TEMPIQUIETI – Maria Lai: tracce di un dio distratto. Di Cinzia Castelluccio e Chiara Maria Colombari

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Maria Lai è morta il 16 aprile u.s. Piccola donna delicata e schiva, la sua figura di artista esce potente dalle sue parole, dalle immagini delle sue opere, dal racconto che ha fatto della sua vita. Incontrarla è come subìre l’irradiarsi della sua forza creativa naturale e profondissima, restarne contagiati.I suoi libri di tela primordiali sono lei stessa, la voce della terra, dell’universo.Nel silenzio e nell’osservazione della natura, libera come il vento, rende visibili segnali, messaggi, voci arcaiche: le traduce e le colora, le lega, ci lega. Vita, arte, natura, socialità, tutto in armonia, in semplici bellissime opere senza tempo: immagini, parole oggetti che ci portiamo dentro come fossero eterni.
Maria, come la sua terra sarda, antica e fiera, ci propone semplicità, solidità, bellezza . Ogni sua opera è pura poesia. Ci lega ai suoi fili, indissolubilmente.

Di seguito uno scritto molto interessante di due giovani donne che hanno visitato la mostra a Milano”Tracce di un dio distratto”.

Vittoria Ravagli

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maria lai

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La Nuova Galleria Morone di Milano dal 7 febbraio al 27 aprile ha esposto opere di Maria Lai nella mostra “Tracce di un dio distratto”, curata da Manuela Gandini. 
Ci ritroviamo lì, l’ultimo giorno, senza predeterminazione, ma con una sensazione a posteriori come di un appuntamento inevitabile, un incontro illuminante, di quelli che segnano profondamente, suscitano curiosità, producono deviazioni. 
Diego Viapiana, direttore della galleria, ci chiede cosa sappiamo di lei. “Non molto”, rispondiamo. E comincia a raccontare della sua forza e lucidità, del suo essere schiva, lontana da ogni forma di mondanità, della sua idea dell’arte. “Ho faticato per riuscire ad esporre le sue opere. Tuttavia lo scorso anno l’ho portata anche a Miami”, dice con un certo orgoglio. E aggiunge: “Maria Lai è un’artista originale che deve essere conosciuta in Italia e a livello internazionale e io sento, come gallerista, di avere questo mandato”. 
In varie interviste Maria sostiene che l’arte è una forma di salvezza: “Non nasce uomo senza il bisogno dell’arte”, diceva; l’arte permette di capire  il proprio tempo e di esprimerlo. Eppure questa sensibilità premonitrice dell’artista non è quasi mai colta nel momento in cui si materializza nella sua opera. Il mondo ha bisogno di tempo per capire, di distanza, di distacco emotivo. “Mettete le mie opere in una stanza chiusa a chiave per cinquant’anni e poi apritela al pubblico: a questo punto è verosimile che il senso più profondo si manifesti, come è avvenuto anche per artisti del passato.” 

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La funzione dell’arte è l’argomento di “Tenendo per mano l’ombra”, uno dei libri di tela di Maria Lai, un nastro narrante da svolgere senza sosta, commossi dalla semplicità delle forme e della favola, metafora della vita e dell’arte. Diego Viapiana comincia il racconto: ogni uomo nasce con la sua ombra. Eppure soltanto alcuni riescono a reggerne  il peso; altri, la maggior parte, rinunciano alla loro ombra, la cedono per debolezza, per opportunismo, perché lusingati dal potere, perché incapaci di reggere la solitudine o, peggio, l’isolamento. L’integrazione si  paga con la perdita di identità, l’incapacità di affrontare periodi bui, con la massificazione e la mancanza di libertà. Se cediamo l’ombra, ci dissolviamo, perdiamo corpo, diventiamo punti anonimi nello spazio. Chi decide di tenere per mano l’ombra, a volte trascina un peso, a volte rischia di essere inghiottito da un enorme drago nero, che sgorga dalla terra e si innalza fino al cielo, oscurando lo spazio vitale. Ma il richiamo alla vita e l’affermazione della propria identità  prevalgono e danno inizio alla battaglia contro il buio, fino a scorgere, prima in trasparenza e poi sempre più nitidi, i colori della natura. L’arte alimenta il desiderio di riconoscersi e di affermare la propria identità, rende originali, individui unici, che filtrano il reale attraverso i propri sensi. 

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L’opera di Maria Lai attrae gli occhi e le mani, viene voglia di toccarla. Sentire i tessuti , il velluto e la tela grezza, liscio e ruvido, fili tesi che collegano parole immaginarie e grumi di filo scuro che straripano dalle pagine di tela bianca. “ Le sue opere sono sculture”,  precisa Viapiana, nonostante la maggior parte di esse si sviluppi su due dimensioni. C’è comunque una sovrapposizione di materiali, una ricerca di incastri espressivi e simbolici,  principalmente attraverso l’uso di tessuti e fili e immagini cucite.

