Baudelaire ha definito l’arte come “la creazione di una magia suggestiva che accoglie insieme l’oggetto e il soggetto”. Ed è vero. Infatti, all’interno dell’opera che osserviamo è possibile identificare l’animo con cui l’artista percepisce ciò che ha rappresentato, però possiamo trovare anche parte di noi stessi. L’arte ha la grande capacità di aprire mondi infiniti o stanze private, trasmettendo stati d’animo e sensazioni estremamente personali, accanto ad altre condivisibili e universali. Diciamo che è una sorta di calligrafia interiore che si manifesta visivamente, bloccando emozioni transitanti, altrimenti inesprimibili. Ritrovarle all’improvviso, dopo averle tanto rincorse e magari senza averle mai incontrate prima, ci stupisce, talvolta ci turba, spesso ci commuove. Ed è questa la “magia suggestiva” a cui fa riferimento Baudelaire.
L’arte come fonte di stupore, ma anche di “ritrovamento”. “Tutte le cose che abbiamo dimenticato chiedono aiuto nei nostri sogni” dice Elias Canneti. Affermazione che, a ben vedere, non si colloca poi molto lontana da chi vorrebbe che essa rappresentasse soprattutto ciò che istintivamente tendiamo a rimuovere: una realtà altrettanto vera, però scomoda, urticante.
La strada da seguire è piena di diramazioni. Non per nulla, gran parte dei sogni possono benissimo essere proiettati nel reale. Lo diceva anche Casorati, giusto sessant’anni fa: “Il terreno su cui si muove la pittura è sempre la realtà che tutti possono vedere o per lo meno sognare”. Molte cose sono cambiate dal 1953 ad oggi, ma la sostanza del pensiero rimane intatta (per fare solo un esempio, Friedrich, in chiave romantica, più di un secolo prima, aveva scritto: “Se un pittore in sé stesso non vede nulla, smetta di dipingere anche quello che vede davanti a sé”).
Quello che non tutti pensano è che questo vale sia per la grande arte – spettacolare come un’impetuosa cascata la cui forza produce un’energia vitale ed esistenziale – e sia per quella, altrettanto necessaria, che difficilmente entrerà nelle sale dei musei, ma i cui zampilli confluiscono nelle medesime acque, gonfiandole prima dell’affascinante salto.
Una lunga premessa per dire poco o niente, comunque utile per verificare come certe emozioni si sviluppino in noi in modo segreto. Difatti, non avendo per sua natura una conformazione precisa, il profilo dell’arte è impossibile da tratteggiare, poiché nessuno può stabilirne i confini. Traguardi di vertiginosa bellezza possono essere contenuti in un laborioso e geniale progetto oppure in un solo e veloce gesto all’interno dell’intera composizione, tolto il quale l’intera opera ai nostri occhi cadrebbe miseramente.
Tenendo conto di tutto questo è però altrettanto impossibile immaginare che un singolo quadro (quadro, scultura, fotografia, istallazione, video e altro) possa farsi sintesi o specchio fedele di un intero percorso. Una prova particolarmente riuscita, presentata alla fine di un corso di pittura, è sempre un riassunto incompleto. Se non proprio una frase estrapolata da un discorso, fissa un passaggio, pur molto significativo, di un itinerario personale assai più articolato e complesso. Sarebbe inesatto considerarlo il frutto più sano e maturo della pianta che l’ha prodotto.
Dai Salon parigini alle Biennali di Venezia, la storia dell’arte è un racconto ininterrotto di importanti mostre collettive, ma un corso di pittura ha una sua vita originale e parallela. Rappresenta un velocissimo tragitto e tenerne conto significa valutare in modo diverso l’opera. Corso come per-corso, dunque. Andrebbe almeno idealmente indicato, perciò, accanto a quel quadro il punto di partenza, il pre-corso, così da consentire di misurarne la crescita, includendo nel giudizio la forza di volontà e la passione, accanto al sorgivo talento.
