica o alle spese sostenute per essa: ciò lascia supporre che all’epoca il pittore avesse già completato l’opera. Nella complessa partitura degli affreschi si articolano Scene dell’Antico e del Nuovo Testamento.
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battistero del duomo
La cupola ospita una raffigurazione del Paradiso composta da schiere di angeli e beati, accostati e quasi indistinti, disposti in cerchi concentrici che si allineano con ritmo regolare attorno all’iride centrale con il Cristo Pantocrator e alla mandorla con la Vergine, con effetti di tridimensionalità quasi prospettica. Nel tamburo che sostiene la cupola sono invece illustrati episodi tratti dai primi 37 capitoli del libro della Genesi; mentre sulle vele trovano posto gli Evangelisti e otto Profeti. Sulle pareti si snodano, scandite in riquadri, le Storie di Maria, di Giovanni Battista e del Cristo e completano il ciclo le Scene dell’Apocalisse nell’absidiola e, sulla parete opposta, la Madonna col Bambino in trono e santi, vero e proprio dipinto votivo in cui viene ritratta Fina Buzzacarini in adorazione della Vergine. Con buona probabilità, inoltre, la committente è riconoscibile anche in uno dei personaggi femminili raffigurati nella scena della Nascita del Battista. Del resto, le storie parietali sono costellate di figure dalle fisionomie non convenzionali, che ritraggono verosimilmente membri dell’entourage dei Carraresi. La grandiosa decorazione, dislocata praticamente su ogni superficie disponibile, si caratterizza sul piano stilistico principalmente per due elementi: la qualità assai raffinata del colore e la costante ricerca di verosimili soluzioni spaziali nella composizione soprattutto degli interni, seguendo in questo l’importante precedente di Giotto dell’inizio del secolo. Quanto alle soluzioni cromatiche, le pitture parietali del battistero esibiscono una pregevole ricchezza delle tonalità e una chiara trasparenza delle tinte, che contribuiscono a impreziosire l’effetto ornamentale dell’apparato figurativo nel suo insieme.
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battistero del duomo– padova
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Dal punto di vista della rappresentazione dello spazio, le pareti, in particolare, presentano una sequenza di riuscite invenzioni nella definizione degli ambienti entro i quali si svolge la narrazione per immagini, con una quasi sempre razionale proporzione tra figure e architetture, ottenendo generalmente risultati di calibrata distribuzione dei personaggi nei riquadri e di discreto realismo nella figurazione della profondità, spesso accentuata dagli scorci dei pavimenti e degli elementi architettonici, come nel caso dell’Annunciazione, posta al di sopra del già ricordato «dipinto votivo». In rapporto a quest’ultimo punto, in particolare, risulta significativa l’idea più volte impiegata (per esempio: Zaccaria al tempio, Imposizione del nome al Battista, Presentazione della testa del Battista a Erode, Cristo fra i dottori, Cristo davanti a Pilato) delle arcate che scandiscono i piani dello spazio architettonico, generando una serie di efficaci illusionismi rafforzati anche dalle diverse figure rappresentate in scorcio. Nel complesso, comunque, l’impresa del Menabuoi presenta una maniera decisamente personale, segnata, soprattutto per quanto riguarda le figure, da formule in certa misura arcaizzanti rispetto alle tendenze che si andavano affermando nel contesto della coeva cultura figurativa padovana. Egli propone nel battistero un ventaglio di soluzioni più legate alla tradizione e lo si riscontra agevolmente, per esempio, proprio nella figurazione dei corpi, caratterizzati da una solida volumetria di evidente estrazione giottesca, ma dalle forme tendenzialmente semplificate, ridotte non di rado all’essenzialità di strutture geometriche, echeggiata anche nei panneggi, in genere abbastanza«statici». Il singolare arcaismo stilistico si manifesta del resto, oltre che nella schematicità dell’impaginato di molte storie, nella rappresentazione stereotipata dei volti dei personaggi di contorno, che risulta essere piuttosto monotona specie se confrontata con il vasto repertorio di Altichiero da Zevio, attestato a Padova, e delle espressioni, qualificate da una ricorrente fissità. Inoltre, negli episodi in cui il Menabuoi dovette cimentarsi con l’interazione di nutriti gruppi di personaggi (per esempio, nella Strage degli Innocenti o nella monumentale Crocifissione), l’allestimento appare debole in confronto a quello messo in scena dagli illustri colleghi operanti presso la basilica di S. Antonio, perché realizzato ammassando semplicemente le figure piuttosto che coordinandone i rapporti di spazio e movimento, con un ragionamento per accumulo finalizzato a esiti più ornamentali che narrativi.
