beatriz martin vidal
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Insegnante e alunni a scuola: come vivere una festa. Le parole di una vecchia maestra.
Anno scolastico 1964-1965. Mi viene assegnata, come sede definitiva di lavoro, Isola Maggiore sul Lago Trasimeno. Accetto con entusiasmo. Mi piace l’idea di lavorare nella terra tra cielo e lago dove più che insegnare, imparerò. Si realizza un desiderio che avevo provato un giorno in cui, per caso fortuito, avevo visitato il minuscolo paese in mezzo all’acqua.
Tra me e Isola Maggiore si instaura subito un bellissimo rapporto.
Albe e tramonti, sole riflesso, indescrivibili silenzi notturni, tanta gente da conoscere, un mondo da scoprire attraverso una storia raccontata più che dai libri, dalle pietre e dalla gente. Sono soprattutto però i miei meravigliosi scolari che contribuiscono a saldare il rapporto d’amicizia tra me e il paese. Hanno tutti la luce negli occhi e il sorriso sulla labbra. Nonostante la pluriclasse, i vecchi banchi neri e pesanti di chissà quale epoca, l’aula grande, un po’ buia e un po’ fredda, ricavata nel vasto ambiente di un antico convento, io e gli scolari ci troviamo benissimo. L’atmosfera che ci circonda ha qualcosa di forte di stabile che ci rassicura. Di solito insegnare a più classi insieme contemporaneamente richiede un impegno paziente e faticoso, ma non è così. Si lavora con entusiasmo. Ogni lezione ha per tutti qualcosa di nuovo da imparare e qualcosa già studiato da consolidare: uno stimolo ad apprendere per ogni scolaro.
Partecipiamo ad una mostra di disegno, programmata per le classi elementari, con lavori eseguiti da tutti gli scolari componenti le cinque classi. Esponiamo disegni realizzati su tavolette di compensato con colori a cera. Arriviamo primi nella lista dei premiati, a pari merito con un’altra scuola del Circolo Didattico. Ci sentiamo importanti. Rimaniamo insieme altri anni durante i quali Mariapia vince un premio nazionale con una poesia intitolata Sogno o realtà?. Ancora Mariapia e Maria vincono il primo e secondo premio con temi sul Risorgimento Italiano svolti nell’aula di una scuola di Perugia. I risultati ci riempiono di orgoglio e ci spronano ancora.
Durante l’intervallo per la merendina di mezza mattinata, racconto delle storie tratte dai libri editi dal Salani che ho letto da bambina e che ricordo nei particolari per averli riletti più volte. Cerco di farlo nel modo più espressivo possibile, mimando sensazioni e sentimenti e gli scolari seguono lo svolgersi dei fatti con grande attenzione e, se è freddo, stiamo intorno alla grossa stufa di terracotta, posta al centro dell’aula. Vorrebbero che non smettessi mai di raccontare, ma il tempo stabilito scade e la puntata finisce, come in uso, sempre in modo da lasciare con il fiato sospeso.
Mi rendo conto di aver svolto la funzione della televisione di oggi e sorrido scoprendo che durante i pomeriggi alcune bambine giocavano rivivendo da protagoniste le avventure e le emozioni delle eroine dei racconti.
A Natale e in altre occasioni si recita e molti ricordano le risate fatte dagli spettatori con la farsa intitolata Le tre zitelle. Maurizio è cosi bravo nell’interpretazione della sua parte che ridono tutti rumorosamente e Vittoriano si contorce dal gran ridere.
