Ad un certo punto la fortuna girò e divenne il preferito dei personaggi più in vista della sua epoca. Eppure…
Antonio Menegazzo, in arte Amen, partito per il Venezuela se la deve essere vista brutta, nelle carceri di Caracas, messo in gabbia per aver dipinto per strada. Ma il capo del carcere lo libera e ne fa il pittore di Stato proprio per aver disegnato coi gessetti sul muro della cella il ritratto murale di Bolivar. Dalla brace al trionfo, che lo porterà anche negli Stati uniti, decretando la sua fama nternazionale.
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Antonio Menegazzo, classe 1892, è figlio di un messo comunale, nasce al Portello a Padova e ci vive la sua prima esistenza. Diventa geometra, ma il disegno tecnico non gli basta. In arte si firma con lo pseudonimo di Amen e lascia la sua città a 60 anni per andare in America latina, dove crede di cambiare vita. Ma lì famoso lo diventa per aver dipinto sul muro di una cella, a Caracas appunto, il ritratto di Simon Bolivar El Libertador. In carcere lo avevano messo perché sorpreso a disegnare sull’asfalto coi gessetti, come i madonnari, immagini della storia popolare, per mangiare. L’accusa: intralcio al traffico, e dunque arresto. Ma anche in prigione si rimette a disegnare — il ritratto dell’eroe nazionale — ed è il direttore del carcere che lo libera, gli affida i lavori di affresco della sua villa e di quelle dei notabili dell’epoca. Menegazzo diventa l’artista preferito del dittatore Jimenez. Pittore ufficiale del regime, Amen dipinge edifici pubblici, alberghi. Usa colori a cera e il suo stile particolare dato da figure stilizzate e immagini velate da malinconia hanno l’ammirazione e la simpatia dei suoi contemporanei. Era partito da Padova perché i collezionisti lo snobbavano. Era nato al Portello, e questo significava bassa estrazione sociale, e solo alla vigilia della grande guerra aveva iniziato il suo percorso nel settore dell’arte come illustratore. Al ritorno dal fronte si impiega al Genio civile, e contemporaneamente si occupa di manifesti pubblicitari e dell’ illustrazione di novelle e racconti (vedasi raccolta Salce- Museo di Treviso). Seguono poi i suoi lavori di affrescatore: nel ’37 decora il Cenacolo degli artisti, di cui diventa l’anima, voluto dal poeta e barista Bepi Missaglia e la Taverna dei poeti. Nel’47 affresca il bar del Bo, luogo d’incontro della goliardia universitaria di Padova. Prende inoltre parte alla decorazione della nave Conte Biancamano, prima militare ora civile, chiamato da Gio Ponti insieme con moltissimi altri artisti di spicco: Campigli, Sironi, Mascherini, De Poli. Ma la sua partenza avviene da pittore. Nella sua soffitta studio di fianco al Pedrocchi riempie tele su tele, in silenzio. Poi, alcune mostre, qualche premio, mostrano a tutti la sua bravura. Epppure nemmeno la sua bravura è sufficiente, non lo fa distinguere da tanti altri. Amen cerca la sua strada, e la trova nella sua fanciullezza. E’ infatti proprio in quel mondo che trova e inventa personaggi ingenui e vivissimi, immersi in paesaggi trasognati. Dice addio al lavoro d’ufficio e si dedica anima e corpo solo alla pittura . Lo loda Tono Zancanaro e Padova gli mostra benevolenza . Per questo ridiscende dallo studio in cui si era trincerato e si tuffa con gli amici in allegre bisbocce. Ma. A sessant’anni, quella vita non gli può bastare. Parte allora per Caracas, convocato da un amico per decorare un night, cosa che poi non avviene, anzi sopporta la prigione, che gli apre però inaspettatamente le porte del successo perché si ritrova ad essere il pittore più amato del Paese,e in seguito, grazie al quel successo, invitato a Los Angeles per una mostra alla Silvan Simone Gallery. E il suo trionfo non accenna a diminuire perché le conoscenze americane lo introducono nel bel mondo del cinema: conosce Lucie McGuinness, cugina dell’attore, che lo introduce a Hollywood. Tutte le star impazziscono per lui e fanno la fila per comperare i suoi quadri: Cary Grant, Rock Hudson, Frank Sinatra, Marlene Dietrich, Sophia Loren Rock Hudson, John Wayne che gli diventa amico, Abbe Lane, Marilyn Maxwell, insomma mezza Hollywood se ne innamora. Le sue tele finiscono perfino nei film. Lui abita in una villa a Beverly Hills, dove un’ereditiera si innamora di lui, che invece appena può scappa a Padova, e di notte scrive lettere in dialetto, frutto di una nostalgia insanabile. Lui vuole tornare a casa nonostante la fama, le numerosissime mostre allestite per lui nei centri più importanti: Los Angeles, Pasadena, San Francisco, San Diego, Parigi, Londra, dove vive successi trionfali e accumula parecchio denaro. Il pensiero che continuamente lo accompagna è quello di casa. Scrive infatti agli amici che ogni tanto gli inviano lettere e cartoline: «Io vorrei che fosse possibile l’impossibile. Essere qua ed essere a Padova» A Padova rientra già vecchio, malato (in California l’hanno operato di un cancro ai polmoni), nel 1969 . La famiglia è rimasta a Caracas, ma lui ha il suo studio, al Canton del Gallo, in pieno centro a Padova, dove rifrequenta le combriccole di artisti in osteria. Muore al geriatrico, a 82 anni. Il suo appartamento è pieno zeppo di opere, persino i muri di casa ospitano la sua dirompente creatività.
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fernanda ferraresso
Pe r Antonio Menegazzo, Amen come si firmava, Padova ha allestito quest’anno una mostra che è rimasta aperta fino al 3 febbraio scorso, subendo una proroga sui tempi stabiliti, visto il favore del pubblico, dato soprattutto dal passaparola su questo artista per lo più sconosciuto, come spesso capita, in casa propria.
Grazie, Fernanda carissima. Post preziosissimo.
chieo scusa ma quella uscita era una bozza salvata in automatico da wordpress che ogni tanto sceglie a modo suo. Ho sostituito ora con il testo definitivo quello scelto dalla “piatta”forma. f.f.
è una storia che fa riflettere, oltre l’arte, oltre la vita stessa resta da porsi la domanda su ciò che resta e passa come consegna
sono tele nostalgiche e insieme “spesse” di colori “dentro”
grazie Fernanda per la lettura che ci regali
Ho un suo quadro con dedica. Me lo donò a Padova nel 1962
era una buona anima Antonio.