berit hildre
.
Questa breve introduzione apre e modula appena la profondità della nota di Francesco Sassetto sulla decostruzione dello stereotipo Poesia. Il suo scritto, apre la via ad un’indagine sullo uso dello stereotipo come “unico orizzonte di proposta del consumismo di massa” (S. Hassel) per introdurre il concetto di ribellione culturale e sociale attraverso l’analisi e il fermo del pensiero sulla lettura delle cose, così finalmente arrivato in questi tempi, in cui si avverte la necessità di creare una storiografia depurata dalle comodità del “non pensiero”. La nota àncora la lettura critica della Poesia e del poeta, il cerchio orfico di contenuto e sostanza all’infinito (perché senza poesia non c’è poeta ma senza poeta non c’è poesia, e quindi un principio sacro, di esistenza dell’uno nell’altro). “Capire perché proprio sulla poesia – molto più che sulle altre arti – la riduzione ad inaccettabili stereotipi abbia agito con tanta virulenza e si sia andata consolidando un’immagine sociale sostanzialmente negativa ed errata della figura del poeta non è facile, e tuttavia si possono tentare alcune spiegazioni”. Una nota quella di Francesco Sassetto come un necessario spartiacque sul confronto nell’oggi fra la pseudopoesia e la Poesia. O più che un raffronto, un’indagine critica sulla destrutturazione dello stereotipo Poesia. Perché è l’accidia intellettuale che consente la creazione di danni alla conoscenza e successivamente l’impoverimento dello spazio culturale nella stessa identità del sociale, che conseguentemente produce e mantiene in memoria la faciloneria dello stereotipo come unico bagaglio culturale (di massa). E’ un danno di disprezzo culturale – in assoluto e in relativo – ogni stereotipo, perché lo stereotipo è semplificazione dell’irreale a danno della verità interpretativa, eppure esso appare il mezzo conoscitivo più diffuso in ogni tempo , e nemmeno in spazi così aperti di fruizione culturale come i nostri, si va oltre esso. Per giungere alla verità (che già di per se ha nelle sue connotazioni l’utopia dell’universale) si dovrebbe entrare nello spazio della funzionalità dell’analisi, della ragione o dell’intuizione e di tutto il bagaglio di processi cognitivi che ognuno porta nel proprio metabolismo logico. Il creare con il pensiero il mondo attraverso la verità delle cose: il giusto opposto dello stereotipo. Spiegazioni lucidissime e concrete quelle di Sassetto: buona lettura.
Meth Sambiase
.
berit hildre
Tra equivoci e stereotipi: l’immagine del poeta nella società contemporanea- Francesco Sassetto
In un’epoca in cui le varie forme della comunicazione massmediatica hanno fatto dello stereotipo, della semplificazione schematica e mistificatoria di ogni aspetto della realtà odierna (dalla cronaca alla politica, dalla cultura alle arti e allo spettacolo) lo strumento principale di interpretazione/giudizio su eventi e fenomeni contemporanei, banalizzandoli e svuotandoli della loro complessa problematicità, non meraviglia certo che anche l’immagine di chi si dedica alla scrittura poetica appaia notevolmente distorta.
Capire perché proprio sulla poesia – molto più che sulle altre arti – la riduzione ad inaccettabili stereotipi abbia agito con tanta virulenza e si sia andata consolidando un’immagine sociale sostanzialmente negativa ed errata della figura del poeta non è facile, e tuttavia si possono tentare alcune spiegazioni.