L’aula ogni giorno è più ricca di schede che riproducono, corredate da bellissimi disegni, osservazioni e riflessioni che ravvivano le pareti dove le disponiamo. Alcuni turisti chiedono di poter visitare l’aula fuori dall’orario scolastico e si fermano volentieri davanti ai nostri lavori. Vincenzo li stupisce con il racconto illustrato sul grillotalpa finito purtroppo in cento schizzi sotto la sua scarpa. Simpaticissimo e vivacissimo racconto anche se la povera bestia osservata fa una brutta fine. Un insegnante tedesco si sofferma su ogni lavoro e ci chiede di poter portare con sé il calendario realizzato, come ogni anno, da tutti gli scolari in collaborazione e l’anno seguente ci arriva per posta un calendario dalla Germania eseguito su modello del nostro. E che dire della scheda di Sergio che illustra il racconto di un tale che era andato a rubare le fave nel campo del vicino e viene assalito dal cane? La sorpresa e lo spavento sono così evidenti nel disegno, che ognuno che guarda la scheda ci fa un commento sopra. Sempre ci rimarranno impresse le poesie di Maria Cristina, capace di farci leggere, attraverso le parole, la ricchezza dei suoi sentimenti. Chi di noi potrà dimenticare la tinchina dorata da lei descritta? Le espressioni dolcissime di Vincenzina, Lucia e Patrizia mettono in luce la sensibilità di ciascuna, espressa nei versi scritti per l’album dei sentimenti che ospita poesia e disegni veramente da ammirare. Serenella ascolta, osserva e narra storie di animali che partecipano con i loro atteggiamenti all’evolversi della stagioni e ci meraviglia per la sua capacità di narratrice in seconda classe. Ettore ha una predisposizione per la matematica così spiccata che risolve allegramente anche i problemi dei compagni più grandi. Roberto Stupisce per la velocità con la quale esegue mentalmente operazioni di aritmetica difficilissime anche per gli alunni più grandi. Viene definito dalla Direttrice Didattica “ mente elettronica”. Pierluigi partecipa a tutto simpaticamente e ci osserva e ci studia con i suoi splendidi occhi colore del cielo. E che dire della spiccata tendenza per la matematica di Edoardo che ha già in embrione il suo futuro da imprenditore? Calcoli e problemi. Un divertimento! E il simpaticissimo Luciano seguiterà a ridere sempre raccontando del “pensierino” di uno scolaro ai primi tentativo di scrittura. Rago suga sague moca ( il ragno succhia il sangue alla mosca). Egli ricorda tutti i momenti più buffi o simpatici del nostro imparare insieme.
Le feste religiose, organizzate in paese, ci vedono presenti con petali di fiori colorati e foglie di tanti toni diversi di verde, raccolti sul poggio per creare ghirlande pittoresche sui mattoni della piazza, pronti a spiare le composizioni degli altri e a rendere le nostre ancora più grandi e più belle.
Episodi di scuola , immagini di alunni che si intrecciano con quelle dei familiari senza sovrapposizioni, ma in una sintonia armoniosa di ricordi per domani, per quando la mia famiglia, il mio lavoro, Isola , la sua gente si fonderanno insieme nella mia mente e nel mio cuore.
Carissimi miei ex scolari di Isola Maggiore che avete letto alcune pagine di ricordi di scuola, di quando eravate bambini ed esprimete il desiderio di leggerne altre, è per me piacevole accontentarvi perché tornare indietro nel tempo ci darà modo di stare ancora insieme.
Conservo molti ricordi di quel periodo importante per la mia vita. Fanno parte del bagaglio di anni vissuti con momenti di intensa emotività: alcuni ricchi di soddisfazioni, altri di speranze, altri ancora di scontento per i quali vorrei tornare indietro e dare il meglio di me stessa in ogni occasione.
Vi vedo tutti quindici come allora, così veri, così presenti che potrei accarezzarvi e stringervi a me in un solo abbraccio. Nel sacco del tempo, vi ho riposto in un angolo speciale.
Vi ricordate quando armati di cartone, cotone, forbici, iuta, colori, carta e tanta allegria, costruimmo un Babbo Natale a grandezza d’uomo e lo mettemmo in piedi appoggiato alla parete di fronte alla porta dell’aula? Nessuno ci vide all’opera: doveva essere una sorpresa da tirare fuori durante la recita di Natale.
Tutte le mattine presto, quando il buio dell’inverno cancellava il paese quasi come capita di notte, Angelica, la bidella, veniva ad accendere la stufa di terracotta per scaldare l’aula. Io seguivo dal piano di sopra i suoi movimenti, da quando apriva il portone che cigolava a quando saliva i gradini della scala, uno per volta, lentamente girava la maniglia, spingeva la porta un po’ rumorosa ed entrava dal pianerottolo nell’aula. Quella mattina sentii un urlo terribile: “ C’è un uomooo!…”. Mi precipitai per le scale e la tranquillizzai. Il grande stanzone, ancora le imposte chiuse, sembrava più divertito di sempre e Babbo Natale rideva sotto i baffi.
E la storia dell’anguilla ve la ricordate? Dovevamo realizzare delle schede di osservazione, descrizione e riflessione come richiedeva u metodo di insegnamento di allora che aiutava gli alunni a descrivere la realtà e ad esprimere le proprie considerazioni.
