james guppy
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Il caldo sale dalla schiena, prende le braccia, il viso. Via questa felpa insopportabile. Ho le scarpe bagnate di rugiada e steli di fieno mi graffiano le caviglie. Ci sono mattine in cui la luce mi sembra troppa; aspetto il pomeriggio come una speranza, guardo l’orologio e spero che la pausa del mezzogiorno sia vicina, con la sua routine, l’acqua che bolle, il giallo della pasta, il rosso del sugo, il dito che fa una spirale nella tazza del riso crudo, un buco in quello mondato. Foglie umide di radicchi le mie dita spezzettano. Via le scarpe bagnate dall’erba, via le calze di spugna appese al manico della bici ad asciugare.
Mi sdoppio e sfarfallo. M’imbozzolo e rinasco. Ho il ritmo di un valzer e quello di una taranta. Sono due, io, sempre due.
Assomiglio ad una forcina per capelli, di quelle ricurve. Avvolgo e raccolgo, fisso e libero, sfioro la pelle e la pungo. Sono più antica di un elastico. Sono più timida di un nastro.
Spero, io, donna forcina. Spero nell’angolo di un cassetto, in una scatolina vuota dove rifugiarmi se Lei si taglierà i capelli, aspetterò di essere ritrovata e riconosciuta. E due, sempre due! Tra il vizio di perdersi e quello di ritrovarsi, tra il racconto e l’ascolto di queste avventure. Sono la donna che sono, il risultato della mia storia, il riflesso di limpidi specchi curati da una donna magica, la nota musicale di un oceanico pentagramma. Sono questo istante prezioso, l’opportunità che colgo, la forza che spendo.
Si usava così: per un tempo ormai lunghissimo han custodito nodi, segreti e perplessità, illuminate mai. Protette sempre.
In questa mattina di sole d’aprile il verde è troppo verde, il rosa del fior di pesco abbaglia, il giallo delle giunchiglie sfacciato e il violetto dei giacinti poi! Cosa vuole da me, il violetto dei giacinti? Troppo cielo! Troppo bianco il mio cane, troppo ambrati gli occhi del cane di mia zia. Ruvida questa vecchia felpa, adesso che si son mossi i pensieri e producono calore da dentro mentre qui fuori è una cascata di luce, tutta spruzzi e rimbalzi.
Lei non assomiglia a me, non ha questa pelle olivastra. E’ rosa, è quasi senza pelle e può farle male tutta questa luce. Sono spaventata.
Ricordo bene quel sospiro, poi siamo cadute dentro al girotondo, intorno a noi chiome scure di donne. Fissavano La ferita, e non potevo proteggerla. Lei è diventata La ferita. Ma ho scorto sorrisi naturali sui loro volti indistinti.
Si sono prese il lungo sospiro, hanno preteso una caduta e un’incondizionata resa. Sono state la nostra culla dondolante mentre una sola voce ignota scolpiva una sola frase tra le note di una nenia sconosciuta: “ogni nodo è un dono, ogni nodo è un dono”. Al risveglio profumo di giacinti, sole caldo sui piedi nudi.
Proteggere la pelle delicata di una ferita è proteggersi. Può darsi che durante questo impegno il movimento non sia più libero ed i pensieri abbiano sapore di fatica, di primo mattino.
Federica Trenti
se ogni nodo è un dono speriamo almeno che un dono non sia anche ogni nodo