Innanzitutto, l’idea diffusa che scrivere poesie sia un’attività facile, alla portata di tutti: bastano carta e penna – l’aveva già detto Montale, ironicamente – buoni sentimenti, qualche “bella” similitudine, delle rime baciate, un buon manipolo di aggettivi, e il gioco è fatto. E, naturalmente, un tema decisamente “poetico” come l’amore (possibilmente le pene d’amore), i ricordi del “buon tempo andato”, gli affetti familiari, la vita, il destino, le stagioni, insomma tutto l’armamentario del poetichese più melenso, retorico ed autoreferenziale. Non si pensa affatto che la scrittura poetica richieda preparazione, conoscenze, anni di letture e riletture, una ricerca lunga e impegnativa di uno stile ed un linguaggio personale, insomma, che sia necessario acquisire e possedere una cultura poetica. Mentre, per le altre arti, ciò è dato per scontato. E’ per tutti naturale, ad esempio, che chi si accinge a suonare il pianoforte o vuole dedicarsi alla pittura od alla danza classica, debba impadronirsi, in anni di studio e di esercizio continuo, di un robusto bagaglio tecnico ed adeguate conoscenze per giungere a buoni risultati. Per la poesia no. Per scrivere poesia basta un’assai malintesa “ispirazione” e, appunto, carta e penna.
Va detto che tale convinzione sulla “facilità” della poesia è stata purtroppo, negli ultimi decenni, favorita e alimentata da Internet e, in particolare, dai social network che, se ospitano anche ottimi componimenti, vengono tuttavia quotidianamente invasi da una valanga di stupidaggini “poetiche” proprio a causa della libertà di ciascun utente di scrivere ciò che vuole. Ciò non avviene nei blog o nelle riviste letterarie online a cui si accede attraverso gestori e redazioni che vagliano e selezionano i testi degni di pubblicazione, ma nei social network questo filtro non c’è e, dunque, poesie, o meglio non-poesie, a iosa. E ciò non può che rafforzare l’erronea e larga convinzione che la scrittura poetica sia attività accessibile a tutti e quasi sempre gratificante.
A sfavore di una più equa visione del poeta e dello scrivere poesia gioca poi anche una lunga tradizione scolastica che ha spesso relegato la poesia in un angolo, dedicandole un’attenzione modesta e superficiale – per carità, esistono eccome insegnanti appassionati e sensibili al fascino della scrittura poetica, che cercano di trasmettere ai loro studenti – ma mi sembra che nella scuola sia prevalso un comportamento tendente ad una rapida liquidazione della poesia, che ha contribuito ad una cristallizzazione dell’immagine del poeta in nefaste “etichette” perpetuatesi per generazioni, e ben vive anche oggi. Le figure di tanti poeti – antichi, moderni e contemporanei – si sono così incancrenite in formule definitorie generalmente negative e fuorvianti, divenute poi comuni e meccanicamente ripetute. Abbiamo cosi, nell’immaginario collettivo italiano, Dante “padre della lingua italiana”, Leopardi “pessimista” perché “gobbo” e “infelice”, D’Annunzio “poeta.soldato”, per non dire dei poeti “pazzi” da Campana alla Merini, i poeti suicidi come Pavese, gli omosessuali come Penna, Pasolini o Bellezza e l’elenco potrebbe continuare a lungo.
Ancor più triste che quest’immagine, a dir poco riduttiva e stereotipata, sia ripresa anche da un’editoria molto più attenta al mercato che alla diffusione di una conoscenza reale delle opere dei poeti. Assistiamo così ad operazioni editoriali assai discutibili come la pubblicazione di numerose “raccolte” (in coincidenza con il giorno di San Valentino e in ricorrenze analoghe) di poesie d’amore di Hikmet e Neruda, presentati, appunto, come poeti d’amore – quando la maggior parte della loro produzione è di carattere politico, sociale e civile – in un’ulteriore semplificazione che ha come unico fine la vendita di un prodotto culturalmente scorretto, ma facilmente fruibile da un ampio numero di acquirenti. Così si perpetua il meccanismo già visto: non interessa l’opera poetica nella sua interezza e complessità, ciò che importa è poter accedere alla poesia con facilità, leggerezza e un sostanziale disinteresse.
