Silvio Lacasella : Arturo Martini e le sue creature in un segno di terracotta

arturo martini – la veglia

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Arturo Martini. Creature, il sogno della terracotta-Bologna

Uno scultore tra i più grandi della prima metà del Novecento, non in Italia ma in Europa: Arturo Martini (1889-1947).

Due mostre tenute idealmente unite, nate tuttavia seguendo itinerari critici differenti: “Creature, il sogno della terracotta” a Bologna, a cura di Nico Stringa e “Armonie, figure tra mito e realtà” a Faenza, voluta e pensata da Claudia Casali per evidenziare, attraverso una cinquantina di opere, la centralità della figura femminile nella produzione martiniana. Questo grazie alla determinante collaborazione tra la Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna e del Museo Internazionale delle Ceramiche a Faenza, nelle rispettive sedi di Palazzo Fava la prima (aperta sino al 12 gennaio) e del MIC la seconda (sino al 30 marzo).

.arturo martini l’aviatore e  madre folle- mostra Bologna

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Tre buoni motivi per visitarle: ristabilire un contatto con un autore mai sufficientemente valorizzato; l’alta qualità delle opere esposte; la possibilità di uscire da Palazzo Fava e recarsi nella vicina chiesa di Santa Maria della Vita, per ammirare il Compianto sul Cristo Morto, gruppo scultoreo in terracotta modellato verso la fine del Quattrocento da Niccolò dell’Arca, che Martini deve sicuramente aver visto, riflettendo sulla sua impressionante intensità espressiva.

Quattro, infine, i capolavori giunti a Palazzo Fava dal Museo Middelheim di Anversa, acquisiti nel 1950 e mai prima di oggi prestati, anche a causa della loro fragilità: Donna al sole (1930), Chiaro di luna (1931-32), Gare invernali (1931-32), La lupa ferita (1930-31). Opere collocate nelle sale accanto ad altri titoli fondamentali, quali Madre folle (1929), La convalescente (1932), Il cielo – Le stelle (1932 – raro prestito della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, già collezione Marcello Piacentini), Ragazzo seduto (1930) e Aviatore (1931). Sedici opere in tutto, testimonianti il suo momento più alto ed intenso, concentrato in pochi anni, tra la fine del 1920 e gli inizi del decennio successivo. Un percorso breve, dunque, il cui ricordo si prolungherà però nel tempo.
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arturo martini –  la nena

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Chiediamo a Nico Stringa, curatore della mostra e del catalogo di Bologna: “E’ corretto individuare il momento di massima energia creativa di Arturo Martini, che pure ha affrontato il legno, il marmo o la pietra di Vicenza (tra l’altro nei primi anni ’40 ha soggiornato per lungo tempo a Rosà e a Bassano del Grappa, oltre che a Chiampo per la lavorazione del “Pegaso”) quando modella i “materiali ceramici” (terre refrattarie, maioliche, terraglie e gres), quasi avesse bisogno di stabilire un contatto fisico con l’argilla, per cogliere il respiro che porta alle origini della scultura?”

R. La mostra di Bologna rende possibile per la prima volta una valutazione d’insieme del periodo 1929-1932, quando Martini raggiunge l’apice della sua virtù espressiva, rielaborando il mito degli Etruschi e così contrapponendosi all’imperante mito della romanità. In quei mesi lo scultore, nato ceramista, ha dichiarato la sua appartenenza al mondo senza tempo del primordio, al fare più semplice ed elementare, dunque il più arduo: la foggiatura a mano libera della creta. Questo innestarsi all’arcaico lo ha messo nella disposizione di sperimentare la via più breve tra l’idea e la forma, quella che Levi-Strauss ha identificato appunto come tipica della ceramica nel suo magistrale lavoro dedicato alla Vasaia gelosa.

D. I riferimenti all’antichità sono ripetuti e visibilissimi. A volte diventano vere e proprie rivisitazioni, come nel caso de La Chimera, essere mostruoso con corpo da leone, il cui modello ispiratore è nel soggetto col medesimo titolo, oggi al Museo Archeologico di Firenze. Vi è però in Martini la capacità di proiettare la sua ricerca in una stagione novecentesca, non solo italiana. Una poetica lontana dalla retorica figurativa che, al contrario, partendo da posizioni confinanti, caratterizzò molti artisti a lui contemporanei, strettamente legati al Fascismo. Questo equivoco è l’elemento penalizzante che costringe ogni volta a ricordare come, specie a livello internazionale, pur essendo indicato quale imprescindibile punto di riferimento, egli sia ancora ingiustamente sottovalutato?
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arturo martini- la convalescente
.Arturo Martini - La convalescente - 1932 - 90564[1].

arturo martini- chiaro di luna

arturo-martini-chiaro-di-luna-1931-32.