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Tutto questo ci ricorda il passaggio dalle madri alle figlie, la memoria femminile,  che Maria Lai ama sottolineare in alcune interviste: si rivede bambina mentre osserva la nonna che cuce; insieme a lei muove i primi passi tra tessuti, ago e filo, in quell’attività che negli anni perderà il significato originale e si trasformerà nella sua narrazione simbolica di sé e del mondo. Così quando usciamo nella pioggia, confuse in mezzo a una  folla stordita dalla frenesia degli acquisti di un sabato pomeriggio a Milano, sentiamo dentro il conforto di un discorso antico, profondo, in un certo senso universale. E’ un discorso fatto di parole anomale: parole di filo, parole di donna, ortografia inconsueta, sintassi ineffabile ma dalla semantica chiara. Oltre il linguaggio codificato, prima e al di sotto delle parole che siamo abituati ad usare, giace un sostrato di senso che è tutto relazionale e dal quale nessun senso può prescindere. Che unisca, allontani o giustapponga, il filo mette in contatto. E il significato prende vita.

 

Cinzia Castelluccio – Chiara Maria Colombari

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Cinzia Castelluccio, nata a Lecce, vive a Sasso Marconi (Bologna). Dottore di ricerca in biochimica e biotecnologie, ha lavorato per molti anni nel campo della ricerca di base e applicata, sia presso l’Università di Bologna, sia presso il King’s College e il Guy’s Hospital di Londra. Successivamente si è occupata di valutazione e qualità della didattica e attualmente è responsabile della gestione di master e corsi di alta formazione presso l’Università di Bologna. Fa parte del Gruppo Marija Gimbutas di Sasso Marconi, con il quale condivide l’interesse per la poesia, la narrativa, l’arte, gli studi di genere, la scrittura femminile. Ha collaborato con Vittoria Ravagli all’organizzazione del convegno “TempiQuieti – Le donne si incontrano, si dicono madre (Sasso Marconi, ottobre 2010) e del Premio Giorgi Scuole, edizione 2011.

Chiara Maria Colombari, nata a Bologna, vive da qualche anno a Merate (Lecco). Dopo la laurea in filosofia e un master in business administration si è occupata di internazionalizzazione di piccole e medie imprese, sia come consulente su progetti dell’Unione Europea, sia come come export area manager. La passione per la scrittura ha portato, negli anni recenti, alla pubblicazione di un romanzo (Ho sognato uno spazio morbido, Antigone Edizioni, Torino, 2009) due racconti in antologie, premiati in due successive edizioni del Salone del libro di Torino 2010 e 2011, una raccolta di poesie (La notte e l’uovo, LietoColle, Faloppio, 2011), tre plaquettes per PulcinoElefante Edizioni. Nell’autunno 2013 uscirà con l’editore  La Vita Felice (Milano) una nuova raccolta di poesie dal titolo In assenza di buoni motivi. 

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7 Comments

  1. Maria era attenta e ben ancorata al contesto contemporaneo dell’arte ma desiderava con tutta la sua anima la fusione del passato, della tradizione, del ricordo nel presente. È ciò che la portava a creare legare la memoria alle anime dei posteri. E i suoi fili intrecciati hanno compiuto il miracolo.Bellissimo articolo, da sarda vi ringrazio per averla ricordata.

  2. ago e filo, amore della luce in trame di relazione, lontano dall’io, dall’egoismo di un esercizio senza memoria della parola
    grazie per questa terra fertilissima

  3. Che recensione originale, complimenti! Maria Lai era forse la più grande artista italiana. La sua poetica è immensamente lontana dai giochetti e dalle furbate che si vedono spesso alle biennali. Un’arte seria, coerente, totalmente femminile. Quando si pensa al paesaggio di Ulassai, dova ha creato la sua “Stazione dell’Arte”, alle sue dure montagne (i tacchi d’Ogliastra), alla vita difficile, isolata ed essenziale che vi conducono gli abitanti, si capisce che era il nutrimento della sua opera. La sua morte è una gran perdita.

  4. solo da imparare, meditare, assumere come energia del femminile, fusione dell’intelligenza libera e sapienza dell’arcaico.
    anna maria farabbi

  5. Grazie per averci offerto l’opportunità di conoscere o approfondire l’opera di questa straordinaria artista. C’è qualcosa (soprattutto nei suoi libri traboccanti di fili intrecciati o nelle sue tele piene di rammendi come parole che vengono da lontano), che richiama alla mente il libro degli incantesimi e sortilegi delle donne Maya, qualcosa di antico e profondo che non si può non “ascoltare”

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