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Attraverso l’appassionata ricerca di Marco Travaglini abbiamo avuto modo di conoscere una figura veramente singolare: Alberto Spadolini.
Prendendo le mosse da un capostipite delle avanguardie italiane come Anton Giulio Bragaglia, Spadolini si impone in Francia all’attenzione dei grandi artisti dell’epoca, artisti di rilievo assoluto come Max Jacob e Jean Cocteau che riconoscono in lui una versatilità innata nell’arte della danza, della coreografia, della pittura, della scenografia … Impressionare questi artisti che negli anni ’30 erano i punti di riferimento della cultura mondiale (ricordiamo che era il tempo dei Ballets Russes di Sergej Diaghilev, c’era Nijinskij a Parigi), impressionarli a tal punto da ricevere da loro giudizi di grandissima ammirazione è una cosa che ci sorprende e ci appassiona. Come ci sorprende e ci appassiona che Spadolini non abbia mai studiato danza ma solo scenografia. Per cui io ritengo che tutto quello che ha fatto Marco Travaglini, in una appassionata ricerca che è durata anni, per ricordare a tutti noi che c’è stato un italiano che si è imposto all’estero, che ha fatto conoscere un versante della nostra cultura, del nostro saper essere anche improvvisatori, è una cosa che ci commuove. E ciò testimonia di una grande passione verso l’arte che non possiamo non riconoscergli.
La scoperta dell’archivio
Sono caduto dalle nuvole quando, nell’autunno 1978, zia Giorgia, con la voce rotta dall’emozione, mi ha chiesto telefonicamente di aiutarla a traslocare dalla sua casasartoria di Fermo. Nemmeno per me è facile lasciare i luoghi in cui ho trascorso gli anni più belli della mia giovinezza. Dopo aver caricato su di un camion mobili, letti, tavoli, sedie e, con particolare cura, alcuni quadri dipinti da mio zio Alberto, domando alle zie: “In soffitta non c’è niente da portare via?” “Hai già lavorato abbastanza!”, protesta Giorgia. “Ci sono solo vecchi stracci!”, cerca di dissuadermi zia Maria. Testardo come un mulo volo fino all’ultima rampa di scale, apro la porta e scruto attentamente nella semi – oscurità. Un tempo questo era il mio regno. Da piccolo qui correvo a nascondermi quando i miei genitori venivano a prendermi per ricondurmi a casa al termine delle vacanze. Da adolescente è qui che mi rifugiavo per ascoltare i primi dischi dei Beatles e dei Led Zeppelin. Conosco ogni angolo di questa soffitta: il camerino con i ritagli di stoffa; la parete dove sono ammucchiati i giornali di moda; i manichini che mi divertivo a far girare come trottole. Un cartone con la scritta ‘Alberto Spadolini’ cattura la mia attenzione. Di questo zio, morto a Parigi nel 1972, so ben poco. Anche la sua morte è avvolta nel mistero: ne siamo stati informati con due giorni di ritardo e qualcuno, nel frattempo, ha fatto sparire dal suo appartamento documenti, libri e diari … “Non c’è più posto qui dentro!”, protesta il conducente quando cerco di salire a bordo del camion con lo scatolone. “Non si preoccupi, lo tengo in braccio!”, lo tranquillizzo.