R. Molto semplicemente, se escludiamo Jean Clair in Francia, all’estero non lo conoscono; ma prima di questa mostra ben poche persone potevano immaginare le potenzialità di uno scultore che, pur operando durante il fascismo, ci fa dimenticare la dittatura e ci porta con sé, in un mondo tutto poetico che affonda le radici nell’antico e che si nutre quindi di tanta tradizione sviluppatasi nelle culture mediterranee, dalla egizia alla greca fino all’etrusca. Prima conoscere, poi giudicare: a Bologna è documentata una situazione che dovrà cambiare l’idea che abbiamo dell’artista di Treviso.

D. L’ansia di conoscenza presto lo spinge ad irrobustire la propria consapevolezza visiva. Un’ansia forse disordinata. Una ricerca istintiva, rabdomantica, guidata dalle occasioni e dalle circostanze. Nel 1909 soggiorna a Monaco per alcuni mesi. Nel 1912 visita Parigi in compagnia di Gino Rossi. Le date fanno una certa impressione. Nella città tedesca ha preso casa Paul Klee (ma gli artisti da citare sarebbero molti), eppure si respira ancora aria di Secessione e Jugendstil; mentre tre anni dopo, quando con l’amico trevigiano perlustra l’ambiente parigino, Picasso vive la stagione matura del Cubismo. Ancora vicini sono Gauguin e Cezanne, ma già De Chirico ha avviato l’esperienza metafisica. Cosa rimane di tutto questo negli occhi del giovane Martini?

R. Nel deposito della memoria visiva di Martini resta molto, ma depurato dalle esperienze successive; così, se del cubismo – dall’Omaggio a Picasso di Gris – resta un segno nel Ritratto di Soppelsa del 1913, dalla conoscenza dei fratelli De Chirico avvenuta a Monaco si formerà la stagione molto importante di Valori Plastici, che ha contribuito a formare in Martini l’unico scultore della Metafisica, tra il 1918 e il 1922 (come in Fanciulla verso sera, Amante morta). Del Futurismo poi c’è un’eco in Contemplazioni (Faenza 1918, ora ristampato da Canova editore), dove le innovazioni tipografiche di Marinetti diventano dei puri rintocchi sonori, quasi un compianto anonimo e collettivo sui disastri della Grande Guerra.

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arturo martini – il cielo (le stelle)
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arturo martini- la lupa
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D. Una mostra composta da sedici opere: abituati come siamo a visitare esposizioni fitte come impenetrabili boscaglie, è una scelta felice. Potrebbe, però, far pensare ad una semplicità organizzativa

R. Per la prima volta, dopo tante mostre antologiche, a Bologna abbiamo cercato di concentrare l’attenzione su un periodo limitato – tre anni – in modo che fosse possibile dissipare l’impressione consolidata di un artista eclettico e invece rendere visibile il filo conduttore che Martini ha evidenziato nelle grandi terrecotte. Per apprezzare adeguatamente queste opere molto comunicative era necessario isolarle nello spazio, in modo da consentire al visitatore di soffermarsi e concentrarsi davanti e attorno ad esse, così come l’artista si era concentrato a suo tempo per realizzarle. Sono “creature” che hanno richiesto a Martini un severo  isolamento nello studio-forno all’ILVA di Vado Ligure; quella solitudine fa parte dell’aura, bisogna sperimentarla, altrimenti tanta poesia rischia di svanire. L’incanto delle terrecotte ha stregato i responsabili del Museo di Anversa che negli anni ’50 sono scesi più volte in Italia e hanno acquistato opere dei principali scultori italiani. Ma non potendo esporre nel parco le terrecotte (si tratta di un museo di scultura all’aperto), le hanno tenute per decenni nei depositi; tra poco la costruzione di un padiglione renderà possibile ai tanti visitatori conoscere e apprezzare anche i capolavori di Martini.

