SERENELLA GATTI LINARES- Io e mia sorella

suhair sibai

Suhair Sibai-sorelle

 .

Io e mia sorella abbiamo lo stesso numero di scarpa, gli stessi chili in più e il medesimo chiodo ficcato nel cuore. Ambedue soffriamo per mali d’amore. Io addirittura ci sono morta. Amiamo lo stesso uomo.
E non è vero che siamo sorellastre, come dicono. Siamo proprio sorelle, di sangue e ancora di più: per scelta.
Certo per me è stato sempre un po’ imbarazzante che lei si comportasse da “Cenerentola”, come tutti la chiamano.
Abbiamo spesso litigato ferocemente, ma si sa che fratelli e sorelle sono così: si attaccano ma poi guai a chi gli tocca l’altro.
Una bella palestra, fin dalla nascita. E’ in questa relazione che scopri il diverso da te, e il mondo. La lotta, la supremazia e la tenerezza, la protezione.
Al mio funerale non tutti piangevano. Non mi si può definire simpatica. A qualcuno ha fatto comodo e piacere la mia precoce dipartita.
Ma lei, mia sorella, Cindarella, Cedronella, che tutti hanno soprannominato “Cenerentola”, singhiozzava come un agnello pasquale sgozzato. I suoi occhi cerulei non avevano più lacrime.
Ho osservato il lungo, nero corteo dall’alto, dove mi trovo piacevolmente immersa in un’immensa luce bianca. Non pensavo partecipassero in tanti.
Mi hanno deposto sotto terra, coperta da un mantello di piccole margherite.
Non vedrò più nulla, sommersa da un profondo buio e raramente potrò tornare sulla terra, soltanto nei primi tempi.
E voglio farmi viva con mia sorella, per fare la pace, per chiarirmi con lei, prima che sia veramente esclusa questa possibilità.
Ammetto di non essermi comportata bene con lei. Ero bisbetica, autoritaria. Le strillavo:”Lo vuoi capire che non esistono quasi più i caminetti e soprattutto che le ragazze sedute sulla cenere non vanno di moda?”.
Io avrei voluto essere bruciata da morta, essere cenere contenuta in una piccola urna, sulla mensola del caminetto, ma non ho fatto in tempo a dirglielo. Un cancro fulminante mi ha portato via in due mesi.
Lei piangeva, dopo i miei rimproveri e borbottii. Era remissiva, un po’ troppo vittima. Dicevano che io fossi il suo carnefice. La invidiavo per il suo fisico armonioso e scattante. Ogni abito, anche poco costoso, addosso a lei faceva un figurone. Invece, io ero goffa e volgare con i vestiti firmati.
In discoteca tutti la corteggiavano e nessuno guardava me. Fu così anche la notte di Capodanno in cui conobbe colui che lei definì subito il suo “Principe Azzurro”. Agli uomini piacciono i tipi come lei.
La misi in guardia più volte. Le dissi che lui era al massimo “Blu aviatore”, “Bluette”, “Blu-viola”. Ma non ci fu nulla da fare. Si innamorarono, si sposarono ed ora vivono un matrimonio infelice, senza figli.
Il problema fu che anch’io mi invaghii di quel bellimbusto, che neppure mi vedeva. Mi dovetti accontentare del suo autista personale, che sparì, dopo aver saputo che ero incinta.
Come mamma, sono stata più affettuosa di quella di Bambi, e almeno di questo tutti mi hanno dato atto. Il mio ragazzino ha gli occhi marroni, grandi e dolci, quelli di un cerbiatto. Insieme andavamo nel bosco ed io lasciavo briciole sul sentiero, come Pollicino, per ritrovare la strada.
Per lui avrei attraversato monti e vallate, mi sarei trasformata nella Gatta dei Sette Stivali. Lo avrei protetto dalla strega cattiva, impedendogli di mangiare i mattoni di zucchero della casetta, al contrario di Hansel e Gretel.
Ho osservato mio figlio nel corteo funebre. Era stretto, abbracciato a “Cenerentola”.
Io e mia sorella amiamo le noci, il miele, i fichi secchi, il cedro amaro, le melagrane. Ho tanti ricordi di noi due insieme. Di quella volta in cui facemmo un viaggio in Spagna e la cameriera dell’hotel le rubò quel tubino nero tutto a buchi, che la rendeva supersexy. Di quella volta in cui le feci sparire lo smalto azzurro preferito, perché non completasse sulle unghie quel disegno di fenicotteri rosa così invidiabile. E quella volta in cui perse in un pic-nic la coperta “patchworck” che nostra zia ci aveva confezionato. Le feci una lunga rampogna, come se l’avesse fatto apposta.
Ora posso chiederle scusa. L’altro giorno sono scesa accanto a lei e le ho sussurrato piano:”Sei bellissima quando annaffi i gerani, sei bellissima…”. Ma “Cene” non mi ha sentito, non mi ha risposto. Si è soltanto scossa un attimo, il suo viso si è corrugato, attraversato da un’ombra, simile a polvere dorata, fuggevole, luminescente.
A volte, la sbircio mentre parla con i suoi amati animali: due cani, tre gatti, un pappagallino, una tartaruga, un coniglio, una gallina. Per ognuno di loro ha parole adatte e affettuose. Credo che la ricompensino del calore che non riceve più da quel ricco tanghero di suo marito. Ma soprattutto è contraccambiata dal mio bambino. E allora mi sento tranquilla, perché so che lei se ne prenderà cura sempre. Anche se non ce lo siamo dette.
A volte, mi dimentico di essere morta, non ne sono sicura. Cerco le sigarette sul mio comodino e la bottiglia di alcol che mi teneva compagnia.
Ho voglia di dire parolacce, di farmi uno spinello, di andare a ballare. Mi agito, apro la bocca come un pesce nell’acquario, ma non esce nessun suono. Come accadeva nei peggiori incubi notturni da viva. Mi viene voglia di fare dei dispetti  a “Cenerentola” come un tempo, di tirare un sasso con la cerbottana, di uccidere la prima rondine di primavera. Poi mi riprendo e so che avrò l’eternità per riscattarmi dell’odio, della cattiveria, della follia.
Io e mia sorella amiamo lo stesso uomo.

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Serenella Gatti Linares

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