Ben presto mi rendo conto di aver scoperto ‘l’archivio Spadolini’. All’interno sono stipati un centinaio di fotografie degli anni ’30, manifesti, libri, articoli, spartiti musicali, depliant degli spettacoli di danza e delle esposizioni di pittura in Francia, in Svezia, in Belgio, in Germania, in Danimarca, in Italia, in Africa, in America, in Estremo Oriente…L’archivio Spadolini resta a lungo nello scatolone. A punzecchiarmi ci pensa l’amico Antonio Bortolotti che più volte mi esorta a studiare quegli ingialliti documenti. Nel maggio 1986, convinto di sapere tutto, scrivo un articolo su zio Alberto per la rivista “Quaderni del Centro C. G. Jung”. Nel 1999 riprendo le ricerche e, certo di aver svelato anche gli ultimi segreti, insieme ai miei studenti dell’Istituto Statale d’Arte ‘F. Fellini’ di Riccione dedico a Spadolini un capitolo del libro “Alla scuola dell’albero: crescere secondo natura”. Ho quasi dimenticato quella storia finché con la mia famiglia, nell’estate del 2004, trascorro le vacanze a Parigi. Mi reco sulla tomba di Spadolini nel cimitero parigino di Saint-Ouen e, con enorme sorpresa mi avvedo che, a distanza di trent’anni dalla sua morte, qualcuno gli porta ancora fiori freschi. Nella speranza di rintracciare lo sconosciuto amico dello zio lascio nel sottovaso un bigliettino con il mio recapito. Dopo qualche mese squilla il telefono… un accento francese… e, come per incanto, entro nel magico mondo di Spadolini. Novello ‘Indiana Jones’ rintraccio alcuni dei suoi più cari amici; entro in possesso di alcune sue lettere rimaste sepolte per 70 anni in una cantina; recupero un centinaio di preziosi documenti nelle biblioteche di Parigi e di Londra; scopro una trentina dei suoi dipinti fra cui uno nella collezione dell’ex primo Ministro Giovanni Spadolini, suo lontano parente; ricevo in regalo il costume di scena da lui indossato migliaia di volte per danzare il “Bolero” di Ravel … e mi arrendo all’evidenza: ho conosciuto solo “la punta dell’iceberg” Spadolini.
Allievo di Bragaglia
Alberto nasce il 19 dicembre 1907 nel quartiere Piano di San Lazzaro ad Ancona. Le sorelle ce lo descrivono come un bambino intelligente, amante dello sport e di ogni forma d’arte. Ricorda della sua infanzia la grande amica Margherita Golinelli:“Amarlo era facile: era molto buono e affettuoso. L’unico difetto, se si può chiamarlo tale, era la sua vivacità, una cosa incredibile. Egli non stava mai fermo. Scattante come una molla, voleva rendersi utile in tutto e per tutto. Amava la natura, la campagna. Dato che lo zio Luigi possedeva un orto, Alberto gli era sempre vicino per aiutarlo ma purtroppo, mancando di pratica, era più il danno che l’utile. Alberto dialogava con tutti, non faceva distinzione fra giovani e anziani, proteggeva i più deboli con tanta generosità.”
La sua mente è sempre in fermento: fantastica luoghi leggendari, eroiche imprese che mette in scena con i suoi amici. Con qualche asse di legno ed un telo strappato è in grado di allestire un palcoscenico dove si esibisce in piccoli spettacoli teatrali. E c’è sempre qualcuno disposto a fermarsi per ascoltare le gesta di Giulio Cesare o di Sandokan. Spadolini è ancora un bambino quando apprende dal maestro anconetano Baldinelli i primi rudimenti della pittura.All’inizio degli anni ’20 Alberto approda a Roma al Teatro degli Indipendenti di Anton Giulio Bragaglia (Frosinone 1890 – Roma 1960) di cui diventa allievo ed amico. Bragaglia accomuna l’interesse per molteplici discipline come archeologia, cinematografia, fotografia, scenografia, musica e danza moderna, grafica, pittura, scultura, senza disdegnare l’esoterismo. ‘Talpa Anton Giulio’, come scherzosamente lo chiamano i suoi amici, scavando nel sottosuolo di palazzo Tittoni a Roma trova nuove gallerie e da esse ricava gli spazi per aprire il Teatro Sperimentale degli Indipendenti. Qui porta in scena opere di Campanile, Pirandello, George Bernard Show, Orio Vergani ed allestisceben cinque Gallerie d’Arte. A proposito di Spadolini scrive lo storico dell’arte Stefano Papetti: “…l’amicizia con Anton Giulio Bragaglia, che lo conobbe e sostenne nei primi anni romani, si manifesta nel cinetismo delle figure che discende da una personale revisione del dinamismo caro ai futuristi. Negli anni della gioventù di Spadolini, le Marche avevano vissuto infatti una stagione artistica caratterizzata dal diffondersi fra gli artisti più giovani di un esasperato desiderio di rinnovamento: a Macerata, in particolare, pittori come Monachesi, Tulli e Pannaggi avevano raccolto il testimone di Boccioni dando vita ad una tarda stagione futurista in seno alla quale può iscriversi anche l’esordio di Spadolini.”