Si è detto prima dell’immagine sostanzialmente negativa del poeta di memoria scolastica che non può che riproporsi e ricadere anche sul poeta contemporaneo, vivente, conosciuto da amici, parenti, colleghi di lavoro, immerso negli ambienti della normale vita quotidiana. Generalmente viene avvertito come uno “strambo” dedito ad un’attività che non è un lavoro e, soprattutto, non fa guadagnare (nella stragrande maggioranza dei casi, come ben sappiamo, ma nemmeno Montale viveva con la vendita dei suoi libri di poesia!). Già questo, in un tempo in cui tutto viene misurato sull’acquisizione di denaro e di beni materiali – non colloca certo il poeta in una luce favorevole: egli appare ai più uno sfaccendato dedito ad un passatempo, un gioco enigmistico-combinatorio che non richiede particolare impegno né specifiche attitudini, guardato con meraviglia e sospetto, lodato in pubblico e spesso deriso alle spalle. Insomma, un bambinone presuntuoso col cervello mica tutto a posto.
Ma tale percezione cambia completamente se la figura del poeta viene utilizzata – e ciò accade sempre più di frequente – dai massmedia, giornali e, soprattutto, televisione, bravissimi – ai fini dell’audience, cioè del guadagno – nel trasformare il poeta in “personaggio”, artista di rara grandezza da sbattere in televisione davanti a milioni di telespettatori. E’ accaduto nel 1981, in occasione dei funerali di Montale Milano, con una Piazza del Duomo gremita di gente e ripresa a lungo dalla TV: mi sono sempre chiesto quante persone di quella folla commossa per la morte del “grande poeta”, il “Premio Nobel”, ne conoscessero davvero l’opera, a parte le tre-quattro poesie lette a scuola (peraltro, da decenni, quasi sempre le stesse). Ed anche le pur bellissime letture dantesche di Benigni – trasmesse in decine di “puntate” alla televisione – fanno chiaramente capire come la conoscenza di un poeta da parte di un vasto pubblico debba oggi necessariamente realizzarsi attraverso la spettacolarizzazione mediatica. Il poeta, per destare interesse, perché “si parli di lui” deve diventare, quindi, un “personaggio”, deve avere qualcosa di “interessante”, di “particolare” per solleticare la curiosità dello spettatore (aver scritto buoni versi non è requisito sufficiente). Penso ai “passaggi” televisivi di Alda Merini – a prescindere da ogni giudizio di merito sulla sua opera – in cui il reale centro di interesse gravita sempre sugli anni trascorsi in manicomio, oggetto di domande e risposte, descrizioni e aneddoti, intervallati, certo, dalla lettura di qualche poesia. Anche qui, dunque, il “personaggio”, la curiosità morbosa per il poeta “matto”, la prevalenza del dato biografico anomalo. E non sarà un caso che le raccolte della Merini affollino nelle librerie gli sparuti scaffali di poesia contemporanea. E si vendano, e molto.
Il rischio che questa teatralizzazione della poesia si allarghi a dismisura, diventi il veicolo principale – se non il solo – per raggiungere un ampio pubblico, mi sembra, in conclusione, reale. Il moltiplicarsi, negli ultimi anni, di reading, performances, poetry slam, pubbliche letture, ne è, mi pare, il segno evidente. Vi partecipano moti poeti di valore nel sacrosanto tentativo di farsi conoscere, di diffondere la poesia e l’amore per la poesia. Tuttavia, se è vero che ciò non può che essere un bene, e la pubblica lettura un importante momento di incontro e confronto tra il poeta e il pubblico e tra i poeti stessi, la spettacolarizzazione insita in queste forme di comunicazione dove la parola si associa alla musica, alle luci, gli effetti speciali, le videoproiezioni, non rischia di indebolire proprio la forza vitale della poesia ed il suo fascino, cioè la centralità del testo? Di fare del poeta qualcosa che non è, un attore, un saltimbanco dei versi? E, peggio, di annebbiare la forza della parola poetica? Quella parola capace di comunicare, di svelare, commuovere ed emozionare il lettore fin nel profondo delle viscere, di ridestarlo dal torpore consueto della mente e dell’anima, di essere un pugno deciso e preciso allo stomaco. O un bacio sulla bocca.
Francesco Sassetto
Ogni punto della nota è da mandare a memoria. Scritto questo, si passa ai ringraziamenti.Grazie Francesco Sassetto.