Avevamo sistemato l’anguilla in un grande recipiente posto nella parte dell’aula libera dai banchi, dove c’era la rosa dei venti costruita sul pavimento dal maestro Donati che aveva fatto scuola ai vostri genitori. Immersa in un’abbondante acqua di lago, l’anguilla dava impressione di trovarsi proprio bene. Intendevamo riportarla nel suo ambiente naturale, appena finito il nostro lavoro. Il Lunedì mattina, entrando a scuola, la trovammo stecchita, asciutta, così aderente al pavimento che sembrava incollata. Era arrivata quasi sotto la finestra che dava sul retro. Rimanemmo malissimo, immobili a guardare dispiaciuti, tristi. La presi per la coda, la staccai dal pavimento e la gettai nell’acqua in attesa di sotterrarla in attesa dopo l’orario scolastico. Ad un certo punto, durante lo svolgimento delle lezioni, notammo tutti uno strano insolito rumore d’acqua. Corremmo a guardare l’anguilla era viva e si dimenava nel recipiente in cerca di libertà. Subito la portammo nel lago: una lezione straordinaria sulla vita, sul male e sul bene, sulla necessità di riflettere prima di fare qualsiasi cosa. Una lezione da non dimenticare.
Tra le cose più divertenti, che tutti senza dubbio ricordiamo, c’è quella capitata in attesa della visita delle Direttrice Didattica. Doveva arrivare con il battello delle dieci e noi, “lavati e stirati” per l’occasione ci preparammo per andarle incontro sul pontile. Il più piccolo di voi doveva offrirle un mazzo di fiori di prato che avevamo raccolto sul poggio, dicendole:”Benvenuta Signora Direttrice”. Ci fu un alunno che contestò:”No, non va bene, bisogna dirle: ”Mazzinga Signora Direttrice!” “Perché?” chiesi sgomenta “Perché Mazzinghi è più bravo di Benvenuti!” Era il periodo in cui i due pugili, Benvenuti e Mazzinghi, avevano diviso l’opinione pubblica, principalmente maschile, sulla loro superiorità, La direttrice non venne, ma noi raccontiamo ancora ridendo il buffo episodio.
Un anno, per Carnevale, improvvisammo una sfilata in maschera lungo la via del paese. Preparammo maschere e vestiti con una fantasia incredibile: principesse, cavalieri, robot, burattini ed altri personaggi con i visi coperti in parte da maschere nere. Attaccammo un cartellone ad una vecchia scopa con scritto: W IL CARNEVALE e sollevandolo in alto cominciammo a sfilare, a cantare, a ridere, a fare girotondo. Si spalancarono le finestre delle case, qualcuno uscì in piazza, tutti risero e Sauro ci immortalò con la cinepresa. La nostra allegria dipinse di gioia le facciate delle case e per qualche ora il Giovedì Grasso si divertì con noi.
La storia delle bamboline di carta mi procura ancora una tristezza sottile e penetrante. Ricordo che pensai di far passare alle bambine qualche momento piacevole impegnandole a realizzare con la carta vestitini per le bambole applicabili con particolari accorgimenti. Preparai delle bambole nude con cartoncini resistenti. Quante ne preparai? Perché non portai a termine questo lavoro che aveva l’intento non solo di procurare alle bambine un passatempo, ma anche di stimolare la loro creatività? Non ricordo, ma dopo tanti anni quando rividi Maria che mi chiese perché non avessi fatto anche a lei la bambolina di cartone da vestire, avvertii una sensazione così triste di rimpianto e di sconfitta che mai avrei voluto provare. Mi chiedo ancora: Perché? Quante bambine rimasero senza bambola? Quale situazione mi impedì in quei giorni di portare a termine il progetto?…. A te Maria e alle altre bambine chiedo scusa, ma so che non basta.
Talvolta in primavera, durante l’intervallo, facevamo delle passeggiate sui sentieri lungo il lago per scoprire le novità legate alla stagione ed avere così argomenti per arricchire i testi relativi al cambiamento della natura che, presso le rive, presentava già, alla luce intensa del primo sole, orgogliosamente, la sua bellezza.
Un giorno, mentre stavamo tutti allegri tornando a scuola, davanti ad una villa di certi proprietari di Roma, ci trovammo all’improvviso di fronte ad un grosso cane spaventoso che, ringhiando e abbaiando furiosamente minacciava di divorarci. Immobili, paralizzati dal terrore mi guardaste. Dovevo salvarvi. Ma come, se avevo più paura di voi? Mi piazzai davanti al cane, ringhiando e abbaiando anch’io gli imposi di rientrare nel recinto. Che santo devo ringraziare? Il cane rientrò e tutti ancora tremanti sentimmo un oh!.. di meraviglia e di sollievo e Maurizio, che commentava sempre tutto, concluse: “ Vedi? La maestra mette paura anche ai cani “
Ricordate le lacrime di commozione di Eleonora, Assunta ed altre persone durante la recita per la festa della mamma? Io non potevo vederle tutte perché ero impegnata a seguirvi nel ripostiglio adiacente all’aula. L’avevo ripulito e sistemato. Era un grande sottoscala con la finestra e ci serviva da camerino. Tutte le poesie che ero riuscita trovare più ricche di sentimento e quindi più commoventi, facevano parte del nostro repertorio. In perfetto silenzio, gli spettatori seguivano espressioni e parole. Recitavate con convinzione e straordinaria bravura.