Prediletto da Gabriele d’Annunzio
Carmelo Petix, grande amico di Spadolini, nel corso di un colloquio nel 2005 mi sorprende raccontandomi che mio zio ha conosciuto Gabriele d’Annunzio (1863 – 1938). La conferma mi giunge solo nel maggio 2007. Patrick Oger mi spedisce un pacchetto contenente alcune fotocopie del libro “D’Annunzio”, edito a Parigi nel 1971 da Arthème Fayard, scritto da Philippe Jullian, giornalista del “Figaro Littéraire” e autore d’importanti biografie, fra cui quella di Oscar Wilde e Sarah Bernardt. Nelle prime pagine del volume, insieme ai ringraziamenti a S. M. la regina Maria José, alla principessa Bibesco e ad André Malraux, Jullian così ringrazia l’artista marchigiano: «Spadolini, il celebre ballerino, mi ha raccontato il soggiorno, fatto da giovanissimo, al Vittoriale». Dopo aver perso un occhio nel corso dell’ammaraggio vicino a Grado nel 1916, ed essere sfuggito al bombardamento di Fiume nel 1920, d’Annunzio trova il suo estremo rifugio a Gardone Riviera, sul lago di Garda, nella tenuta di Cargnacco. I lavori di sistemazione di quello che diventerà il Vittoriale degli Italiani, emblema del ‘vivere inimitabile’ di d’Annunzio, cominciano nel marzo 1923 sotto la direzione dell’architetto Giancarlo Maroni e la supervisione dello stesso d’Annunzio. Il Poeta ha una grande passione per il corpo, femminile e maschile, e la sua residenza è ornata anche di disegni, bronzi e riproduzioni di giovani, donne e uomini; in una nicchia della Stanza della Cheli (sala da pranzo così chiamata dal nome greco della tartaruga che troneggia in mezzo al tavolo) si ammira, ad esempio, il busto di Antinoo, bellissimo giovane vissuto nel 130 d. C. amato dall’imperatore Adriano. Jullian scrive nel suo libro che Spadolini divenne il prediletto del Poeta alcuni mesi dopo il ‘volo dell’Arcangelo’, ossia la misteriosa caduta dalla finestra di Gabriele d’Annunzio del 13 agosto 1922 in seguito alla quale rimase dodici giorni fra la vita e la morte. Ma ecco il brano dello scrittore francese:
«La testimonianza di un uomo nel quale il ricordo di una grande bellezza e di un grande successo sulla scena non è stato, come spesso accade, deformato o guastato dagli anni, precisa i sospetti che nascono anche nella mente del visitatore meno prevenuto. Venuto giovanissimo al Vittoriale nel 1924, allievo di un decoratore incaricato di metter in scena un’opera nel primo teatro all’aperto, il nostro testimone ci dice che d’Annunzio, a cui la vista si era molto abbassata, sarebbe stato all’inizio attirato dalla sua voce e si sarebbe attaccato a lui come a un paggio che lo avrebbe guidato nei giardini per dirgli tutto ciò che vedeva. Nacque così un’amicizia.
