dertlidolap

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Il problema delle carceri e del loro obiettivo primario, che non è punire semplicemente ma recuperare le persone che vi sono incorse per problemi di ordine diverso, anche se andrebbero ricercati altrove e con attenzione i veri problemi che sempre hanno a che fare con l’ambiente in cui nascono e crescono queste persone, è un tema che anche Oscar Wilde ha sentito profondamente, essendo egli stesso incappato in uno di quegli ambienti, di cui appunto rende memoria e riflessioni, con chiarezza e durezza, senza risparmiare nulla a quanto in lui è risultato l’esito di quel tempo vissuto rinchiuso, da recluso appunto.
Difficile oggi sentirsi liberi da prigioni di tipo diverso, che ci ingabbiano fisico e spirito e molto c’è da fare per non tramutare la vita in un consumo di precarietà mercantili. Relativamente alla giustizia non c’è un paese che possa definirsi inequivocablmente nella possibilità di essere nel giusto. Quanto al nostro paese il problema necessita di una accurata e profonda revisione, per questo pubblichiamo il testo di Wilde e lo dedichiamo a quelli che per noi sono i meno considerati tra i carcerati valutati irrecuperabili dal nostro sistema giudiziario: agli uomini ombra, dunque, agli ergastolani con fine pena mai, che in questo momento sono attivissimi, pur nella ristrettezza delle possibilità che sono date loro, per fare sentire la loro voce anche a chi continua ad essere indifferente o distratto. La nostra voce per loro e per tutti gli uomini che il carcere patiscono per errori di giudizio.
fernanda ferraresso
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sergio tede- foto di scena

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Oscar Wilde
The Ballad of Reading Gaol
LA BALLATA DEL CARCERE DI READING
TRADUZIONE
Marco M. G. Michelini
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PREMESSA
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Imprigionato nel 1895 per l’accusa di sodomia, Oscar Wilde scrive nel 1897, dopo la sua iberazione, a “La ballata del carcere di Reading” : un componimento poetico di denuncia che racconta con ritmo popolare le crudeltà del carcere, una riflessione sulle condizioni di vita in cattività anche per i figli dei carcerati. Il tema principale attorno al quale gravita il racconto è l
a pena di morte, congiunta al senso di alienazione di ogni detenuto, costretto a compiere quotidianamente azioni ripetitive volte alla pura e semplice sopravvivenza. È un testo sincero che ci restituisce un Wilde più umano, ma non per questo meno lucido nel denunciare la terribile esperienza vissuta in prigione e nel raccontare la convivenza con un condannato a morte, evocandone il rituale assurdo e feroce dell’esecuzione capitale. Al principio dell’estate del 1896, il drammaturgo irlandese, durante la sua prigionia, fu testimone dell’impiccagione di Charles Thomas Wooldridge – soldato della guardia di guarnigione a Windsor – che aveva ucciso la moglie che lo tradiva.
“Quel tipo sta per dondolare” dissero gli altri prigionieri, e ciò – nel loro gergo – significava che tre settimane dopo sarebbe stato impiccato. Così l’opulento autore della Sfinge, lo squisito narratore si mette a parafrasare il ruvido linguaggio dei condannati al carcere. L’ironia ed il riso che hanno sempre accompagnato la sua opera lasciano il posto alla sofferenza, che non è mai un grido sguaiato, ma solo un lamento. Un dolore ancora più tangibile in un uomo – come lui – abituato ai salotti bene dell’Inghilterra vittoriana e piombato all’improvviso nel buio di una cella.
Nelle stanze della ballata, non c’è traccia di sentimenti come la compassione o la pietà; c’è posto, invece, per una stoccata all’ipocrisia della società britannica: all’umanità con cui descrive le ore trascorse dal compagno di detenzione fino al momento dell’esecuzione capitale, fa da contraltare una fredda constatazione esistenziale:
“ogni uomo uccide ciò che ama”.
Un verso, questo, che riappare per tutta l’opera come un ritornello; se lo è ripetuto mille e mille volte: Oscar, che già ha ucciso l’amore di sua moglie Constance, si sforzerà ora di uccidere l’amore per Bosie, il suo amante. Mai come in questa ballata si ha l’impressione di avere di fronte un Wilde autentico e intenso: l’esperienza della prigionia gli ha fatto conosce il dolore e gli ha insegnato la semplicità, facendolo divenire il migliore tra i nuovi maestri del genere, quali Kipling o Alfred Edward Housman, di cui aveva sicuramente letto A Shropshire Lad.
Nella durezza delle strofe sembra mutare persino l’approccio all’arte: non più regno di espressione edonistica, provocatoria e gaudente, ma dimensione più introspettiva e sofferta.
Sempre costante, invece, l’attaccamento dell’autore irlandese alla vita che, anzi, in quest’opera trae ancora più forza dall’esperienza carceraria
La lettura del testo qui:
http://www.marcomgmichelini.it/wp-content/uploads/2011/07/LaBallatadelCarcerediReading.pdf
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ho letto questo testo intenso e sconvolgente. Grazie per avermi fatto pensare a queste vite così ingiustamente dimenticate
Quando parla delle guardie carcerarie, che devono indossare una maschera e stare in silenzio senza scambiare parole con il condannato a morte, poi aggiunge, e trovo sia davvero potente riflessione:
Pur, s’egli a lui s’avvicinasse,
di consolarlo tentando e fargli forza,
che far potrebbe la Pietà dell’Uomo
quando è rinchiusa nella Tana del Delitto?
In un simile luogo qual mai gentil parola
potrebbe aiutare un animo fraterno?
…
Per tre lunghi anni nessuno getterà
in quel luogo o un seme o una radice:
per tre lunghi anni il luogo disgraziato
sarà infruttuoso e spoglio,
e guarderà verso il cielo stupito
con occhio pieno di rimprovero.
Molti pensano che un cuore assassinato
guasterebbe ogni seme ch’essi piantano.
Ciò non è vero! La buona terra di Dio
buona è ancor più di quanto sappia l’uomo,
e la rosa rossa vi fiorirebbe più rossa,
e la rosa bianca vi fiorirebbe più bianca.
Dalla sua bocca una rosa rossa!
Una rosa bianca dal suo cuore !
Ma non la rosa bianca come il latte e non la rossa
può fiorire del carcere nell’aria;
il rottame, il ciottolo, e la selce,
son ciò che là noi sol possiamo avere:
ma non i fiori, che servono a guarire
un uomo dalla sua disperazione.
fernanda f.