Grazie, invece, a te, Meth per la tua considerazione e la bellissima “introduzione, grazie a Fernanda per la generosa ospitalità e per tutto lo splendido importante lavoro di questo blog, a tutti gli amici che credono nella poesia. Quella buona, che
dice davvero. E che forse serve a qualcosa. un abbraccio forte
Da trenta finestre si affacciano trenta assennatissime Alici,
feticci di sugna con sulla boccuccia la bolla
di un sorrisetto triviale.
Appaiono coi loro fidanzatini sciocchini e felici,
che ne accarezzano le anse di pasta frolla.
A ogni finestra un pesce rosso nuota in un boccale.
Sogghignano stolte con chiome fosforescenti,
beffandosi della poesia nuda e bruca,
di questa candida lebbra, di questa cicaleria da fanciulla,
mi guardano come un buono a nulla,
un imbrattacarte, una verruca.
(Angelo Maria Ripellino, da “Lo splendido violino verde”, Einaudi)
Se mai un poeta ha un obbligo verso la società, è quello di scrivere bene. Essendo in minoranza, non ha altra scelta. Venendo meno a questo dovere, scivola nell’oblio. La società, d’altra parte, non ha alcun obbligo verso il poeta. La società, maggioranza per definizione, presume di avere altre opzioni che non leggere versi, per quanto ben scritti. Ma se trascura di leggere versi rischia di scivolare a quel livello di eloquio al quale una società diventa facile preda di un demagogo o di un tiranno. Questo è, per la società, l’equivalente dell’oblio: un tiranno, naturalmente, può tentare di salvare i propri sudditi da questo pericolo con qualche spettacolare bagno di sangue.
(Brodskij, Fuga da Bisanzio, Adelphi)
Nel poeta di successo il grande pubblico ama e invidia il successo, non il poeta. Fortunatamente il poeta un pelo consapevole e onesto ricorda ciò che Saba diceva che dicesse Nora Baldi (“che sapeva il Canzoniere a memoria”): “Poeta è come il porco si pesa dopo morto”.
Grazie Francesco per questo appassionato intervento.
m.
Forse i tempi sono cambiati e ormai siamo al punto di non ritorno. Che la Poesia non sia necessaria è poco ma sicuro ma quante altre cose non sono affatto necessarie e appaiono invece come vitali in questo nostro odierno modo di vivere? Per quanto le considerazioni di Sassetto siano dunque condivisibili, credo si debba allargare lo sguardo al cambiamento che sta investendo ogni più piccola particella del nostro vivere. Il nostro Tempo è ad una svolta epocale secondo me. La Poesia, come ogni altro settore, è in una crisi profondissima e senza speranza di risalita; a meno che non si trovi un modo nuovo di affrontarla. Ma questo dipende dai Poeti e non da elementi esterni. Se negli States un Poeta è visto come un Santo e in Italia come un povero fallito, il motivo sta nell’approccio culturale diverso nei due Paesi: nell’uno il Poeta sa chi è, nell’altro è in confusione totale e in piena crisi di identità, nell’uno il Poeta è vincente e fiero di esserlo, nell’altro trova terreno facile solo nella mediocrità e negli ambienti settari senza possedere in nessuno dei due casi coscienza vera di sè. Una figura allo sbaraglio, debole, senza prospettive, ecco cos’è oggi il Poeta in Italia; ma anche tutto il resto che ci circonda è permeato di questo senso di sconfitta e impotenza. I Poeti degli anni dieci farebbero dunque meglio a trovare il proprio centro e poi, solo poi, ad elaborare una strategia per rendere possibile una loro dignitosa sopravvivenza a questa era di vuoto e di perdita. E allora forse, nel lutto di una perdita senza pari, una rinascita meravigliosa è ancora possibile.
Illuminante, onesto, privo di reticenze. Grazie a Meth Sambiase e a Francesco Sassetto per quest’intervento.
Ottimo spunto per riflettere. grazie
Caro Francesco, ho trovato oltremodo interessante questo intervento, in buona parte condivisibile, anche se mi pare che in alcuni passaggi tu tenda a generalizzare troppo. Non possiamo assimilare il rumore massmediatico da cassetta all’attivita’ di tanti operatori che tentano di diffondere in modo accattivante la poesia per richiamare l’attenzione dei lettori.