Giovane pittore
“Pensate che da adolescente mentre studiavo nello stesso tempo la pittura e la scenografia, ho lavorato da muratore per non morire di fame. Costretto ai peggiori bisogni, alle privazioni, io ho preso l’abitudine alla sopportazione, alla forza e al disprezzo della stupidità…” Negli anni ’20 Alberto frequenta anche l’Accademia di Belle Arti. Naturalmente ogni giorno egli torna nelle Gallerie degli Indipendenti dove oltre ad essere aiuto-scenografo, partecipa ad una mostra collettiva con due dipinti. In quella occasione gli artisti d’avanguardia lo sfottono con la peggiore delle accuse: “Sei un passatista!” Spadolini sembra non prendersela. Ma alcuni anni dopo con un intervistatore francese sfoga la sua rabbia: “Si, dall’età di 14 anni io dipingo. Ho studiato in Italia alle Belle Arti. E’ una distensione che mi fa dimenticare la fatica … Si, amo dipingere il cielo, il mare, le nuvole; amo la pittura per esprimere l’illusione dell’aria e della realtà. Non bisogna, penso, deformarla per fare un’opera psicologica. Io voglio che i miei quadri diano l’illusione del vero non dello stilizzato. Bisogna, in una tela, sentire la freschezza dell’aria, la leggerezza delle nuvole, come se si guardasse da una finestra. Un personaggio che si muove non bisogna deformarlo. Così io penso che ora non si faccia della vera pittura. Che vuole che si faccia dopo Leonardo da Vinci o Raffaello? Si è andati avanti in tutto nella nostra epoca, salvo in pittura e se io ho un odio è verso quelli che abbruttiscono la nostra generazione con una falsa estetica, un odio che mi dà voglia di picchiarli …” Del periodo romano, insieme ad alcuni bozzetti di scena, ho rintracciato il ritratto dello zio Luigi Veronesi, a cui Alberto è molto affezionato, dipinto da Spadolini nel 1924; una Madonna con le mani congiunte ed A fianco: “S. Francesco d’Assisi” di Spadolini, 1925. La foto è stata scattata nel 1937 nella Chiesa di Bradford – USA (Coll. B-S n. 168). il “San Francesco d’Assisi” del 1925, di cui ci resta solo una fotografia in bianco e nero. Alberto è particolarmente legato a questo dipinto tanto che lo sistema con molta cura nella casa paterna ad Ancona. “Purtroppo negli anni ’30 Angelo Spadolini, padre di Alberto, impiegato nelle Ferrovie dello Stato, è licenziato per non aver aderito al Partito Nazionale Fascista. Trovandosi in gravi ristrettezze economiche, egli è costretto a vendere il ‘San Francesco’ ad un commerciante di Venezia che, a sua volta, lo rivende al curato della Chiesa di Bradford (USA). Quando Alberto lo scopre si infuria e promette a se stesso di rintracciarlo. Dal mercante si fa rivelare il nome dell’acquirente ed l’ora di varcare l’oceano. L’occasione giunge alcuni anni dopo. Spadolini sbarca in America per una tournée nel 1937. Appena si libera dagli impegni di lavoro assume a New York un fotografo e si reca nella cittadina di Bradford per avere almeno una foto di quell’opera. Opera che a distanza di anni è ancora capace di commuoverlo.” È la fine degli anni ’20. Benito Mussolini, stanco della troppa indipendenza di quel gruppo di giovinastri capeggiati da Bragaglia, organizza anche lui una beffa: ordina la chiusura definitiva del Teatro degli Indipendenti che ormai naviga in acque sempre più agitate a causa di problemi finanziari. Con una valigia di cartone Spadolini sale sul treno che lo conduce in Francia. Grande è il rimpianto nel lasciare tanti amici e soprattutto Bragaglia e Pannaggi che sta per partire per la Germania ed il Bauhaus. Nelle loro orecchie risuonano per l’ultima volta le note del ritornello di Curzio Malaparte: “E’ Bragaglia quella cosa che antongiulia i giovanotti quando poi li fa barzotti quelli scappano a Parì”
La cultura fisica
Verso la metà degli anni ’30 il giornalista Fernand Mercier intervista i grandi ballerini dell’epoca sulla preparazione fisica.
Serge Lifar (1905 – 1986), danzatore fra i più celebri del suo tempo, collabora nel 1932 ai Ballets Russes di Monte-Carlo, proprio quando uno sconosciuto decoratore di nome Spadolini s’inventa ballerino. Lifar e Spadolini partecipano con le loro danze allo spettacolo che si svolge a Parigi il 14 luglio 1935.
Mona Paiva, ancora oggi celebre per le fotografie che la ritraggono mentre balla nuda insieme a Nikolska sull’Acropoli di Atene.
