Bruno Walpoth
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Volevo, all’inizio, pubblicare la sua email di risposta al mio invito a spedirci dei testi per il blog. Dentro quella sua lettera c’è il moto delle onde e la bonaccia del vento quando la parola scivola come una barca che ti porta là dove vuoi essere. Lucetta mi inviava i suoi versi con una prodigalità quale solo il mare o il vento donano trasportando a riva e dentro di noi profumi lontani,venuti da terre che, come in quelle interiori di Lucetta Frisa, hanno una vibrazione, un corpo che mette in risonanza anche il nostro, in ascolto.
Regale, non solo regalo, è l’offerta gratuita e ampia dei versi inediti, pochi lo fanno, pochissimi, ed è invece in quelli che trovo la più prodiga offerta di sé, di quelle terre ancora vaganti, inquiete, che circolano nelle basse maree dell’attesa e hanno però l’intenso profumo del lavoro appena svolto, c’è un corpo esposto e tutto il suo epistolario d’amore e furia in cui la vita si fa mondo. E aggiunge nella chiusura della lettera:
<< Se ritieni che il post sia troppo breve non hai che da dirmelo e io…aggiungerò. I sonetti sono i primi tre di una serie intitolata semplicemente “Sonetti dolenti e balordi”. Pubblica il tutto- se ancora l’idea ti piace- quando vuoi e puoi. Anche a settembre, ottobre ecc.
Te li affido con affetto (verso di loro e di te). lucetta. >>
Li accolgo con tutto il cuore che posso, sento che posso abitarli, mi trattengono nella loro sostanza, nella loro allegra agitazione e posso cercarmi, mentro cerco lei, Lucetta, che ad ogni rigo si fa nitida, netta, apertamente prossima, un’aria respirabile, percorribile, in una intimità rigorosa, sonora, illuminante anche nelle profondità di luoghi che credevo disabitati, perché è come quando comprendi che sei tu dentro l’universo ma nell’attimo stesso in cui respiri è l’universo che si fa te, in una contemporaneità magnifica.
fernanda ferraresso
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Bruno Walpoth
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da L’emozione dell’aria (CFR, 2012, introduzione di Gianmario Lucini)
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Cerca la tua anima
come il musicista i tasti
Emily Dickinson
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allegro
agitazione
aria di strana festa
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in seguito nomineremo
agitazione
aria di strana festa
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accordi
umori
distanze
altezze
timbri
che di colpo mutano registro
alterano prospettive
rovesciando mondi
ma per questo
bisogna attendere
L’inizio è sempre vivace
presto
non va sprecato il tempo
all’inizio sembra lento
presto è rapido rapido
noi si indietreggia e avanza
sarà sudore o danza
immobile ancora e canto
immobile in gola e si sa
che l’incontro annunciato
di messaggeri e messaggi
non c’è mai stato
né ci sarà
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con fuoco
versa Khayam
il vino –
capogiro
canto
inno
freccia di vento
fuoco!
o dèi!
aguzza folgore d’ebbrezza
il suono!
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largo
luce
l’ampia nota del mezzogiorno nello spazio regale tra le dita
la mano
a tutti gli angoli del mondo
lieve solenne conduce
aria coro orchestra
rotondi dai piedi ai capelli nell’impero
vasto del respiro che tutto accende e fa
sollevare
allargare
le note lunghe lente pensano fumo e polifonia
lucente si alza anche la testa
tra gli orizzonti l’orgoglio siede in trono
intorno
intorno
si riflette intorno
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minuetto
secondo la fisiologia la variazione
segna il nostro tempo
il gioco
intreccia passi contropassi e punge
le tragedie con i tacchi
il dolore
si compone e scompone
scoccano risatine sciocche
le unghie
scintillano degli angeli e schiocca
l’azzurro lucidato
ma siamo noi queste ali di striscio
nere
rapaci
su cristalli e ciprie?
