roman rivera
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Non sempre, la qualità dell’opera coincide con la qualità della persona che l’ha creata. Insisto, come gesto spirituale, politico, sociale, prima ancora che letterario, nel proporre luce su individualità che testimoniano interezza tra il fare intellettuale e artistico e la propria interiorità. Attraverso questa intervista, incontriamo parole asciutte, limpide, di una serenità piena che non conosce ostentazione né febbre autoreferenziale: la voce di Francesco Roat sparge l’eccellenza di Walser con sentimento e colta proprietà. Colgo ancora un’occasione, dopo altre in passato, per approfondire l’officina scrittoria di Roat, nella sua lunga e riconosciuta tessitura narrativa e saggistica, mentre nelle sue risposte si apre lo straordinario paesaggio della personalità e dell’opera di Robert Walser.
Ancora una volta una piccola case editrice, come Vox Populi, malgrado ogni sofferenza economica e scarsa distribuzione, riesce a far nascere un segno importante.
Ancora una volta, io lettrice, ringrazio la generosità di uno scrittore intenso e rigoroso, come Francesco Roat, che dona il proprio ricco contributo alla piccola editoria.
. INTERVISTA .
1) Quando e perché è nato il tuo desiderio di scegliere l’opera di Robert Walser per farne oggetto di studio, in un lavoro poi che ti ha impegnato così tanto?
Come sempre – per quel che mi riguarda, quantomeno, s’è trattato di un innamoramento. In modo simile al mio saggio precedente su Rilke e le sue splendide “Elegie Duinesi”, ciò che mi ha spinto a scrivere su Walser proviene da un’attrazione fatale nei confronti dei suoi testi. Insomma, mi sono imbattuto in primo luogo nei romanzi della cosiddetta trilogia berlinese e poi nelle sue poesie (non dimentichiamoci, infatti, che questo autore era anche un poeta, un vero poeta) ed è stato un colpo di fulmine. Perciò invito senz’altro i lettori che ancora non conoscano questo grande scrittore di lingua tedesca a prendere in mano un qualunque libro di Walser; credo non ne saranno delusi. Robert, infine, oltre che profondo per quanto concerne l’ambito spirituale, è un affascinante fabulatore. La sua prosa è lieve ma al contempo intensa; chiarissima ma densa di riflessioni; poeticissima infine per la magia di immagini e metafore. Provare per credere.
2) All’interno della storia della letteratura svizzera ed europea, come si colloca l’opera e la personalità di Robert Walser?
Diciamo che Walser è uno dei sommi autori elvetici e di lingua tedesca del 900. Sta dunque accanto a personaggi molto più popolari di lui, quali gli svizzeri Friedrich Dürrenmatt e Max Frisch. Non dimentichiamoci che Walser, sin dalle sue prime composizioni, fu amato da lettori come Kafka, Musil, Canetti, Benjamin, Hesse, che intuirono subito il suo valore. Comunque ancor’oggi, a livello di grande pubblico, pure nei Paesi di lingua tedesca, la popolarità del Nostro non è certo minimamente pari agli altri grandi scrittori dello scorso secolo. E in ogni modo potremmo dire che, rispetto alla sua Weltanschauung – alla sua visione del mondo – Walser oggi sia senz’altro inattuale. Lui non mirava a divenire famoso, a guadagnare dai suoi libri, a conquistarsi una posizione di qualche prestigio. La sua filosofia di vita fa dunque a pugni con l’ideologia individualistica oggi imperante, secondo la quale ciò che più conta è emergere, affermarsi ad ogni costo, ottenere successo denaro e potere, essere ammirati. I protagonisti dei romanzi di Walser, invece − similmente a Robert − non si attaccano ad alcuno status, ruolo o identità. Non hanno legami o almeno cercano piuttosto di liberarsi da ogni attaccamento/dipendenza, vivendo il dasein (l’esserci) radicati nel presente senza particolari brame e soprattutto accogliendo, senza opporvisi, perdite e sconfitte. In tal modo essi rivelano una profonda spiritualità, che appartiene ovviamente al loro creatore.
3) Walser in Italia è quindi ancora sconosciuto per il grande pubblico?