Joséphine Baker (1906 – 1975), cantante e ballerina, domina per mezzo secolo le scene mondiali. Fra il 1932 e il 1935 Joséphine e Spadolini si esibiscono in Francia e all’estero.
Anche Spadolini giudica l’educazione fisica fondamentale:
“ Spadolini è una statua degna dell’ antichità. Egli dice che la cultura fisica calma i nervi che sono sempre sotto pressione. ‘La cultura fisica è indispensabile non solamente per la nostra arte, ma anche per l’equilibrio del corpo.’ Nel suo studio presso piazza Clichy noi ritroviamo Spadolini: solo davanti ad un immenso specchio esegue movimenti che gli permettono di presentare le sue danze acrobatiche in modo impeccabile. Dice: ‘Mi sorprendete in palestra perché fuori piove. Ma non dovete pensare che io non faccia altri esercizi all’infuori della danza. La cultura fisica? Che cosa ammirevole! Essa è indispensabile! Potremmo restare in forma senza mai praticarla? Io la pratico sei ore alla settimana, particolarmente all’aria aperta, allo stadio. Comunque non supero mai i sessanta minuti per seduta. Per non annoiarmi alterno la corsa al tennis … Per me l’esercizio fisico è un piacere magnifico, poiché ho orrore dello sport passivo”.
Prime prove della Televisione Francese
“Il nudo di Spadolini è statuario, puramente plastico: il suo impeto è temperamento scevro da sottintesi banali. Danza da maschio e non da ‘femello’ come tanti suoi colleghi; e la sua acrobatica, nella estrema aspirazione del volo, è diversa da quella che conosciamo dei russi, appunto perché è virile… Quando Spadolini parte in volo il suo viso si abbuia e gli occhi gli si accendono di febbre: così egli inizia la sua confessione fisica e spirituale…” “E’ uno spettacolo veramente magnifico quando entra in scena, completamente nudo, con l’aureola di porpora, bello come un dio. La sua figura, degna del cesello di Prassitele, il suo corpo abbronzato fanno di lui una visione nello stesso tempo impressionante e mistica…” Fra le tante incredibili avventure di Spadolini, Alex Wolfson ricorda un episodio accaduto nella metà degli anni ’30, quando essi dividevano lo stesso appartamento. Un giorno egli riceve una ben strana telefonata: “Sono Georges Mandel, c’è Alberto?” Mandel è l’allora Ministro delle Poste e Telecomunicazioni francese. Nell’udire ciò Alex pensa ad uno scherzo dei soliti buontemponi e riattacca. Poco dopo, nuovo squillo del telefono: “Forse non ha capito, sono Mandel!” Questa volta Alex infuriato non trattiene la sua ira, prorompe con pesanti parole nei confronti dell’interlocutore e riattacca. Più tardi gli sorge un piccolo dubbio e telefona al Ministero: era proprio Georges Mandel furibondo, non solo con Wolfson, ma anche e soprattutto con Alberto. Questi è infatti, a suo dire, responsabile di uno scandalo di Stato: nel corso delle prime prove della televisione francese ha ballato completamente nudo. In seguito essi si riappacificano e Mandel avrà parole di elogio nei confronti del danzatore.
Fa ingelosire Pablo Picasso
Grazie alla lettera di presentazione di Gabriele d’Annunzio alcuni dei momenti salienti nella carriera di Spadolini si realizzano con Maurice Rostand (Paris 1891 – Ville d’Avray 1968), poeta e romanziere, figlio del celebre Edmond. Rostand sceglie il danzatore marchigiano per lo spettacolo teatrale tratto dalla sua opera “Catherine empereur” che si tiene al Théatre National de l’Odéon a Parigi il 27 ottobre 1937. Nel 4° atto fa la sua apparizione Spadolini, sotto forma di ‘dono danzante’ del Ministro Potemkine all’Imperatrice Caterina di Russia. Nel ruolo dell’Imperatrice è l’attrice francese Yvonne de Bray. Ad assistere alla commedia “Catherine empereur” ci sono due spettatori d’eccezione: Jean Cocteau e Jean Marais. Quest’ultimo ricorderà nelle sue memorie proprio quell’interpretazione di Yvonne de Bray che fra il 1943 e il 1948 verrà scelta per la straordinaria trilogia: “Les parents terribles”, “L’aigle à deux tetes”, “L’éternel retour”.
