maria grazia brunetti
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Questo scritto ‘Il tao del mosaico’ è un omaggio alla mia carissima amica, grande artista del mosaico, Maria Grazia Brunetti, morta a Firenze il 13 febbraio 2013 mentre io ero ancora in Australia. La lontananza acuisce il dolore e il senso di perdita, tanto più se durante la vita c’è stata relazione intensa e vicinanza. E lei era così consapevole di questa vicinanza che, quando io ho scritto la sua biografia per lasciare testimonianza della sua specialissima personalità creativa, ha voluto che la modificassi intrecciandola alla mia. E così ho fatto: da qui il titolo del racconto biografico “ Vite Intrecciate”, ancora inedito, da cui è tratto il pezzo ‘Il tao del mosaico’, che invece è stato selezionato al concorso ‘Il filo di Eloisa’ di Orvieto ed è pubblicato nella relativa antologia ‘Vite da raccontare’ (strana coincidenza dei titoli!).
Grazie a Vittoria Ravagli e a Carte Sensibili ho la possibilità di ricordare questa piccola grande donna e di farla rivivere attraverso il suo lavoro – vedere il sito www.mosaicomoderno.it
Anna Zoli
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maria grazia brunetti
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IL TAO DEL MOSAICO
La mia amica Maria Grazia Brunetti (Graziella per familiari e amici) ed io siamo senz’altro due persone molto diverse, ma con sotterranee affinità e almeno una base comune: Faenza, la nostra città natale, ammesso e non concesso che quest’origine comune possa costituire veramente una base di affinità.
Faenza, “perla bianca della Romagna rossa”, come l’ho sempre sentita chiamare anche quando ancora non ne capivo i riferimenti politici, dall’aria ridente e apparentemente sonnolenta, ma sotterraneamente pervasa da forti umori che si manifestavano all’esterno in due attività molto diverse, anche se ambedue creative: la ceramica e la maldicenza.
Rimaneva però comunque sempre lo scenario di una vita intonsa, quando cioè “ancora non era successo niente”.
Lei faceva parte di questo scenario ancora prima che io la conoscessi, poiché era già allora, a metà anni ’50, un personaggio di spicco nella città e per me, più piccola di lei di diversi d’anni, era il segno di una possibile anelata libertà.
Caracollava per le vie della città con la sua massa enorme di capelli biondi arruffati, in bilico sugli altissimi ciabattoni con la zeppa che portava in anteprima (facendoseli fabbricare appositamente per compensare la bassa statura) e naturalmente si faceva notare per quel suo abbigliamento estroso, per quei tempi quasi un travestimento.
Bastava anche meno per fare parlare la gente, ma lei poco se ne curava e, anzi, forse neanche se ne accorgeva, concentrata com’era sulle sue personalissime motivazioni. Tipico atteggiamento da artista, dceva la gente con un certo qual tono condiscendente; e in effetti lei artista lo è, nel bene e nel male, in tutte le sue manifestazioni in una misura tale come non ho mai conosciuto nessuno, la quintessenza dell’artista, direi. Se è vero che l’opera di un artista è la risultante di svariate componenti (è impregnata della sua personalità, prende corpo dalla sua preparazione e, soprattutto, rispecchia la sua visione del mondo), una donna impegnata nel mondo dell’arte non fa eccezione e, in più, porta nel suo lavoro una specificità fatta della sua storia e di un immaginario inevitabilmente legato al suo corpo di donna, anche se inevitabilmente trasfigurato in maniera simbolica. Il discorso tanto più vale per lei, la mosaicista dotata, legata alla concretezza dei materiali come un’artigiana, ma proiettata nella figurazione delle idee come una visionaria. E come donna? Storicamente determinata da un’epoca di passaggio, da una classe sociale in declino (l’alta borghesia), appesantita da vecchi modelli introiettati, sensibile, ma non del tutto catturabile, dalle nuove idee e dai movimenti d’avanguardia del momento.
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Una donna di transizione, dunque, per di più dall’aspetto bislacco e buffo, fuori dal tempo e dallo spazio.
Già all’inizio degli anni ’70 la sua vita si svolgeva fra Ravenna, patria del mosaico, dove insegnava, e la periferia di Bologna dove conviveva con l’amore di quegli anni, il suo maestro, il suo idolo vivente e idealizzato, in un “capannone di arte e vita” che avevano costruito insieme; lui, il pittore famoso, e lei, la mosaicista dotata, uniti da un ideale d’arte che andava oltre il rapporto puro e semplice di un uomo e di una donna normali. Infatti da quell’unione non nacquero figli, ma opere musive: pavimenti, soffitti, muri.
