immagini dalle collezioni del Frac di Orleans nel 2009
.
Il lavoro di Michéle Métail Labirinto, voi siete qui è un poema di 180 versi, diviso in 10 sequenze (arrivo del treno – il nome della città – la città orizzontale sulla mappa – la città verticale – cercando il centro – la città in costruzione – la città storica – sottosuolo – posto per vivere – posto sconosciuto).
Esso traccia l’arrivo e la scoperta della città di Berlino, il passaggio dal luogo sconosciuto a quello familiare, quello che si pensa di conoscere. Labirinto, voi siete qui aiuta l’osservatore a situare sé stesso.
Il cerchio rosso, che figura in tutte le mappe a Berlino, in questo poema evoca altresì il cerchio vuoto dello Zen, una città in perpetua mutazione, impossibile da afferrare.
.
strade, viaggi, il rotolare ferrato
nelle sue rotaie e grigio, traversine
continuo sentiero della massicciata
rotolando srotolando sulla curva
i suoi attriti, d’un rumore sordo
e s’avvicina, imminente al segnale
lo scambio, dove biforca ferrata
la strada infilata dai suoi terrapieni
tracciato ghiaiato, una sola tratta
al rallentatore, la scia meccanica
si sfiata il ritmo e più bassa
lentezza a destinazione, stride
alle quinte della città, scenari
ai marciapiedi, pannelli che slittando
avvisano, icone tutto intorno
a parole, archivi stampigliati
non importa dove, d’un qualunque luogo
deprivato di distinzioni, salvo
nell’attesa, alla fermata del momento
annunciato, s’intravede, quale, unico
il nome noto a designare il viaggio
quando là finisce e comincia
reso possibile dalla lontananza
intervallo geografico, l’esilio
attraverso il grafo, ascissa, posizione
deposto sul marciapiede, stazione d’arrivo
.
ove arriva d’un convoglio in partenza
incroci lamellari stirati
di lungo corso della città ripetuta
il suo nome, il termine proprio del viaggio
prima che si immagini, prima mappa
nell’intermezzo, straniero per dove
dai passi perduti, indeciso se andare avanti
il ritegno di attraversare, indeciso
dove si va, dove si è, il luogo definito
decifrato dall’inventario preciso
soglia di un enunciato sconosciuto di strade
litania per memoria accampionata
sulla mappa, le campiture della città
voi siete qui, nel cerchio vuoto
accerchiato, cerchio rosso e carminio
l’immagine di ipotesi proiettate
al punto calcolato della sfera, qui
sulla superficie illeggibile del luogo
individuazione dell’estensione apparente
con debita leggenda per l’osservatore
poiché disorientato, questo vuoto cardinale
impronte sfigurate della visuale
attraverso, trama immaginaria
e senza valore di dire, qui cerchio
in scala ridotta, bisogna rompere
e uscire nella città, fuggita
.
fuori dalla mappa dove sparisce questo luogo
subito verticale alle dimensioni
per muri portante in facciata l’appoggio
nello spazio appesantito dei volumi
cubi edificati edifici che spuntano
impalcati a piombo, pesantezza
verso il suolo che attira, gravitando
a ricercare il centro, una città
al tempo smembrata, il suo incastro
secondo la linea d’uno smembramento
l’asse intorno cui all’est l’ovest
soltanto là, come se va e viene
senza rotazione, il movimento stesso
battito d’un pendolo oscillante
agli estremi, a ignorare il centro
nell’ingorgo persistente
delle canalizzazioni agglutinate
leva delle gru a ricostruire
acciaio, le fondamenta dell’utopia
che affiorano, vestigia scaltre
esumate dagli scavi, macerie
qui, voi siete qui, cantiere votivo
passeggero nella città sventrata
sgradita ancora al luogo chiuso
delle ostruzioni e le sue limitazioni
all’incontro, così vicino da raggiungere
intasato, condannato di là, il divieto
o insinuarsi in una persiana
uscita nel dedalo metallico
che isola delimitato, il perimetro
incanala il percorso a circolare
.