D. Eclettico no, sperimentatore però sì. Coraggioso e impulsivo. Come quando decise di tagliare la testa con un colpo netto ad uno dei suoi marmi più celebri: Donna che nuota sott’acqua, donando a quel corpo fragilità ed eternità. Nei “Colloqui”, raccolti da Gino Scarpa, si coglie il desiderio dell’artista di sfidare la materia, evitando che essa possa trasformarsi in zavorra espressiva. A questo proposito, sappiamo che fu molto attratto dalle immagini cinematografiche, proprio per cogliere la possibilità di restituire il movimento (Ombre bianche nei mari del Sud di Flaherty, ispirò proprio quel marmo, ricavato, da un’enorme scheggia saltata in fase di sgrossatura nella lavorazione del Tito Livio, ora nell’atrio delLiviano a Padova). E’ molto interessante questa sua attenzione per il cinema. Torna alla mente Degas e la sua attenzione per le foto in sequenza di Muybridge

arturo martini- ritratto

arturo martini ritratto grande.

R. Pochi sanno della passione di Martini per il cinema e non sarà un caso che proprio al cinema muto lo scultore abbia guardato con grande interesse, evidentemente cogliendo il forte pathos delle “figure senza parole”, a cominciare dai primi anni ’20, quando collaborò alla realizzazione di un film, fino all’attuazione di Madre folle, la prima terracotta ad esemplare unico, ispirata al cinema e poi al marmo celebre della Donna che nuota sott’acqua. E’ la vita intensa del non dicibile che lo attrae e lo ispira.

D. Ultima domanda. Non ritiene che una mostra così emozionante meritasse una seconda tappa, romana o veneziana, capace di decretare una definitiva rivalutazione dell’artista?

R. Una seconda tappa? Magari, ben vengano le proposte, ma subito!

Silvio Lacasella
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12 Comments

  1. quanti incontri e scoperte accadono e i segni potrebbero moltiplicarsi ma si tacciono spesso…
    come può la bellezza e lo stupore non chiamarci?
    grazie Silvio

  2. 18 novembre 2013

    La misura della bellezza nessuno la conosce, però è davvero strano che uno scultore così bravo sia scoperto da alcune persone, peraltro attente e sensibili, solo grazie ad un mio articolino. Prova, ancora una volta, che ad accompagnare l’arte c’è qualcosa che ne sbilancia i valori: si chiama “mercato”. Grazie a tutti

  3. certamente il mercato contribuisce e soprattutto l’informazione che pure è ormai mercato, affare. Credo comunque che anche la conoscenza di un mondo, vasto, ricco quanto è quello dell’arte, che ha differenti linguaggi ed espressioni non sia conosciuto da tutti. Per te che all’accademia o per amore personale vivi dentro questi ambiti non c’è niente di straordinario, per altri che vivono in settori differenti è un piacere inaspettato anche un ceramista e sculture come Martini, presentato dal tuo…articoletto! Grazie,ferni

  4. Condivido, naturalmente. Però, pur detestando le classifiche, stiamo parlando del più grande scultore italiano del Novecento e uno dei maggiori europei. E non lo dico solo io, ma lo dicono anche gli altri grandi scultori a lui successivi o contemporanei, da Marini a Manzù, tanto per citarne due. Una prova? Tutti (o quasi) sanno chi è Arnaldo Pomodoro (quello delle enormi sfere in metallo luccicante) e pochi (o quasi) conoscono Arturo Martini. Al di là del valore dell’artista (che in parte risponde al singolo giudizio del “mi piace-non-mi-piace), il motivo è questo: uno produce e fa mercato, dell’altro circolano molte molte meno opere. E poi, se vogliamo dirla tutta, a differenza di un tempo, l’artista “vivo” parte da una posizione di vantaggio (generalizzo ovviamente) sull’artista morto: contatta, conosce, si autopromuove (mostre, articoli, cataloghi…). Il tempo è un giudice incorruttibile, dicono.

  5. certo, il tempo, l’auto promozione, che poi in tempi come i nostri è solo caos dentro il caos metafisico di una rete in cui c’è chi paga e chi compra e per “paga” intendo un sacco di cose. Acquistare un pezzo d’arte non ha il valore dell’amore ma un costo di consumo, battuto magari, prima o poi, in un’sta, o in una vendita da gallerista a consumatore. Sì, lo chiamo consumatore, perché chi ama l’arte, in ogni sua espressione, la porta in sé, come del resto fa l’autore di quell’opera che passa ad un’altra esecuzione non solo per mantenersi ma per conoscersi, per afferrare almeno un brandello della polpa della vita. ferni

  6. E’ un discorso complesso. I grandi artisti del passato erano contesi e pagati profumatamente. Diciamo così: misteriosamente, nel passato non sbagliavano un colpo (basta guardare le opere d’arte all’interno delle chiese, confrontate con quanto entra oggi) oggi, invece, una regia sofisticatissima premia e impone autori come fossero cantanti per una (lunga) stagione balneare. Bene, fine. Oltretutto fuori piove

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