robert capa- sbarco in normandia
Considerato l’iniziatore del fotoreportage, gli scatti di Capa hanno quasi sempre un unico soggetto impresso nelle immagini: guerra il loro titolo. È inoltre l’iniziatore di falsi fotografici d’autore in quanto è incontestato anche il fatto che molte foto scattate da Capa durante la guerra civile spagnola sono state da lui “costruite”. Secondo lo scrittore Javier Cercas, Capa è stato un fotografo che ha barato. Pur non togliendo nulla al valore del suo lavoro, qualcosa invece incrina la figura della sua reputazione come persona, cosa a cui ormai siamo abituati, non corrispondendo i pensieri ai fatti di molti, troppi che si dicono e reputano guide di popoli.
Siamo appena dietro la porta della nostra storia, anzi nelle sue foto siamo nei passi di questa, storia che non è mai cambiata perché di guerra in troppi focolai ancora si distrugge la terra e chi la abita in pace. A Roma, la mostra di Capa, è visitabile fino al 6 di gennaio del prossimo anno, a Palazzo Braschi.
E forse la storia, con una macabra ma sottile ironia, vuole sottolineare e profanare lo sbarco di quelli che chiamammo alleati a suo tempo, di cui ricorre il 70 ° anniversario, e che in troppe avventure di guerra con sbandieramento di una falsa proposta di pace, hanno occupato e distrutto economie in quasi tutto l’Oriente e l’Asia. Come accadde per l’italiano Terzani, anche Capa vide da dentro innumerevoli campi di guerra, che documentò con l’unica arma che aveva, la fotografia, impressionando non solo la pellicola, per quanto vedeva, ma chi quelle foto terribili guardava, comodamente seduto nel sofà di casa.
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robert capa, battle for jerusalem, 1959
robert capa- haifa-israel-1949
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robert capa- madrid despus de los bombardeos guerra civiles
robert capa-rifugiati verso la frontiera francese
Nato nel 1913 morì nel 1954, di origine ungherese, non fece il soldato di ventura ma si avventurò nei cataclismi più feroci del 20° sec., quel momento che passa per inizio della civiltà e fonda le sue radici sul massimo degli orrori: la guerra. Attraverso il suo obiettivo mise a fuoco la guerra civile spagnola (1936-1939), la seconda guerra sino-giapponese (che seguì nel 1938), la seconda guerra mondiale (1941-1945), la guerra arabo-israeliana (1948) e la prima guerra d’Indocina (1954). Durante la seconda guerra mondiale si spostò tra Londra, il Nord Africa e l’Italia, documentando anche lo sbarco in Normandia e la liberazione di Parigi. Tutte le immagini sono specchi della follia e del desiderio di un potere efferato che vuole distruggere e non mai costruire pace, non si può calpestando i vivi e producendo cadaveri germinare qualcosa di buono che nutre e che sfama ma solo costruire odio e spargere semi di vendetta.
PACE non è mai stata veramente scritta, ma una brace di iniquo desiderio di potere, di colonizzare e spartire il bottino, sempre è stata coltivata da chi non si rende affatto conto di non essere dio, di non averlo tra le sue gesta, un dio, e di non essere che un uomo temporaneo, minuscolo e passante, un migrante in qualsiasi suolo si trovi a nascere, su qualsiasi finto trono posi le sue natiche.
.robert capa- budapest-seconda guerra mondiale
robert capa- agrigento
In tutto il ragguardevole patrimonio fotografico di Capa, leggiamo perciò un solo scatto, verso la guerra e tutti i suoi orrori, che oggi vengono occultati, oculatamente distrutti e tenuti semmai segreti. Le armi ormai sono tante e spesso non si vede la mano degli assassini delle masse. Si vede, come tanti anni prima s’era già visto, ed oggi ci accorgiamo in molti è accaduto, di nuovo, sulle nostre coste ma già ieri e prima ancora è successo, perché in molti hanno lavorato al disastro in Africa, terra da cui provengono questi diseredati, ma altrove sulla terra si spostano come per mare nei deserti altri profughi. Un milione di bambini profughi fuggiti dal conflitto in Siria, così titolava il Corriere qualche giorno fa, e se andassi solo di poco indietro troverei un nodo dopo l’altro gli orrori di cui si semina la terra a causa di voracità di un potere iniquo che fonda il suo successo sulla spartizione dei morti. Penso a quanto mi hanno scritto pochi giorni fa gli attivisti che seguo relativamente alla decisione presa lo scorso 11 settembre, a Strasburgo, in cui il Parlamento europeo ha deciso di destinare alla produzione di biocarburanti un quantitativo di prodotti agricoli capace di sfamare oltre 200 milioni di persone. Ecco questo e ancora una lunghissima filza di stupri e violenze al genere umano e alle specie viventi, al pianeta tutto, in ogni sua località abitata, in ogni sua forma di vita, mi fanno credere che il lutto , se ci deve essere, e tanto si deve piangere, deve essere per l’ignoranza, per la cattiva coscienza, per la dimenticanza d’essere noi tutti uguali sulla terra, per abbracciarli tutti questi scomparsi ma soprattutto per agire a favore dei vivi, che clandestini non sono come recita una falsa iniqua legge dovunque applicata e documentata storicamente, che nega loro l’asilo e ordina sempre la galera, sia che si tratti di rimpatrio forzato sia che si tratti di rinchiuderli in campi profughi.
robert capa-seconda guerra
SERVE APRIRE GLI OCCHI, LE ORECCHIE E IL CUORE E MUOVERE I PIEDI E LE MANI CONTRO QUESTO SISTEMA,NON E’ POSSIBILE ASPETTARE; SI DEVE CAPIRE UNA VOLTA PER TUTTE CHE LA SPECIE E’ UNA: QUELLA DEI VIVENTI E CHE SIAMO UN NOI SULLA TERRA.
fernanda ferraresso
Noi che scriviamo, leggiamo, che usiamo la parola e il respiro dobbiamo rendere conto dell’eredità che abbiamo ricevuto. rigore e passione, segno civile e etico: dovrebbero essere questi i punti cardinali della nostra bellezza. L’arte per me ha questa radice.
Grazie, Fernanda, di quest’appassionato intervento. Condivido l’idea di unire le voci e dire con fermezza: noi non vogliamo essere complici degli assassini e rifiutiamo politiche inique e ipocriti “lutti nazionali”. C’è una colpa ormai plurisecolare dell’intero Occidente; la spinta verso il noi-comunità (assieme al rispetto nei confronti della Terra) è l’unica strada davvero percorribile.