Fondamentale il suo contributo, sia in fase di progettazione che di realizzazione delle opere. Lavorava con la passione e l’originalità di una mente fervida e bizzarra: le tessere si componevano rapidamente sotto le sue dita abili in disegni e volute, come spinti dalla forza del pensiero prima che dal movimento delle mani. Io però la conoscevo da metà anni ’60, da quella domenica in cui ci capitò di sedere vicine sul pullman del C.A.I. in gita sciistica sull’ Appennino Romagnolo. Di lei ricordo più che altro che sfoggiava un vecchissimo paio di sci di legno tutto tarlato denominati subito dal capo comitiva ” Luigi XV” e che addosso aveva un’improbabile tuta nera con giacchetta a vita, sempre di pelle nera, assolutamente fuori luogo per i campi di sci dove eravamo diretti. Questo suo aspetto anticonformista senza età contrastava fortemente con l’ambiente di provincia e con il perbenismo della sua famiglia altoborghese a cui lei tentava disperatamente di adeguarsi, ma con scarsissimi risultati
Era nata in una casa rossa nella zona residenziale della piccola città, da una famiglia benestante con un ramo di nobiltà, per di più impregnata di cattolicesimo. Non c’è dubbio che noblesse oblige, come si suol dire, nel bene e nel male. E la prima a farne le spese è stata indubbiamente la sua spinta all’emancipazione. Difficile conciliarla con le convenzioni del suo gruppo sociale. Amata, viziata, riverita solo se rimaneva chiusa in famiglia; studi superiori e università, purché finalizzati ad una riuscita sociale nell’ambiente bene in cui la famiglia era inserita. Le spinte all’autorealizzazione, all’indipendenza economica, all’autonomia erano quindi vissute come stramberie inaccettabili e centrifughe rispetto alle esigenze della madre che la voleva vicino come dama di compagnia, gingillo coccolato e viziato.
Per reagire a queste richieste, per sottrarsi a quei ricatti, aveva dovuto far perno su di una forza più grande di lei, pagando un caro prezzo in termini di rinunce dolorose al calore del nido, all’accettazione del suo ambiente, alle comodità di una situazione privilegiata. Ma alla fine gliel’aveva fatta. Più sotto la spinta inconsapevole di un progetto incorporato, che per una forte intenzionalità, aveva seguito un percorso tortuoso che alla fine, in una maniera fluida e apparentemente casuale, l’aveva portata nella direzione giusta. Aveva frequentato una scuola d’arte, si era specializzata in mosaico e infine aveva intrapreso la professione d’insegnante della materia per cui si sentiva portata, nel cui campo, a seguito di un’originale ricerca personale, era poi approdata all’invenzione del mosaico moderno.
Non più quindi, imitazione dell’antico, ma personale reinvenzione tutta sua di tecniche e materiali. Quando la guardo, penso che in effetti è sempre difficile immaginare questa piccola donna buffa, perennemente in bilico su zeppe altissime in apparente equilibrio instabile, alle prese con solidissime pareti di edifici pubblici, di pavimenti di piazze, di soffitti di ville su cui riesce a imprimere le sue visioni ermetiche e cosmiche in volute composte da minuscole particelle dei materiali più diversi. Vedendola lavorare sul cantiere rapida, concentrata e sicura, così diversa dalla pigra, confusa, distratta e perdigiorno di chi la conosce nella vita quotidiana, si capisce che è entrata in un’altra dimensione, in cui c’è sì lei tutta intera, mente, cuore, istinti, desideri, tecnica e preparazione, ma c’è qualcosa in più che la trascende e di cui non è per nulla consapevole. Vogliamo chiamarla ispirazione?
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Usando parole sue, “io mi sento una porta aperte da cui passa quello che non so; da parte mia, ci metto solo disponibilità e mancanza di rigidezza.” Semplice come la creazione, no?
Seguendo quindi questa linea di minor resistenza lungo una traiettoria apparentemente casuale costellata di graduatorie ministeriali, ad un certo punto si ritrovò a Firenze, dove l’aspettava una cattedra all’Istituto d’Arte.