Sì, in parte è così. Però ricorderai che “Jakob von Gunten”, l’ultimo grande romanzo del Nostro, viene pubblicato in Italia da Adelphi (a cui va in ogni caso il merito di aver tradotto quasi tutta le sua opera) solo nel 1970, quando Walser era morto ormai da 14 anni. E’ comunque paradossale constatare come lui non sia nemmeno uno scrittore particolarmente “difficile”, essendo la sua prosa (mai cupa o cruda) assai lineare e soprattutto forte di una semplicità/essenzialità da risultare leggibilissima. Ma forse la sua scarsa popolarità sta nel fatto che Walser da noi è sempre stato considerato un novellatore, un minore. Non a caso l’unico libro che ha conosciuto una certa fama in Italia è il romanzo breve o racconto lungo “La passeggiata”.
4) Dopo aver letto nel saggio la tua capillare analisi delle principali opere dello scrittore, si raggiunge l’ultimo capitolo intitolato CLAUSURA, con una necessità forte di entrare nella biografia di Walser per tastare il silenzio di un’interiorità così inquieta e indecifrabile. Giustamente, come è nella tua qualità di saggista, tu aderisci esclusivamente all’opera, con segno asciutto, essenziale, rispettoso del privato. Ti chiedo di narrarci un breve ma pregnante ritratto di Robert Walser, anche per i lettori che non lo conoscono, mettendo in luce la sua andatura scrittoria ed esistenziale in equilibrio sottilissimo.
Parto subito dalla “clausura”, ossia dalla clinica psichiatrica di Herisau, presso cui Robert rimarrà rinchiuso per circa un ventennio, fino alla morte, dopo essere stato degente in un altro ospedale, in seguito ad una chiamiamola sbrigativa/imprecisa diagnosi di schizofrenia. Elias Canetti ha parlato di quel luogo paragonandolo ad un monastero, ad un romitaggio. In effetti là Walser perfeziona la sua lunga opera di spoliazione dal superfluo (ricordiamo che egli, da ultimo, non possedeva nemmeno una copia dei propri libri), di eliminazione delle istanze egoiche. Ad Herisau infatti trova compimento la sua kenosi, il processo di un vertiginoso svuotamento-abbassamento che lo fa umile tra gli umili e che ricorda assai da vicino la dichiarazione d’intenti espressa dal protagonista di “Jakob von Gunten” quando dichiara: “Io, nella mia vita futura, sarò un incantevole zero, tondo come una palla”. Ovvio come tale propensione/aspirazione a divenire eine Null, (uno zero o una nullità) non debba apparire affatto masochistica. In quanto tale modalità spirituale è stata sempre fatta propria (o ha costituito la meta) di innumerevoli mistici, asceti e maestri religiosi presso varie e dissimili culture ed epoche, sia in Occidente che in Oriente. Ed è comunque emblematica la stessa fine di Walser che morirà all’improvviso d’infarto, solo come sempre visse, durante una passeggiata invernale lungo un pendio nevoso. C’è tutto il Nostro in questa fine: la solitudine (o soletudine, per usare una parola di tua invenzione, Anna Maria) non vista come status privativo/negativo ma come pienezza di un vuoto spiritualmente colmissimo; l’essere immerso, il sentirsi tutt’uno con la natura; la sua assoluta e “pura” semplicità/povertà. O, se vogliamo, autenticità di un esser sempre teso a cogliere l’attimo, a vivere il presente con grata accoglienza, dimorando nell’hic et nunc, qualunque cosa la vita gli prospetti. Ciò non vuol dire incoscienza/indifferenza, quanto piuttosto un candore innocente, la freschezza di chi è in grado anche da adulto di stupirsi dinnanzi alla sperduta radura d’un bosco (Waldwiese) o, se vogliamo, di avvertire la presenza del divino in ogni cosa. Insomma, anche per Walser vale la sentenza espressa nelle Duinesi da Rilke: “Hiersein ist herrlich” (esserci è meraviglioso). Vorrei infine accennare all’opzione risolutiva di Walser, che ad un certo punto decise di non scrivere più prendendo rifugio nel silenzio, perché tutte le parole erano già state espresse.