Catherine empereur
“Dove sono i regali annunciati ?”
Potemkine “Il primo è per vostra Maestà Imperiale. Portatori, avvicinate il regalo vivente che ho portato a Sua Maestà l’Imperatrice!” (Entrano 4 paggi che portano una specie di treppiede incartato che scartano e da dove emergerà un piedistallo su cui balla un danzatore nudo di una bellezza eccezionale.)
Tutti
“Quant’è bello!”
Potemkine
“Una notte, Maestà, l’ho visto danzare sulle rive del Danubio. La luna tremolante metteva in risalto le sue spalle. Veniva dal mare un soffio di primavera e l’ho fatto cogliere immediatamente con la sabbia d’oro che gli bagnava i piedi per portarlo così a vostra Maestà affinché avesse il piacere di vederlo danzare …Balla come ballavi sulle rive del Danubio, una sera in cui i roseti di Costantinopoli sembravano venire sulle ali del mare! Balla davanti alla tua imperatrice!”
(Tutti si sono messi in cerchio intorno al danzatore. L’orchestra suona! Lui balla! Caterina lo guarda con immensa melanconia, misto di tristezza e languore) Catherine empereur
“Potemkine, Potemkine, nessuno mi ha mai fatto regali come te!”
Potemkine
“Vedi non è più bello di qualsiasi cosa al mondo! La luce fa scivolare i suoi raggi sui suoi fianchi e il suo collo è simile a colonne d’avorio per reggere quel capolavoro che è il suo viso!”
Catherine empereur
“Non vedo più la bellezza sugli altri da quando conosco Zoubov!”
Potemkine (Indicandole il ballerino)
“Pensa ai baci che darebbero queste labbra, pensa all’abbraccio di questo corpo senza precedenti, pensa alle carezze di queste
mani di bronzo …”
Spadolini è uno dei soggetti preferiti dai fotografi degli anni ’30. Recentemente ho scoperto che una bellissima fotografia, in cui l’artista marchigiano appare nudo, bello come un dio, con una misteriosa sfera in mano, è opera di Dora Maar (1907 – 1997), assistente di Man Ray, e per molti anni compagna di Pablo Picasso. Dora Maar fotografa Spadolini per la brochure dello spettacolo teatrale “Catherine empereur” di Maurice Rostand. Questo è anche uno dei suoi ultimi servizi fotografici. Infatti dal 1937 Dora Maar abbandona la macchina fotografica per darsi alla pittura, ‘plagiata’ da Picasso che sembra non abbia mai digerito quel servizio fotografico! All’epoca Picasso termina 100 litografie, molte delle quali mitologiche, per la collezione “Suite Vollard” utilizzando spesso Dora Maar come modella. Alla collezione Bolero-Spadò fanno parte anche 6 litografie “Suite Vollard” di Picasso, riedizione Hatje, 1956.
Commiato
“Quando, nel lontano dopoguerra, Alberto Spadolini veniva in Italia era un avvenimento per tutta la famiglia e una festa per noi bambini. Ricordo che la prima volta venne da étoile di una grande rivista con Walter Chiari, poi da protagonista e regista di film sulla danza. Quando parenti e amici lo complimentavano, lui si schermiva: con loro voleva solo ricordare le sue tante esperienze di bambino e adolescente fra il porto di Ancona, i caffè e i teatri di Roma. Così usciva dall’aura dell’artista (per noi bambini, e anche per qualche adulto, incomprensibile) per rivelare la sua grande umanità. Ancora oggi, mentre ammiriamo i dipinti che ce lo ricordano, è proprio il suo valore di uomo che ce lo rende presente.”