sussurri
ringhi pigolii fischi richiami
di voci ed echi
di spartiti antichissimi
e tutto ahinoi si complica
si complica
.
tempo di marcia
si dovrebbe solo obbedire
obbedire a un unico ritmo
bianca linea e nient’altro
che spicca su questo nero
e non spezzare
mai le simmetrie non spezzare
mai le simmetrie che marciano
marciano senza mezzi toni o cadute
e ci sgravano
dal pensare e dal patire
passacaglia
l’enigma di questa stanza è
la stanza
ci stringe in un cerchio uguale
specchia i volti le danze e i lunghi balzi
di noi cani noi pesci e corna d’alce
che proviamo a sfondarla e ci impigliamo
in tende fluide
senza strappi
o vampa rapida di fuoco
L’enigma di questa strada è
la strada
che cammina da sé tornando indietro
seduce conduce spingendo
avanti
avanti
verso il trompe l’oeil
berceuse
come riascoltare i suoni
elusi dal tempo?
nell’antico tempio della nuca
trattenerli
come dolci ombre
del perduto paradiso
dentro di lui
sono immersi
gli animali
Credo
per Tomàs Luis De Victoria
io credo
in questo primo ultimo giorno
dentro il mio fiato e credo
a ciò che ascolto e vedo
da questa carne sconnessa
io credo
nella tristezza nella stanchezza quando
non fiamma non voce dietro le cose
nessun orgasmo sento
ma putrescente inerzia e spegnimento
io credo che la spina
della morte ficcata sottopelle
cammini fino al cuore
io credo
nel suono fatto carne
pane a pezzi
diviso qui tra noi
l’ininterrotto amore
fratturato
nei sassi e nella mente
scosse
lampi
aprono nel dormiveglia
ferite d’aria
io credo
al suono che si aggira
senza nome
ci sfiora
basso come il ridere del grillo
forte come la lingua del tuono
ci scavalca
va
***
Questa confusione di suoni c’è sempre stata. Ma adesso, si avverte di più. Sono tutti dentro la testa. Gli assolo di violino, ad esempio, si fanno rari. Domina un brusio sordo di qualcosa che assomiglia al tamburo, una batteria fastidiosa, un fragore nuovo, solo a momenti affiora ancora qualche vibrato di un vecchio violoncello. Poi l’orchestra si sfalda, gli strumenti stonano, si dissolvono uno ad uno, come in Les Adieux di Haydn. Accade soprattutto la notte perché i sogni, i grandi sogni, sono muti, afasici. La fisiologia del sognare sprofonda in luoghi inferi irraggiungibili. La sordità si avvicina al mutismo onirico. Adesso svegliarsi all’alba e riascoltare i suoni della casa dà stordimento, oppressione. Nessuna coltre musicale attutisce le atroci torture dei prigionieri. La guerra è finita, perduta. Si avvertono suoni che sembrano simili a suoni, ma non lo sono. A volte, però, la luce restituisce energia, meccanicamente noi solleviamo la testa (l’antica orchestra sembra tornare con sonorità sconosciute). Anche la luce esterna è illusione, ma solo per chi sa che è il cervello a illuminare tutti i paesaggi, a nominare tutti i suoni.
Bruno Walpoth
INEDITI
Volevo l’estasi
Per Alejandra Pizarnik
Vedi, io vivo con un coltello
dentro lo stomaco.
Mi taglia a pezzi l’infanzia
mi taglia le pupille
che vedono solo notte e squarci.
Tutte le cose hanno lame spille
angoli punti spigoli
e parole spinose.
Le mie
stanno acquattate come bestie in allarme
si dolgono di solitudine
incurabili, inascoltate.
Non c’è nulla di morbido al mondo.
Nella culla
al posto dei cuscini e dei ninnoli
mi misero le scarpe slacciate
le bambole rotte il latte amaro
e il pensiero della morte.