E come dimenticare Serenella , Vincenzina vestite da campane per una recita di Natale? “Consolati Maria del tuo peregrinare” e che faceva la parte del narratore, chi di Maria, chi di Giuseppe, chi degli osti. Ad ogni capoverso della poesia, suonavano le campane. Erano enormi, di cartone color bronzo e coprivano quasi totalmente le due alunne, scelte perché più piccole, che ritmicamente si dondolavano con movimenti alternati, cadenzati, sincronizzati e si mettevano a suonare. din..don..dan…din..don.. dan… Nessuno rideva mentre io, oggi, a distanza di tanto tempo, sorrido per il lato comico della cosa, ma contemporaneamente mi commuovo e vi ammiro ancora per la capacità di recitare così bene da suscitare gli applausi sinceri di tutti gli spettatori.
Un anno, durante le vacanze estive, non ricordo per quale motivo,vennero ad Isola molti insegnanti con il Provveditore agli studi. Chiesero di poter visitare la scuola. Li accontentai volentieri. Certo, salire la piccola scala angusta che portava al primo piano ed entrare nel vasto stanzone un po’ buio, che era la nostra aula, arredato con grossi banchi neri e pesanti a quattro posti, non poteva che suscitare una sensazione di incredulità. Io spalancai le finestre perché vedessero quanto era bella e importante quell’aula per noi. Ci fu una schizzinosa che disse sogghignando:” Che puzza di topi” Avrei dovuto risponderle “Lo conosco bene il puzzo dei topi”Invece sapendo bene cosa significava per noi quell’ambiente, dissi soltanto:”Ma è pulito!”Mi rimase un sapore d’amaro per diversi giorni. Il Provveditore guardò senza parlare. Dopo pochi giorni arrivò ad Isola un carico di banchi leggeri, verdi, lucidi, ad un solo posto, corredati da seggiolini che si spostavano con un dito e i vecchi banchi massicci e logorati dal tempo e dall’uso presero altre vie. Grazie signor Provveditore per i nuovi banchi,ma quelli vecchi, i nostri banchi, chi li potrà cancellare dai ricordi di quegli anni?
Per la particolare scuola di un paese caratteristico, dove si respira un’aria luminosa e rarefatta nella maggior parte dei giorni, pensai che ci volesse una preghiera tutta vostra per rivolgersi a Dio, prima di iniziare le lezioni. Vi chiesi perciò di provare a scriverla. Tutti provaste. Le leggemmo a voce alta e fu deciso di scegliere quella di Mariapia. Ve la ricordate?
Signore nella tua onnipotente grandezza, benedici, te ne preghiamo ogni azione che compiamo ed ogni nostra parola torni a tua lode e gloria. Benedici i nostri genitori che lavorano per noi, la nostra insegnante e tutti i nostri cari. Affidiamo a te questa mattinata di scuola.
Divenne la nostra preghiera mattutina e, quando partii da Isola, la portai con me nel cuore e per anni l’hanno recitata i ragazzi di altre sedi scolastiche dove ho insegnato, perché mi sembrava adatta per tutti.
La consuetudine durò finché con l’arrivo nelle scuole di bambini stranieri, si ritenne opportuno non far pregare più in classe per il rispetto di tutte le fedi. Io però ogni tanto, mentalmente, ripeto la vostra preghiera, che insieme al sapore dell’innocenza, ha l’odore delle erbe lacustri che il vento porta alle rive.
Vi abbraccio tutti con affetto.