Alberto Spadellini, maggio 2007
Alberto Spadolini si sente, si crede, è un sensibile artista e la naturale, incontenibile, dirompente espressione del suo intimo essere è, a mio avviso, il segreto dello straordinario successo raccolto in ogni arte interpretata da questo eclettico talento naturale. L’archivio di Spadolini, punto di partenza di lunghe e fruttuose ricerche, ci permette di incontrare gli intellettuali e gli artisti del ‘900 in quel palcoscenico straordinario che è Parigi. Una vita tessuta da intense relazioni nelle quali Alberto è, di volta in volta, allievo, maestro, collaboratore, protagonista, ispiratore, amante, amico … I riflettori lo accompagnano per mezzo secolo nei teatri, nei cabaret, nelle gallerie d’arte, nei bistrot, nella vita privata. Eppure, di tutto questo, racconta ben poco alla madre, al fratello e alle sorelle che nel dopo-guerra visita regolarmente ogni anno. Anch’io, bambino e ragazzo, ero affascinato dalla sua persona, dalla sua vita Oltralpe, dal saperlo pittore ma solo ora scopro il suo talento ed il suo ruolo di protagonista in quel crogiolo di artisti, faro e riferimento di tutta l’Europa, che è la Ville Lumiere Le luci, le amicizie elette non lo hanno corrotto e posso dire che l’amore profondo, l’onestà e la generosità sono i suoi più importanti valori. Come abbiamo visto sono numerose le testimonianze di coloro che nei momenti di maggiore bisogno sono stati aiutati da Spadolini. Come Alex, ebreo di origine russa da lui nascosto durante l’occupazione nazista; o come Duilio, il ragazzo povero ed ammalato da lui cresciuto come un figlio; o come Betty, la ballerina svedese finita su di una sedia a rotelle da lui aiutata; o come Alì, giovane musulmano a cui ha insegnato l’arte della pittura; o come Carmelo, prezioso testimone dei suoi ultimi anni di vita. Inoltre per anni egli presta il proprio aiuto come volontario all’Hopital de Dieu de Paris.“ … il ricordo che vorrei cancellare: qualcuno che avvisa mia madre della morte dello zio Alberto Spadolini, l’attesa del rientro di mio padre, la mamma che cerca di trovare il coraggio per comunicargli la morte del fratello, poi la sua partenza per il funerale la Parigi, i giorni seguenti al suo ritorno tristi e taciturni. In seguito mio padre comincerà a dipingere e a costruire cornici abbellendole con conchiglie che andava a recuperare sulle spiagge dell’Adriatico. Non so quale collegamento possa esserci tra la sequenza degli eventi, purtroppo non ho fatto in tempo a domandarglielo, o non ho trovato il coraggio, mio padre è morto dopo alcuni anni. La ‘morte’ , l’ho sempre pensata come il capolinea della nostra vita, immaginare che qualcosa potesse resistere dopo di lei era per me inconcepibile. Ma il dubbio si è insinuato, e una delle cause è sicuramente la enacia di mio cugino Marco nel sollevare tutto questo ‘polverone’ sullo zio, e non solo sulla figura dell’artista eclettico, non ho dubbi che le opere accompagnino l’artista oltre la morte, ma sull’uomo, sul suo coraggio per le scelte fatte in gioventù, per le decisioni poi prese in una situazione storica che ha attraversato i decenni precedenti e seguenti la Seconda Guerra mondiale. E’ stata soprattutto questa ricerca che mi ha trasmesso la sensazione di averlo per un attimo seguito in qualche istante/frammento della sua vita e mi ha indotto a coltivare la speranza che abbia trasmesso anche a noi qualche gene, non artistico nel mio caso, ma, mi auguro, nella capacità di comprendere e interpretare la vita senza pregiudizi e preconcetti.”
Mario Spadellini, maggio 2007
Si può ben dire che Spadò ha fatto della propria
vita un’opera d’arte!
RIFERIMENTO ALL’ARTICOLO COMPLETO:
http://www.albertospadolini.it/1%20-%20STORIA%20DI%20UNA%20SCOPERTA.pdf
http://www.albertospadolini.it/5%20-%20Spadolini%20spia%20con%20licenza%20di%20danzare.pdf
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