5) A parte le tematiche lavorate, che tipo di scrittura usa Robert Walser? Ha cambiamenti stilistici nel corso degli anni?
Non è semplice o, meglio, è a grave rischio di banalizzazione rispondere in poche parole ad una domanda sul registro stilistico-espressivo di Walser che, in ogni caso, secondo me non muta significativamente nel corso degli anni. Piuttosto approfitto dell’occasione per invitare i lettori a leggere il mio saggio dove, spero, riusciranno a trovare una risposta più esauriente alla tua domanda.
6) Esiste un’attualità nell’opera di Robert Walser, oggi, proprio oggi, dentro questa società frenetica, decadente, cariata da vertiginose speculazioni del mercato, consumismo frenetico, disoccupazione, confusione sociale ed esistenziale?
Ho accennato sopra, in modo provocatorio, all’inattualità di Walser; ma paradossalmente potrei anche affermare che oggi, in un certo qual senso, egli sia più attuale che mai presso coloro i quali, appunto, non si ritrovano più o non si sono mai ritrovati in questo mondo occidentale decadente/confuso − come bene lo chiami tu − e soprattutto che non tiene in nessun conto la dimensione spirituale. Leggere Walser invece può servire per farsi almeno un’idea della opportunità di aprirsi ad una prospettiva altra, ad un’ottica altra con cui guardare al mondo, alle cose e alle persone in una maniera meno egocentrata.
7) Questo lavoro su Walser ti ha consegnato qualche oro per la tua interiorità e per la tua qualità di saggista e narratore?
Certo. Mi ha rivelato la ricchezza del Walser povero, il quale non possedeva nemmeno i libri che aveva scritto – torno a ribadirlo –, che è quella spirituale o mistica di chi sa cogliere con mano e cuore lievi, senza né attaccamento né evitamento, qualunque cosa accada. Questo alla fin fine è l’insegnamento prezioso che possiamo ricavare dagli scritti walseriani ossia la necessità – per dirla con Simone Weil – dell’accettazione.
8) Come si coniugano in te le vie della saggistica, della traduzione e della narrazione?
Non c’è da parte mia opzione privilegiata in merito a queste tre vie espressive. O meglio: a seconda del momento avverto − o semplicemente mi accade − di avere l’esigenza di scrivere: vuoi un testo narrativo, vuoi un testo critico-argomentativo e vuoi di cimentarmi (con molta maggior fatica, devo dirlo) con la traduzione dal tedesco: lingua dolcissima, poeticissima e musicalissima, anche se uno stereotipo sciocco vuole il contrario. Intendo che non opero una vera e propria scelta, rivolgendomi a questa o quella opzione, ma piuttosto una sorta di obbedienza al daimon, per usare una espressione cara ad Hillman.
9) A cosa stai lavorando ora? C’è a breve una tua nuova pubblicazione?
Visto che non sono capace di stare con le mani in mano, ho davanti a me tre lavori aperti. Il primo, in parte già abbozzato, è un saggio sul mito di Faust in Goethe e altrove. Il secondo, per gran parte ancora da scrivere, è un romanzo sull’enigmatica relazione fra Hitler ed Eva Braun. Il terzo, cui ho messo mano solo da qualche giorno, è la traduzione delle ultime poesie scritte da Hoelderlin. Vedremo cosa/se riuscirò a concludere… Un’ultima notizia. Nel gennaio 2013, in occasione del giorno della memoria, uscirà un mio romanzo, edito da Lindau, dal titolo: “I giocattoli di Auschzwitz”, ambientato giusto nel Lager per antonomasia.
Anna Maria Farabbi
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FRANCESCO ROAT, La pienezza del vuoto
Tracce mistiche nei testi Robert Walser, Vox Populi
www.vxp.it Via Guglielmi 19 38057 Pergine Valsugana
Come sempre le interviste delle “Trasmissioni dal faro” svelano personalità di notevolissimo spessore umano e culturale: leggere e rileggere questi dialoghi apre prospettive arricchenti e crea anticorpi eccezionali contro una realtà spesso degradata e degradante.
Un particolare GRAZIE a Francesco Roat per aver sottolineato con convinta passione la bellezza e la musicalità della lingua tedesca.