Mi cullarono con le forbici
trapanato il sesso scorticata
la bocca perché parlassi
solo di ossa
della colonna vertebrale del mondo
albero sempre invernale.
Volevo l’estasi
il perpetuo orgasmo tra terra e parole
volevo
il corpo emotivo della bellezza.
Nell’aldilà
troverò piume e sete
sentirò volare i miei capelli
dolcemente snodati
dalle ariose dita dio un dio primaverile.
Tre sonetti
L’occhio di Dio guarda fisso dall’alto
l’occhio del morto fissa da sottoterra
la linea curva vacua che sta in mezzo
dove gli umani vivono relativi.
Quand’è finito il tempo della lotta
e dell’offesa che insieme a noi diventa
polvere resta l’attesa dell’alto
o del basso secondo le proprie
inclinazioni. Bisognerà fare
testamento solo per sé se l’occhio
di Dio e del morto non leggeranno.
Chang-tzu già sapeva questo aprendo
i suoi sensi umani verso l’immenso
dolore di ogni cosa che scuote l’aria.
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Aprendo i suoi sensi umani il dolore
si fece insopportabile come la gioia
lui volle proteggersi dalla rovina
degli eccessi e dal presente che costringe
azioni ed emozioni a recitare
qui il loro teatro e cominciò a salire
il colle sopra la città e comprese
tempo spazio distacco camminando
in salita respirando pensando
e non pensando più. Il corpo pensava
da solo i suoi occhi pensavano
tutte le direzioni: si fermò
a tradurre il suo grande sogno in libro
ma sapeva che l’amore non si legge.
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Questi occhi chiusi guardano ogni pianto
dice in silenzio il Cristo di legno
il braccio allungato per gravità
di dolore e di terra quasi schiodato
tra strepiti d’alto e basso. Ma non cadrà
mai cadrà per lo squilibrio misterioso
mai il mondo smetterà di generare
dolori orrori pianti guerre e morti
nella luce dei suoi occhi ritorti
verso l’altro luogo speculare. Questa è
la divina e umana troppo umana
follia d’amare. E sento uno strappo
al braccio – una vertigine – e cado giù
in bilico tra la follia e l’abisso.
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Bruno Walpoth
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Lettura critica di Anna Maria Farabbi
Ci viene incontro questa piccola, eroica, casa editrice CFR info@edizionicfr.it diretta da Gianmario Lucini, ancora una volta con un buon lavoro di critica e di proposta poetica.
Lucetta Frisa è autrice nota nel panorama della letteratura italiana, non solo per la poesia ma per la traduzione dal francese, per la narrativa per ragazzi, per la sua presenza in varie riviste cartacee e in web. Gianmario Lucini affianca qui la proposta lirica di Lucetta Frisa con un’ articolata nota critica, tale da accompagnare al meglio il lettore o la lettrice nel mondo creativo dell’artista: una dettagliata trama bibliografica, un tappeto descrittivo della sua poetica negli aspetti generali e in particolare nella recente produzione, fino ad aprire luci sull’opera L’emozione dell’aria, rivelandone l’impostazione, il carattere e l’architettura. Oltre questo, ci viene proposta l’intervista del curatore e editore a Frisa, svelando, quindi, quelle linee del palmo e di ricerca utili per approfondirne la lettura.
Apprezzo questa introduzione impegnata che annuncia la poesia. La preferisco alle solite introduzioni superficiali, firmate funzionalmente solo per legittimare una qualità verso il lettore.
Il titolo invita a significare il peso dell’aria, la sua sonorità e risonanza, a concentrare l’io in una disposizione permanente di ascolto, con tutto l’organismo, non solo con l’orecchio, per accogliere, riflettere, assorbire, ricevere, in un coinvolgimento sensoriale, intellettuale e spirituale.
Questa totale esposizione concava dell’io non poteva non sentire la musica con accezione temporale e spaziale – se i suoni sono specchi/di un detrito astrale, p.32 – subendo a volte dei veri propri irradiamenti per meraviglie epifaniche.
