lu guada
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A volte si è certi. La si sente: è arrivata, la fine, la vita ha cessato di essere così come si pensava dovesse essere, in eterno, e che non c’è, non c’è affatto un viaggio di ritorno. Non c’è una diga a dividere il prima dal dopo, non c’è alcun patto da stipulare con nessuno. Segreto, il corpo di una identità murata, viva si fa mutata forma, un essere nuovo ma. Non ha più spazio, nemmeno un centimetro, in quello che credeva il suo mondo, il suo assicurato futuro. Toglie tutto di mezzo la morte. Da un momento all’altro, tu sai , è certo, perché l’hai sentita soffiarti addosso, ne hai sentito il peso nel corpo e tu ora vuoi essere ciò che dovresti, ciò che ora senti. E per essere hai due facce e ancora nessun viso e non hai modo di camminare in nessuna strada: da percorrere c’è tutta la distanza, che ti separa ancora da te stessa. La realtà supera di gran lunga ogni immaginazione ed è per questo, che, guardandoti attorno ora, le storie accadute agli altri le senti tue e la tua vera identità è quella di una persona mutilata da mille falsi condizionamenti, da violazioni e violenze alle quali non vuoi più sottoporti: ti impediscono di vivere, ti costringono ancora e ancora a morire. La sfida è uscire dalla catena , spezzare l’omologazione di chi, come noi, dichiara ogni individuo attraverso una asfittica catalogazione, bruciandone vivo il corpo, negandone ogni differenza di esperienza, di relazione con un mondo che è il proprio modo di esserne corpo, per diventare ciò che si è: immensi.
Non ho mai tenuto un diario, un vero diario intendo. Quaderni sì, quaderni ne ho scritti tanti. Sono specchi, quelle pagine, da cui passa il mondo, il nostro, modo di starci fuori, pur essendoci dentro.
“Non si torna mai da così lontano come da se stessi. Un diario è talvolta necessario per dire che uno ha cessato di essere”. *
Questa frase l’avevo letta e ripetuta in me non so quante volte. Quelle parole erano le mie sabbie mobili.
Ciò che vi leggevo era la storia di tutte le storie. C’era un narratore, noi, tutti noi, e c’era una storia da dire, da ripetere e da ridire, da trascrivere, una generazione dopo l’altra, per secoli, come fosse unuomounadonnaunalberounfruttounsemeuncielo , come fosse un solo essere. Ciò che noi facciamo allora, tutta la vita, per la durata di tutte le vite è tornare a noi stessi e il diario, i nostri gesti, i nostri pensieri,le parole, tutto insomma, è la composizione di questo percorso, attraverso tutti gli uomini, tutti gli esseri e i giorni e le cose che compongono questo lunghissimo viaggio. C’è un profumo in queste parole, che supera l’orribile fetore della morte, addirittura ne trae pozzi di luce facendo anche dell’inferno ciò che si porta fin dentro nel sangue, in quel libro segreto, greto dello scorrere in un magma prodigioso, ogni momento nello stesso istante, nello stesso punto in cui di sabbia e di vento la notte si fa una lunghissimo esodo, il nostro viaggio mai trascorso.
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* citazione da Creatura di sabbia di Ben Jelloun Tahar- Einaudi Editore
Romanzo – Creatura di sabbia – che inquieta e spiazza. La perdita, o la conquista, di una identità negata. Come quella che ciascuno, nel deserto dell’esistenza, tenta di ritrovare in qualunque pozza d’acqua, anche sporca o inquinata, pur di ri-conoscere un riflesso autentico di sè stesso, la propria goccia Unica e irripetibile, e salvarla, dalla violenza, dalla prigionia del fango, dall’an_negare, dall’illusione, dalla paura. E farla danzare libera, da duna a duna, come chi ha nel camminare il suo sentiero. E nel proprio immenso, salvarsi.
(Ora, credo lo rileggerò). Grazie.
“Non si torna mai da così lontano come da se stessi. Un diario è talvolta necessario per dire che uno ha cessato di essere”.
Il viaggio, il nostro….
ciao ferni!
La realtà supera di gran lunga ogni immaginazione ed è per questo, che, guardandoti attorno ora, le storie accadute agli altri le senti tue e la tua vera identità è quella di una persona mutilata da mille falsi condizionamenti, da violazioni e violenze alle quali non vuoi più sottoporti: ti impediscono di vivere, ti costringono ancora e ancora a morire.