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battistero- il fonte
Nel contesto della decorazione del battistero il Menabuoi realizzò anche un polittico a quattro registri sovrapposti, raffigurante la Madonna col Bambino in trono al centro, Storie del Battista negli scomparti laterali, Santi in quelli superiori e nella predella, in cui sono presenti anche sei figure di Beati; a completare la decorazione, l’artista dipinse il Battesimo di Cristo e la Pietà, rispettivamente al di sopra e al di sotto della tavola principale. L’opera, collocata sull’altare del mausoleo di Fina e Francesco il Vecchio, è databile agli stessi anni degli affreschi e ripropone, nelle scene narrative, molte composizioni già utilizzate sulle pareti dell’edificio, sia pure semplificate e adattate a uno spazio figurativo ridotto. L’innovazione temperata dalla tradizione, dunque, una pittura che vuole mantenere il gusto prezioso dell’antico senza rinunciare alle conquiste di spazialità introdotte dalla rivoluzione giottesca, adottata senza arrivare agli esiti di estremo realismo tipicamente giotteschi. Ne è un esempio la scena del Battesimo: la figura di Cristo si trova al centro, sull’asse della composizione – un riquadro rettangolare delimitato superiormente da una cornice a motivi floreali e geometrici – sormontata dalla figura di Dio Padre all’interno di un medaglione di luce bianca, dalla colomba in scorcio che simboleggia lo Spirito Santo e dalla ciotola tenuta dal Battista. L’acqua del fiume Giordano è vista in sezione e non tocca il corpo di Cristo che appare sovrapposto al blu scuro del fiume e all’azzurro del cielo e messo in risalto dal contrasto cromatico. Due profili di roccia aguzza chiudono come due quinte simmetriche la scena, con le figure di due apostoli che reggono gli abiti di Cristo a sinistra, un apostolo e il Battista sulla destra. La luce, proveniente dalla figura di Dio, crea effetti plastici sull’anatomia del corpo nudo di Cristo e sui panneggi delle vesti, dai colori brillanti e luminosi. E’ evidente il debito nei confronti di Giotto (Cappella degli Scrovegni), anche se il Menabuoi semplifica le forme dei corpi geometrizzandole, è meno analitico nella rappresentazione anatomica, più statico e meno espressivo nella resa dei volti...
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giusto de menabuoi -battesimo di Cristo
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Nella scena del Battesimo di Cristo Giotto aveva saputo rendere in maniera molto più abile e suggestiva l’effetto della trasparenza dell’acqua sul corpo di Cristo, laddove il Menabuoi ripiega su una soluzione più semplice ma anche più stereotipata, limitandosi agli effetti di trasparenza del perizoma dipinto a tempera in sovrapposizione all’affresco. Le aureole sono realizzate applicando sull’intonaco la foglia d’oro.
Raffaella Terribile
ogni tanto, guardando la configurazione della mia città e i tesori che in essa sono raccolti, trovo meno pesante viverci, ora che tutto sembra così lontano da quel viaggio dentro uno scrigno cosmico che gli artisti ricordano nelle loro opere e così ben ricostruite da Raffaella Terribile.
un bel viaggio e aspetto di tornarci per poter ritrovare scene e sensazioni che Raffaella ci invita a cogliere
un caro saluto
elina
ti aspettiamo sì, ti aspettiamo, ci saranno tante attività per le quali incontrarci- f
un intervento raffinatissimo e colto. Padova, poi, è da visitare e rivisitare…
Da rivisitare, ancora.
Grazie
… un bel viaggiare con presentazioni così approfondite.
un saluto
.marta
Brava Raffaella, è importante ricordarci ogni tanto che viviamo in una città che per secoli, e fino ancora a una cinquantina di anni fa era uno scrigno di cultura, eccellenze, bellezza. Trovare il tempo di ritrovare quella ricchezza nel degrado e nella becera realtà di oggi è una lezione di sopravvivenza.
Quanto al giudizio su Giusto, io devo dire che per me è assolutamente positivo. Lo amo moltissimo, lo trovo “vero”, forte, ricco di una potenza vitale sanguigna, meno paludato e astratto dei pur giganteschi colleghi e perciò più vicino. Quella Strage degli Innocenti è talmente straziante che ho sempre pensato che Giusto abbia visto qualcosa che l’ha ispirato. Un abbraccio grandissimo