Una cosa è indiscutibile, di anno in anno i corsi liberi istituiti dall’Accademia Cignaroli producono risultati decisamente buoni, per certi versi sorprendenti. Dipenderà forse dall’entusiasmo presente in chi, svincolato dall’obbligatorietà scolastica, si iscrive mosso da una diversa e più matura consapevolezza. Non solo un tempo dedicato all’arte, ma un tempo conquistato per l’arte. Sottratto alle ragioni di una vita che pare non più prevedere al suo interno spazi per la riflessione e il silenzio. Elementi indispensabili perlomeno quanto lo sono i materiali per realizzare l’opera.
Peraltro, sappiamo molto bene che l’entusiasmo lasciato vagare senza meta, prima o poi facilmente si spegne. Ecco la vera importanza dei corsi: scavare in modo corretto l’alveo dentro cui far scorrere i propri sentimenti. Pertanto, c’è da confidare che una parte del merito (una parte non secondaria) vada anche ai docenti. Impegnati nel non facile compito di applicare un metodo di lavoro che includa disciplina (intesa come tecnica) ed escluda condizionamenti. Insomma, ogni docente è chiamato a mettersi in gioco, stimolando l’istinto e la predisposizione del singolo, senza soffocarne le attitudini e le caratteristiche stilistiche. Una scelta precisa e, a quanto pare, in larga misura applicata e condivisa.
Un ruolo ulteriore e determinante lo svolge il clima favorevole che permette subito a tutti di esprimersi con grande entusiasmo e serenità, acquisendo fiducia e trasformando il confronto in prezioso arricchimento personale e collettivo. Non a caso il “contatto” e il reciproco scambio di opinioni, consigli ed esperienze, rivela tutta la sua efficacia. Inoltre, a dispetto di quanto si potrebbe pensare, non meno positivo risulta l’innesto, ogni anno, di alcuni nuovi iscritti, specie quando manifestano un carattere ben definito. Presenze in grado di suggerire per loro conto, all’interno del gruppo, inediti e stimolanti percorsi espressivi.
La passione, come sappiamo, non può esaurirsi nel “fare”, ma deve proseguire nel “vedere”. Parlare di pittura, confrontarsi, è importante quasi quanto dipingere. Solo così si crea spessore alla propria coscienza visiva. Un modo di fare, ma anche un modo di porsi. Vengono in mente le parole che Giacomo Debenedetti scrisse a proposito di Felice Casorati (far riferimento a Casorati a Verona ha una sostanza emotiva maggiore, ovviamente), ricordandolo in veste di insegnante: “Casorati non insegna (solo) a dipingere. Insegna qualcosa di più serio ed efficace: la disciplina e la moralità dell’arte. Pittori si nasce: ma bisogna anche diventarlo. Ebbene Casorati insegna, non a ‘fare’ il pittore ma a diventarlo”.
Corsi liberi. Corso libero era la Scuola Libera del Nudo di Roma, dove, a metà degli anni Venti, Mario Mafai incontrò Scipione e quella che poi divenne sua moglie, Antonietta Raphael (circostanza che diede inizio all’avventura della Scuola Romana) . Corsi liberi erano quelli di Venezia o Firenze nelle cui aule, tanto per dire, solo una ventina d’anni prima ad alcuni tra i pittori che hanno poi segnato la storia del nostro Novecento capitò di incrociare Amedeo Modigliani, alla vigilia della sua partenza per Parigi. Gli esempi sarebbero numerosi. Questo non per far passare la bizzarra tesi che di Modigliani o di Ardengo Soffici possano essere pieni i corsi (anche perché maestri di Soffici furono niente meno che Fattori e Signorini), ma per allontanare l’idea, altrettanto strampalata, che coloro che oggi decidono di iscriversi siano etichettabili come dopolavoristi. Persone spronate dai loro cari ad occupare in modo positivo il tempo. Eppure, strumentalmente, qualcuno lo pensa. Il motivo è al contempo misterioso e comprensibilissimo. Senza entrare nei dettagli, diciamo solo che sarebbe un controsenso chiedere ai corsi liberi di essere controllabili. Se scomparissero, si andrebbero a penalizzare non tanto gli insegnanti, ma coloro che, in numero assai consistente, ogni anno chiedono di poter iniziare una nuova avventura nei territori inesplorati dell’animo umano.
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Silvio Lacasella