al piedistallo delle pàtine., bronzo
e i frontoni, gran titolo, pagina
delle commemorazioni, opprimente
intrico di souvenir ingarbugliati
brandelli senza parole, nessun segnale
s’inciampa nelle immagini, la storia
in questi monumenti troppo vistosi
per l’ordinario, quando s’illumina
luce cruda, lei cieca allora
di duomi e cupole archivolti
contro i muri sordidi, resiste
brutale d’una cicatrice, impatti
incrostazioni fossili, pietra
dalle costruzioni abbandonate
allineamento percosso delle colonne
osservabili, corpi di carcasse
l’inverosimile di testimoniare
qui il cerchio dei fatti registrati
solenni delle guerre, inutilmente
trionfi e declini alternando
fino al ritorno di ripartire, giro
ravvivato della spirale, testardaggine
da ripensare, foto irrigidite del luogo
intravisto confusamente, illusoria
ossessione di conoscere nel tempo
quando si erge passato, l’imboscato
la risalita in caccia delle date
si vorrebbe fuggire, liberarsi
osservare in controluce, anonimo
dietro la sua maschera anatomica
la folla dei volti senza marchio
i cui veri sguardi, eclissi
visioni dislocate nell’oblio
sotterraneo, città lastricata di vuoti
si dissimula, fodera rovesciata
di carteggi inscritti
mosaici e neon, convogli gialli
sfilati alla velocità dei tunnel
arterie oscurate che attraversano
sotto l’aria libera resa altrimenti uguale
il viaggio che qui conduce cieco
distanza collegata al luogo, la durata
di andare il ritorno in topografia
forma poco reale di frazionare
rilievi di terra in monti
reti di tentativi, da cui uscire
alla superficie di porte urbane
fermata, stazione, passerella del nome
non appena scampato al cielo aperto
del giorno, la notte si oppone alla luce
benché precaria, l’effetto raggiunge
uno sguardo circolare, individuabile
l’elemento fortuito, cemento, paesaggio
niente si ferma, luogo senza ricordo
il circondario che occupano i paraggi
che delimita ancora col cerchio
il consueto delle cose, poco splendore
se non l’inventario dei colori
dipinti per restaurare, facciate
bianco coprente, grigio caldo, lilla
rialzi a pieno di salite
pigmenti degli incroci, angolo
dove si tagliano, versanti d’un altro
il quartiere dove dimorare, abitare
l’assuefazione confinata fuori
quotidiano e ritorna sui suoi passi
tragitto rifatto qui di carreggiate
percorse a passo di marcia
meccanica e abituale, forma codificata
orlo di bordure transitorie
quando l’ingranaggio ripete, rotazione
del cerchio compresso in vicinanza
questo circuito familiare alla cadenza
dei passi, quanto l’andatura contata
sottrae pulsazioni, passare
una scorciatoia di ridurre il luogo
all’influenza monotona delle strade
trasversalmente prevedibili
pericolo d’usura, ripartire straniero
per un’improvvisa occasione, l’irruzione
spuntata dopo le prospettive
attraverso il vano dove si disperdono
questi contorni pietrificati, ricorsi
di ombre, di luci percepite
ritornate opache, mezze tinte
sul luogo spaesato, introvabile
sul territorio grafico, profilo
in sospeso della città, frammenti
dei faccia a faccia improvvisi, percorsi
nel transito rotatorio, la terra
accelerata secondo la lunghezza degli orizzonti
e abita la vertigine, battito
di ciglia, l’occhio incerto d’enigma
il luogo senza tregua vicino, lontano
voi siete qui, al di fuori del cerchio
strano passante, così come straniero
a piacimento, che va da nessuna parte
.
Michèle Metail
RIFERIMENTO IN RETE:
http://ellisse.altervista.org/index.php?/archives/588-Michele-Metail-Labirinto-voi-siete-qui.html
Molto interessante e moderno sia nelle sue soluzioni tematiche che stilistiche questo poema.
La bella traduzione è di Giacomo Cerrai, vero?
Un caro saluto.
Sì, la traduzione è mia, e forse sarebbe stato carino dirlo chiaramente.
G.Cerrai
Ti chiedo scusa Giacomo,ora lo metto,ho ricevuto come vedi il testo e non ho fatto altro che copiarlo e incollarlo.f.f.
p.s. grazie comunque del rilancio.
G.