Valeriana Croci
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.RICORDO ANCHE IO … DA UNA EX. ALUNNA
Sono una delle poche fortunate, una di quei quindici alunni, che ha vissuto i momenti magici e irripetibili, a cavallo tra l’infanzia e la prima adolescenza, descritti dalla cara maestra Valeriana. La rivedo raramente, ma sempre con immenso piacere, ci abbracciamo e sempre l’emozione lascia il posto alle parole di gioia. La vita ci ha diviso, abbiamo intrapreso strade e percorsi diversi, ma nel momento in cui ci riuniamo tutto torna alla mente chiaro e indelebile. E’ la nostra storia, unica irripetibile trascorsa in un remoto borgo di una Isola remota del Lago Trasimeno ( Perugia – Umbria ) di appena “duecento anime” dove gli inverni lunghi e bui, senza i mezzi di comunicazione moderni, trascorrevano intorno allo scoppiettante camino ad ascoltare le storie dei vecchi pescatori: si proprio così noi sapevamo ascoltare, e tutto quello che ci veniva raccontato era il nostro unico bagaglio culturale. Ho sempre amato la “ Mia Isola” anche se a quattordici anni sono dovuta andare via con grande dolore, allora non ne capivo il perché, ma i miei genitori si: non avrebbero voluto che io trascorressi una vita come la loro, povera e piena di insoddisfazioni. Dovevo andare nella terra ferma e “studiare” come dicevano loro, le premesse c’erano. Eravamo ragazzi svegli, abituati al sacrificio, e tutti abbiamo creato un nostro futuro. Appare impossibile ma è andata proprio così, quindici ragazzi “di una povera scuola “pluriclasse e poco fornita di materiale didattico, ma di tanto amore per l’insegnamento da parte della maestra, sono riusciti a vincere, premi e riconoscimenti negati a scuole molto più titolate e numerose . Conservo con orgoglio la mia medaglia d’argento vinta nel concorso del lontano 1968, ma conservo ancora di più, e mai potrà essere cancellato tutto l’amore che ho ricevuto e l’orgoglio di essere stata parte di una storia unica. Per questi motivi ho voluto scrivere una poesia dedicata a quei momenti intitolata “ LA MIA ISOLA”
LA MIA ISOLA
Eccola là, sovrana avvolta nella nebbia silenziosa e sfumata, si erge timorosa e incerta tra le spossate onde del lago perenne, evoca a sé tutte le dolci emozioni della natia infanzia le candide poesie del tempo ormai lontano e irraggiungibile dove la mente e il cuore uniti in languidi pensieri correvano per i sentieri della giovinezza;
Andiamo, ormai lontani i cori delle conosciute voci, i cicalecci estivi, le grida dei compagni di giochi allegre e spensierate, le illusioni di eterna felicità;
Tante volte il pensiero vola, al fianco del candido gabbiano, alle silenti strade, agli assolati poggi ricolmi di fiori variopinti, che la natura selvaggia e amica moltiplica e accoglie,
tante volte l’immaginazione vaga a spera nel ritorno del tempo che fu, irreale sarebbe, spento come il silenzio, lontano come l’universo;
Ormai la magia è andata rimane soltanto lo sconfinato amore per tutto quello che abbiamo avuto la possibilità di vivere e che il lasciare è stato peggiore dell’essere.
Maria Silvi
Riferimento all’articolo di S.Pasquandrea: https://cartesensibili.wordpress.com/2012/09/17/la-vasca-dei-pesci-rossi-anna-maria-farabbi-quando-in-classe-la-poesia-si-fa-festacosa-dicono-una-vecchia-maestra-e-una-sua-allieva-la-storia-continua/
visto l’anno che corre ho tratto da qui la chiarezza per mettere un piede avanti all’altro e continuare il cammino.f.f.
voci a intrecciare un dialogo che non si è perso
ci sono figure nella nostra vita indimenticabili da loro è l’inizio, il segno del viaggio, la gioia è ritrovarsi a distanza di tempo limpidi nel proprio vissuto,
coraggiosi in un quotidiano che è privo di tanti valori a cui le nostre “maestre” ci hanno legato, non per forza, forse già con l’esempio di una vita onesta
Ho letto solo oggi le bellissime ed emozionanti riflessioni sulla scuola di Isola scitte da mia madre e la significativa ed affettuosa risposta di una sua ex allieva.
Mi sono lasciata trasportare con nostalgia in una realta’ che anch’io in parte ho vissuto. Con piacere e orgoglio ho riflettuto ancora una volta sull’entusiamo e l’impegno che lei ha sempre dedicato alla scuola.
Peccato che chi ha trascritto il testo l’abbia fatto in fretta: ci sono tante sviste. Roberta
Ho letto con tanto piacere e emozione il racconto significante della scuola elementare di Isola Maggiore , non ho avuto le stesse sensazioni nella mia esperienza della scuola elementare, sono un ragazzo di oggi e già la competizione faceva da padrone con il risultato scolastico, i cellulari erano predominanti nel percorso scolastico. Vorrei aver vissuto come i quindici ragazzi del racconto, forse sarei più felice . Lorenzo