Valeria Serofilli : Quinta Ginnasio – Sezione C

hiroshi furuyoshi

Hiroshi Furuyoshi

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Dopo le scuole medie inferiori mi iscrissi al Liceo Classico. O meglio, mi iscrissero. Non c’erano, in quegli anni, grandi percorsi di orientamento e la selezione la fece mio padre: “La mamma ha fatto il Liceo Classico, io lo Scientifico. Tu sei una donna per cui farai il Classico”.

La quinta C del Classico di quegli anni era ben “assortita”: tutti figli di notai ed avvocati, io stessa figlia di due docenti.

Peccato che sotto i banchi succedesse di tutto e con la scusa dei cappotti volassero mani, voglie e sospiri.

La memoria è il salvadanaio dello spirito, come si dice, e se la mia memoria è ottima per ricordare, vorrei che lo fosse soprattutto per dimenticare.

Ebbi la sfortuna di organizzare una festa senza invitarvi l’intera classe, stufa dei soliti ritrovi del sabato sera dove i soli invitati erano i compagni di classe. E feci un lista. Una vera spietata selezione.

Forse fui l’unica ad averne il coraggio, o meglio, il coraggio della gioventù prima di essere intaccata dall’ipocrisia.

Fu il mio ex della classe accanto, incaricato di distribuire gli inviti solo ad alcuni, ad avvertirmi che erano tutti molto arrabbiati. E non avrei mai pensato che si sarebbe trattato di un vero patto di sangue, una sorta di Ku Klux Klan moderno, in cui sotto ai bianchi copricapo si celavano corna da diavolo e tra le pagine dei libri di greco gioire nefasti segnati con inchiostro al veleno.

“Per dieci anni – devono essersi promessi tra uno spinello e un intaglio di sangue.

E fecero una festa anche loro. Mai avuta una simile valanga di telefonate in cui mi si chiedeva di partecipare. Infine accettai, mettendo in atto la poetica fedriana della volpe e la cicogna, il cosiddetto pan per focaccia.

I veri e unici padroni della festa erano proprio coloro che non avevo invitato alla mia, e se è vero che per conoscere se stessi è necessario conoscere gli altri, in quella occasione io non avevo speranza alcuna di potermi conoscere né riconoscere. Sguardi vitrei a volo di uccello sopra di me, occhi in cui era impossibile specchiarsi.

Avrei preferito ingiurie allo scherno, Avrei preferito un’aperta avversità a quel silenzio, la più perfetta espressione del diprezzo. Averi voluto spiegare che non vale quasi mai la pena di essere offensivi e meno che mai quando lo si risulta senza volerlo essere.

Mi trovai a pensare, con Oscar Wilde, che gli altri sono veramente terribili e che la sola società accettabile è quella di noi stessi.

Per dieci anni – devono essersi promessi. E per dieci anni mi tolsero il saluto e la parola. Ma questo lo capii solo in seguito, incontrandoli in una gioielleria o nei corridoi della Sapienza o a qualche concerto.

Classico anni Ottanta. Nel mio diario di allora si affacciavano volti fotografie, racconti, ricordi. Le cene di classe contavano un’eterna assente, una delle poche a non essersi rifatta il seno o una liposuzione cosce-addome. Mio padre usciva dalle riunioni dei genitori e professori con la bocca distorta e il ciglio sdegnato. Del cuore non so. Li vogliono far diventare tutti Einstein – diceva. Ed ora? Pochi i realizzati, molti i figli ancora di mammà, troppi i frustrati con uffici e studi notarili in eredità.

Non dico che non fossero intelligenti: una sorta di razza ariana eletta ad eleggere.

Comunque poi ho cambiato scuola, e classe. C’è chi mi ha detto che la mia compagna di banco aveva disegnato una rosa dove ero solita sedermi io, chiarendo che da quel momento non voleva che più nessuno si sedesse accanto a lei.

Strada facendo mi è capitato di incontrare qualche rampollo che ora è tornato a salutarmi, come se niente fosse. Sarà che tutto insegna, maturando, il tempo (per dirla con Eschilo) o forse perché sono trascorsi dieci anni, e più.

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Valeria Serofilli

Dalla Raccolta COME ESSERE TONDI IN UN MONDO DI QUADRATI in Dedalus, Quaderni di prosa contemporanea n.1, puntoacapo Editrice 2011

5 Comments

  1. Quando io facevo la quinta ginnasio (1970) la liposuzione non esisteva o per lo meno noi non sapevamo che esistesse… Eravamo tutte belle cicciotte e felici come Pasque, ed eravamo tutte complici! Ci si saluta ancora con tanto affetto.
    Quanto a mia figlia, ho dovuto ritirarla proprio dalla quinta ginnasio poiché non sopportava più quell’ambiente altamente competitivo.
    Stiamo andando avanti o indietro?
    Ho letto e ti capisco.

    Ciao Valeria!

    Fiammetta

    1. se la scuola arriva a questo significa che scuola non è certamente più. Non ci sono, a scuola,, gare se non con se stessi, nel senso che si corre incontro a se stessi, si corre per trovarsi e non per imparare solo razioni di ipnosi di una falsa cultura che vuole per qualcuno lo zoo dei primati e per altri i primariati.Il fatto è che non c’è corsa alla conoscenza o alla formazione di sè ma una gara a chi arriva ad avere cose, come anche i titoli sono, cose di poco valore se non ci sono persone

  2. Condivido, cara Fernanda. Mia moglie ed io siamo ex studenti del Classico e vi abbiamo trovato accoglienza, generosità, solidarietà; l’anno prossimo nostra figlia inizierà il suo percorso anche lei al Classico: mi auguro e le auguro che anche la sua esperienza possa essere positiva per una crescita, in mezzo agli altri, umana e culturale.
    Un grazie a Valeria Serofilli per aver proposto un interessante (e doloroso) spunto di riflessione.
    Un saluto affettuosissimo a Fiammetta, aspettando con impazienza di leggere suoi nuovi versi .

  3. Ringrazio Fiammetta, Antonio, la stessa Ferni che ha accolto il mio testo, nonché la cara Letizia per questa gradita visita e commento….Ne è passata d’acqua sotto i ponti da allora…comunque andò proprio così, ma non servono scuse. Tutti sappiamo tutti quanto gli adolescenti riescano ad essere crudeli ma, in fondo, me l’ero proprio cercata!

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