Altra scuola, altra città, altro compagno, altro ambiente, forse a lei più congeniale per sensibilità e abitudini, della provinciale Ravenna o della grassa e dotta Bologna.
Ad una pizzeria all’aperto nel centro di Firenze infatti, destino volle che si sedesse gomito a gomito con un bel moro dall’occhio languido e voglioso che, di lì a poco, passando attraverso una convivenza strisciante lenta ma sicura, divenne il compagno dei suoi anni futuri. Questo non le impedì affatto di impegnarsi nel lavoro, che, d’altra parte, lei non cercava mai. Doveva arrivare a lei come “piovuto dal cielo”.
E così sempre succedeva. Come piovuto dal cielo infatti, le fu offerto un grosso lavoro in Sardegna: la pavimentazione di una piazza in un paesino vicino al mare in provincia di Cagliari: Piscinas.
Vi si recò con l’entusiasmo di una volta e l’umiltà di sempre.
Come sempre succedeva, sul cantiere avvenne la trasformazione: divenne efficiente, pratica, intraprendente, quasi seduttiva. Coinvolse tutte le maestranze nella ricerca in loco dei materiali: frammenti di rocce, sassi, materiali ferrosi, quali solo una terra antica e generosa come la Sardegna sapeva offrire. Poco tempo dopo organizzò una scuoletta a Giba, il paese più grosso lì vicino per iniziare i giovani, ma soprattutto le giovani, ai rudimenti della tecnica musiva. Ne ebbe in cambio, oltre a una fattiva collaborazione, un inaspettato diario in cui le allieve andavano annotando con semplicità le difficoltà, i progressi, le impressioni, le reazioni. Insieme con gli schizzi e le lettere al compagno, il diario venne a costituire un ricco dossier, testimonianza del lavoro artistico, tecnico e umano compiuto nel comune di Giba.
A questo punto anche la parentela (sempre la più difficile da conquistare), si mobilita, ormai raggiunta dalla sua fama. Ed ecco che un nipote, anzi, un “figlioccio” (che lei a suo tempo ha tenuto a battesimo), persona sensibile all’arte e al bello, si fa avanti e si offre di fare quello che io, da data immemorabile auspicavo, senza essere in grado di farlo personalmente: un sito web, dove finalmente raccogliere il suo vastissimo lavoro, pronto così per essere consultato dai giovani e tramandato ai posteri.
Questo segna una svolta epocale per lei che, pur continuando a rifiutarsi di imparare anche solo i rudimenti dell’uso del computer, capisce l’importanza di internet, della rete per ottenere quello che è sempre stato il suo scopo principale: essere utile ai giovani, appunto, e mettere a loro disposizione il suo lavoro e le sue idee.
Allora capisco la ragione di questa sua inedita efficienza. Non sta vivendo un quotidiano indifferenziato. Lei è “sul cantiere”: sta lavorando, sta componendo un mosaico, il mosaico della sua vita e sta cercando, peraltro riuscendovi, di mettere a posto le ultime tessere, le più difficili, perché rimaste a lungo sospese.
E’ per questo che, al di là dell’affetto e dell’amicizia, ammiro questa donna per la sua saggezza e la ritengo un modello, forse scarsamente imitabile, ma meritevole di rispetto e ammirazione da parte di tutti.
Se ne volete una prova, visitare il sito: www. mosaicomoderno.it
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Tratto da : “vite da raccontare” Lietocolle Editore
Riferimento in rete: http://www.lietocolle.info/it/aa_vv_il_filo_di_eloisa_vite_da_raccontare.html
Apprendo ora e con molto dispiacere della scomparsa di Maria Grazia. E’ stata la mia insegnante di mosaico, a lei devo molto.
La sua vivacità artistica e di personalità era contagiosa. Una donna raggiante e solare. Sapere che non c’è più, mi addolora profondamente.
Prendo questo libro a esempio per la generosità e onestà di cui è tessuto: l’autrice porta la personalità e l’opera della sua cara amica artista, Maria Grazia Brunetti. Il punto di vista della narrazione è strettamente personale, avvolge la propria biografia, tuttavia riesce a ritrarre l’originalità intensa di Brunetti, rimandando a un più esteso panorama.
Alcune foto aiutano a comprendere qualità e significati.
Se ciascuno di noi portasse la bellezza di un’altra creatura amata per trasmetterla e diffonderla….
anna maria farabbi