matthias brandes
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Scrive così, di sé e del suo percorso d’artista, Matthias Brandes: – Dipingo cose che mi affascinano. Cerco di rappresentarle nel modo più preciso. Non come si vedono nella realtà, ma come me le immagino io. Certi soggetti mi hanno ossessionato per alcuni anni; così ho dipinto per quattro anni solo bagnanti. Ora dipingo case. Ma non m’interessa sedermi davanti a una vecchia casa per copiarla. Vorrei dipingere non una casa, ma La Casa. Il che mi porta ad una contraddizione. La Casa dovrebbe essere simbolizzata da un segno poiché non si tratta di una casa reale. Così sarebbe però una casa immateriale, mentre mi affascina piuttosto l’aspetto materiale delle cose.
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La mia casa é un cubo fatto di un materiale duro, segnato dal tempo: niente mattoni accatastati regolarmente, niente intonaco scrostato, niente macchie di muschio e tutto ciò che interessa i pittori naturalistici, ma piuttosto pietra di roccia oppure argilla stravecchia, un materiale duro e ruvido che si oppone a tutti i tempi. D ‘altronde le mie case non sono diroccate. La loro forma è rimasta integra; il loro essere massicce contraddice la locazione nello spazio del quadro, dove possono addirittura sollevarsi davanti a nuvole ovattate oppure essere ammucchiate da mani di giganti. La casa che mi affascina è allo stesso tempo un luogo desolato ed un rifugio, è un cubo rigoroso ma anche una testa d’uomo, è archetipo ma ciononostante palpabile con le mani. La casa che dipingo non è una casa come tante altre, è “La Casa” con tutto quello che significa nella vita umana. E ad un certo punto essa mi sembra rappresentare l’uomo stesso, divenirne figura umana.
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E non credo sbagli nel cogliere e guardare lo sguardo stesso, che è casa che ospita tutte le cose, non come sono ma come noi siamo e amiamo essere. Tutte d’un pezzo e leggere, nuvole di argilla antichissima e scrittura di storie, da un tempo che nella tela fila tutti i tempi della nostra storia e dentro appaiono, dal repertorio delle pitture, le nuove figure come un tempo affioravano i santi e i patroni, donne e uomini, bambini che portano in mano e in dono la casa, una cosa piccola da contenere dentro l’anima e immensa nel momento in cui la svolgi, da un capo all’altro dello sguardo.
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Nei quadri di Brandes c’è pittura, scultura e architettura come arti che, un tempo, avevano nel disegno un principio comune. Il disegno, elemento vitale e costitutivo per l’arte, si ramifica, supera il suo significato fisico e ne assume anche uno mentale. Questa idea, consolidatasi nel corso del tempo, aveva in passato nello schizzo uno dei suoi elementi più importanti, poiché in quello l’artista trovava il suo registro, quello che Brandes chiama ossessione ma, in realtà, è un portare alla luce, in una continua riaffermazione dello studio, il punto di contatto, l’elemento che rende possibile il riavvicinamento tra il disegno fisico e quello mentale.
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Non mancano le metafore, che sono poi i viaggi, dentro la materia stessa, quelle grosse navi di marmo, immobili in un porto, portando fin sulla soglia di casa l’essenza che non si mostra e serve una scala, di valori, di studi, di considerazioni, di immaginazione per poter arrivare a toccare ciò che, pur a diretto nostro contatto, non si palesa nella sua sosostanza più profonda ma ambigua-mente e obliqua-mente. Ecco allora che il gioco è la valvola di quel mistero che è il ciclo in cui le cose che scompaiono poi tornano, materiche ed effimere, mobili nella loro fissità.
fernanda ferraresso.
Ho programmato la pubblicazione di questo articolo sul mio blog per l’otto febbraio. La prego di informarmi per tempo se desidera che la “trasmigrazione” non venga effettuata.
Grazie in ogni caso
ne sono lieta. Grazie. fernanda ferraresso
la casa corrisponde allo sguardo che ampio condivide
nella casetta e nella cassetta della posta ho sempre letto di case e ciascuna mi ha portato l’intero corpo e lo ha messo in comune
una bella lettura anche questa
elina