michael shapcott
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“ (…) Il merito di Assiri sta dunque nell’aver portato a metodo la visione del “chiunque”, nell’aver scritto in nome e per conto di tutti senza esplicito incarico, ma avendone implicito permesso causa il valore dell’analisi (…)”.
Avevamo lasciato Assiri qui, impegnato nella coralità del canto, quando s’era resa una sensazione intorno a La stanza delle poche righe (Manni, 2010), e qui lo ritroviamo, discontinuo eppure coerente nel gesto, con un lavoro che sembra emendare l’esperienza vissuta sul piano collettivo attraverso la nemesi della disillusione personale, in una sorta di “nostalgia della sconfitta” come in Jung da vecchio – (…) Non possiamo e non dobbiamo rinunciare a far uso della ragione; e neppure dobbiamo abbandonare la speranza che ci soccorra l’istinto (…) – .
Il linguaggio scelto – fuori di metafora, diretto, eppure a tratti lirico senza necessità di vergognarsene, come vorrebbe certa critica militante per giustificare l’appartenenza ad una presunta contemporaneità – alterna il “dolore della memoria”, delle mancate accoglienze –
E tutte le favole che ci sporcano in casa
gli scalini che ho rifatto per vedere se respiri
con la vita che dai fianchi non coincide
per tutti i padri che misuriamo ad intenzioni
con momenti di interrogazione senza domanda –
E anche qui che ci mancava l’idea stessa di aver niente
restavamo appesi ai ferri convinti di allevare santi
tra le parole sottolineate di una grammatica di sputi
Assiri sembra “mimare di schiena” (rispetto all’Insegnante Tempo) le soluzioni ai “compagni di classe” – dove i compagni non sono solamente “scolastici” e dove la classe non è soltanto appartenenza all’età – per contribuire al successo in una scuola dell’esperienza estrema, che l’autore ripercorre intera, senza finzioni, forse con l’orgoglio di vedere confermato nel presente lo strabismo di una stagione che sembrava preludere a un cambiamento che non c’è stato, in nessuna delle direzioni possibili.
L’editore prima – con la collocazione di In tempi ormai vicini in una collana “di poesia giocosa e satirica” – e il prefatore poi – insistendo sull’aspetto satirico di un libro che nulla c’entra con Aristofane, hanno inspiegabilmente operato a sminuire il lavoro di Assiri, che si situa, viceversa, in uno scaffale alto della poesia civile del nostro Paese, in quell’area dove i meccanismi non svelati passano per il coraggio delle retroguardie, dei rincalzi che hanno spiato dai buchi delle serrature i loro fratelli maggiori spingersi nei territori dell’eskimo (prima) e del piombo (poi).
La scrittura di Assiri rimane – nel solco della sua “tradizione” – piena, sonora, densa di un’umanità ruminata a lungo e di una pietas mai addomesticata a buonismi di maniera.
Con In tempi ormai vicini l’autore si (e ci) regala una “ricreazione del pensiero ritornato”, per la quale non solamente la sua generazione gli deve gratitudine e riconoscimento di valore.
Augusto Pivanti
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Alessandro Assiri, In tempi ormai vicini, Edizioni CFR, 2013
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Altri riferimenti in rete:
http://www.edizionicfr.it/Libri_2013/06_Assiri/Assiri.htm
http://ellisse.altervista.org/index.php?/archives/648-Alessandro-Assiri-In-tempi-ormai-vicini,-nota-di-Narda-Fattori.html
http://miolive.wordpress.com/2013/03/23/alessandro-assiri-non-ce-piu-niente-di-civile/
http://rebstein.wordpress.com/2013/03/20/in-tempi-ormai-vicini/http://lastanzadellepocherighe.blogspot.it/2013/03/augusto-pivanti-su-in-tempi-ormai.htmlhttp://www.poesia2punto0.com/2013/03/23/incontro-con-lautore-assiri-e-guglielmin-a-verona/
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non mi resta che leggerlo per intero.Grazie.f.f.