Lucetta Frisa canta l’approfondimento del canto, scandendo i movimenti che compongono il ritmo dei fili del tappeto sonoro: l’allegro, Andante con moto, Presto con fuoco, Largo, Minuetto, Tempo di marcia, Passacaglia, Capriccio, Berceuse, Fuga, Finale. Cita gli amati maestri, riconoscendone la magistrale scia luminosa: Couperin, Fauré, Schubert, Ravel, Chopin, Messiaen, Davis, Cage, Monk, Piazzolla … Nel momento in cui si accende l’ascolto, le note si coniugano perfettamente l’una all’altra, avvolgendo e penetrando il nostro corpo, e lo spazio attorno, dilatandoci interiormente, fino alle vastità del silenzio. E per silenzio intendo l’accezione che ne danno i musicisti, o i musico/ terapeuti quando incontrano con la musica i sordi o i ciechi.
Sinteticamente dico che L’emozione dell’aria è un poema in cui nel respiro e nell’ascolto, l’aria diventa esperienza. L’io è esposto, si manifesta, nomina ombre, angoli della propria casa e la creatura del cuore. Riceve le sfere siderali, gli ospiti musicisti, i loro pulviscoli sonori contaminandosi.
Il tono del canto di Lucetta Frisa non è né maestoso, né imponente. Fila con intimità, con soffi, con lievità ombreggiate.
Potrebbe essere ideale offrire al pubblico la sua voce mentre legge L’emozione dell’aria assieme a musicisti, intrecciando con loro il proprio lavoro.
Anna Maria Farabbi
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Lucetta Frisa, L’emozione dell’aria- CFR Edizioni
bellissime le poesie di Lucetta. Due in particolare che copio e rileggerò, e leggerò alle altre: Io credo e Volevo l’estasi. Grazie
davvero regalo questa voce e percorrenza, non di breve durata
intensa e sonora la parola chiama ad altre ri-letture
tra i testi copio Io credo
grazie
Mille e un GRAZIE a Ferni che ha deciso di festeggiare la mia poesia in questo modo grandioso!!! E non so come commentare le sue incommentabili parole che le dedica lussuosamente poetiche. Rara generosità la sua e rara anima.
lucetta
…e non è finita qui,cara Lucetta. In qualche stazione lo scambio ha mosso due treni in due direzioni e i due percorsi non si sono intrecciati di nuovo come si pensava. Ripassa dunque , perché già da stasera è arrivato l’altro convoglio e in esso la lettura di Anna Maria Farabbi che qui ti preannuncio a pochi istanti dalla pubblicazione in questo stesso articolo. Un grande grazie a te, ferni
Ma è la festa della mia poesia? Sono stordita,davvero. Bellissimo il commento di Anna Maria al quale non saprei cosa aggiungere. Il suono,il ritmo, la musica sono sempre stati il centro radiante della mia poesia. Da sempre.Qui,in questo particolare libro, ne ho parlato in modo fin troppo esplicito,diretto.Discendiamo da un Grande Suono e questa convinzione non è originale.Poter esprimere questa inafferrabilità e questo inesauribile,inappagato DESIDERIO che parla attraverso il suono,appunto,e la musica (suono articolato,modulato dall’uomo) è un’impresa di enorme presunzione ma io l’ho tentata con le mie minime possibilità e con umiltà.
GRAZIE ancora per questo spazio regalato ai miei versi!
lucetta
Quando la scrittura è buona scrittura non si può restare indifferenti, si sprecano già troppe parole inutilmente per testi di poco conto, che serve annotare e sottolineare la bontà e la bellezza di uno scritto quando lo si incontra e festeggiarlo, soprattutto, quando è poesia. f.f.
Me gusta tu mirada, tu palabra, tu forma de abrazar la vida , me gusta tu silencio como una musica.
gracias!
lucetta