Sai che sento molto da vicino questo tema e che sono convinta che solo tramite la diffusione del materiale di qualita’ sia possibile riportare la poesia fra le arti amate e toglierla dal baratro in cui e’ precipitata. L’arte nasce dall’uomo per l’uomo, se un’arte non e’ amata dal proprio creatore rischia una giusta estinzione.
Tento ora di identificare un confine fra il lecito e l’illecito nel richiamo alla poesia partendo dal presupposto che il poeta debba riconquistare dignita’ – e qui sposo ogni parola di Federica Galetto – tuttavia debba anche uscire dall’aura di spocchia e di sperimentazione che si e’ appiccicato addosso dallo scorso secolo. Il pubblico vive il poeta come un mentecatto oppure come una specie di intellettualoide secchione dedito solo a letture noiose, a frequentazioni barbose e a produzioni inintelligibili. Per la verita’ l’intero mondo della cultura e’ al momento snobato come inarrivabile da una buona parte di popolazione italiana che avrebbe, invece, acquisito a scuola validi strumenti per fruire della buona lettura e dell’arte in generale. E qui entra in ballo l’atteggiamento dell’intellettuale, includendo il poeta, che ha la sua brava razione di responsabilita’.
Quindi la questione dell’immagine del poeta va risolta nel recupero di dignita’ da un lato ma dall’altro nella discesa dall’Olimpo sulla Terra.
E io dico si’ a reading, a recital a teatro o nelle piazze, a contaminazioni con altre arti, a proposte di lettura composte in modo accattivante e introdotte in modo chiaro e facilmente fruibile, a laboratori nelle scuole per supplire alle carenze di certi insegnanti, a partecipazioni in forma poetica a manifestazioni civili. Certo, parlo sempre partendo da presupposti di qualita’. Non parlo di poesia circense ma di poesia performativa di livello. Perche’ tutto questo non squalifica il poeta ma lo riavvicina al suo bene piu’ prezioso: i lettori.
Dico no alle antologie per la festa della mamma, alla poesia di massa, alle massaie chiamate a condurre reading, a eventi mediatici basati sul gossip, a eventi di puro marketing finalizzati alla vendita, a foraggiare gli editori a pagamento, a vivere la poesia solo in rete. Sul poetry slam ho qualche riserva ma solo perche’ credo che sia stato snaturato e svilito in diverse occasioni nel nostro Paese.
Ecco, ho cercato di definire il mio confine e una proposta fattiva per tutti quanti – “addetti ai lavori” – che sono qui a scrivere, leggere e commentare.
Auguri di buone festivita’ e cari saluti.
Claudia Zironi
Grazie a tutti per l’apprezzamento generoso dimostrato, se queste mie riflessioni possono servire come spunto per una più ampia e articolata discussione ne sono felice, vuol dire che non sono state inutili. Sono del tutto d’accordo con te, Claudia, ogni strumento di diffusione della poesia è utile e importante, sai quanto amo anch’io le pubbliche letture, tuttavia credo che anche qui bisogna procedere con qualche cautela sia sulla qualità dei testi che sul numero di partecipanti, ad esempio. A volte ho visto reading che assomigliavano troppo a sfilate di moda con decine e decine di poeti, non si rischia il voler apparire ad ogni costo? La pura presenza, i tre minuti di “gloria”? Ma sono d’accordo, basta operare bene, scegliere, selezionare, costruire un momento di reale arricchimento interiore e non uno spettacolo. Tutto qui e, per carità, i poeti devono certo “uscire allo scoperto”, farsi vedere, conoscere, con la propria ricchezza e le debolezze, nessuna “torre d’avorio”, nessun disdegnoso ritiro cautelativo (anche un po’ vile), anzi, saper accettare anche le critiche e i dissensi, recuperare una dignità, certo! Un grazie di cuore ancora per l’attenzione e un augurio di serenità a tutti!
Complimenti per l’equilibrio nell’esporre luci ed ombre di un Pianeta assai particolare !