La Casa di Alberto- Una Fiaba di Kit Sutherland

Silvano Braido

silvano braido 12

.C’era una volta (le fiabe iniziano cosi, no?) un ragazzo di nome Alberto. Viveva con i suoi fratelli ed i suoi genitori in un palazzo così malandato che bastava la metà. I muri erano storti, le tubazioni perdevano da tutte le parti e quando pioveva, la famiglia all’ultimo piano doveva posizionare dei secchi sotto i buchi nel soffitto e, finché non smetteva di piovere, stavano sotto un ombrellone arancione. I vicini li chiamavano i Bagnasciuga. Non andava tanto meglio d’estate quando il sole caldo cuoceva i muri crepati e la gente girava sudata e lasciava impronte umide su tutte le cose che toccava.
Al terzo piano viveva una vecchietta che teneva dei gatti. Non si sa quanti esattamente, ma erano tanti. Correvano su e giù per le scale emettendo dei miagoli terrificanti perché il signore calvo del secondo piano le inseguiva  con una scopa.
Un signore anziano viveva  – un modo di dire: aveva la testa fra le nuvole –  al quinto piano. Era solo e dimenticato e sulle pareti scriveva delle poesie, ricordi di un mondo bello e profumato che non aveva mai conosciuto. Suo vicino era  un Arabo, un uomo discreto che lavorava tanto per mandare dei soldi alla sua famiglia.
Il sabato invitava i suoi amici per mangiare assieme ed il profumo esotico del suo cibo serpeggiava per le scale e sotto le porte degli appartamenti.
Sul tetto, in una baracca artigianale, c’era un muratore e sua moglie, Svanita. Dovevano tenere i loro figli stretti al guinzaglio per la paura che cadessero dal tetto. Era un inconveniente, ma era meglio che pagare l’affitto.
La famiglia di Alberto aveva due stanze al pian terreno. Erano poveri come i loro vicini e dormivano in un letto molto lungo fatto dal padre Giacomo. I genitori dormivano da una parte mentre i tre piccoli stavano dell’altra. Così, nel buio della notte, i loro piedi si toccavano in mezzo e nessuno si sentiva solo.
Un giorno, un po’ prima delle elezioni, il Padrone fece visita al quartiere. Quando sentirono il claxon della sua bella macchina nera lucidata, i bambini si precipitarono nella strada perché  il Padrone dava loro sempre delle caramelle. Era una giornata calda e anche gli adulti, incuriositi, uscirono di casa. Tutti quanti si raggrupparono sotto gli alberi dove il Padrone aveva parcheggiato all’ombra,  con le sue guardie del corpo.
Era molto grasso e  la catena d’oro della cipolla che teneva nascosta in tasca,  poggiava sopra  il suo enorme ventre.
Portava le scarpe con la punta molto lunga altrimenti non riusciva a vedere i suoi stessi piedi oltre quel pancione.
Dall’ interno dalla strettissima giacca tirò fuori il suo discorso arrotolato ed annodato con un nastrino blu. Si schiarì la gola… ma prima ancora di poter elencare le solite false promesse, si sentì un CRAC!! Sulla facciata del palazzo era apparsa una crepa. Davanti agli occhi increduli della gente si stava aprendo come una lampo in un paio di  jeans. Man mano che il palazzo si apriva, i pavimenti si inclinavano e i mobili scivolavano via. Il palazzo si spaccò in due e crollò, rovesciando  tutto quanto in aria. Cucine, tavoli, sedie, letti,  pentole e piatti,  fotografie e giocattoli  presero il volo e poi caddero fragorosamente a terra. Solo i gatti si salvarono – si sa che i gatti hanno nove vite –  ma con la grande nube di polvere che si sollevò  non si riusciva a vederli.
“Oddio dio dio!” urlò il Padrone.  “E’ un terremoto! I miei soldi nella cassaforte sotto il letto!!” Saltò in macchina e partì a massima velocità verso  casa sua.
“Oddio dio dio!” gridò la povera gente. “Cosa facciamo?”
E siccome questa è una fiaba,  iniziarono una serie di cose veramente straordinarie.
Il vento cominciò a soffiare e, diventando sempre più forte, fece girare la nube di polvere sempre più veloce , finché non diventò un tornado! Girava come una trottola! Tirò tutta la polvere dentro di sé e poi partì nella stessa direzione presa del Padrone. In un attimo lo raggiunse. Macchina, Padrone, guardie del  corpo furono risucchiati dentro il tornado e portati via ad altissima velocità!
Più tardi, i testimoni dichiararono di aver visto volare un volante, le ruote di una macchina,  uno specchio  retrovisore,  una cipolla d’oro e vari uomini di cui uno molto grasso, tutti completamente nudi. I testimoni dichiararono che il tornado si diresse verso sud. Sembra che si esaurisse vicino alla costa del nord Africa. Si è sentito parlare di quattro uomini nudi piombati a terra su un’ isoletta abitata da pescatori di conchiglie. Poi se ne  sono perse le tracce.
E Alberto? Era ancora lì dove l’abbiamo lasciato con la sua famiglia e  i loro vicini, di fronte al gran mucchio che prima era stata la loro casa. Erano salvi e sani! Era un vero miracolo!  Si abbracciavano e ringraziavano il Padrone perché la sua visita li aveva salvati. E poi piangevano perché  avevano perso tutto.
Tutto? Vediamo. Le madri erano le prime a frugare in mezzo al gran mucchio, nella speranza di trovare qualcosa ancora intatta. In poco tempo tutti quanti stavano scavando.
“La mia pentola rossa!” esclamò la Svanita. “Ed è solo un po’ graffiata!”
“La mia vecchia scarpa!…ed ecco l’altra!” Era il babbo di Alberto.
“Il nostro ombrellone!” gridarono in coro i bambini Bagnasciuga.
“Guarda!” disse il più grande:  “Si apre ancora!”
Poco a poco che trovarono le loro misere cose, gli adulti notarono che quasi quasi non erano neanche impolverate. Il tornado aveva portato via il cemento scadente e tutte le macerie polverizzate.
Era rimasta  solo la roba delle persone in mezzo a tanti mattoni e piastrelle rotte. Era un caso molto particolare!
Metodicamente, il muratore cominciò ad impilare i mattoni da una parte e le piastrelle dall’altra e il gruppo cominciò a fare lo stesso.
Trovarono anche dei tubi. E’ vero che molti erano  rotti ma, nell’insieme, era rimasto qualche cosa di buono. Mentre mettevano un po’ di ordine, la gente cominciò a chiedersi se si poteva fare una casa nuova.  Iniziarono anche a sognare che aspetto una casa nuova potesse avere.
Il poeta disse: “Non possiamo fare una casa dove non sarò così solo?”
“Non possiamo vivere al pian terreno dove i miei bambini non rischierebbero di cadere dal tetto? ” Era la Svanita.
“O con un tetto buono che non ci piova dentro?”  Era il Signor Bagnasciuga. E così in seguito, mentre la gente sistemava i mattoni e le piastrelle frantumate, spuntavano delle belle idee come fiori in primavera. Ognuno aveva la sua idea di come doveva essere la  casa dove sarebbe stato felice. Mancava però il cemento con cui costruire la casa.
Sotto gli ultimi mattoni Alberto scorse il suo cuscino azzurro e, poco dopo, venne alla luce il letto lunghissimo della sua famiglia – era logico, vivevano al pian terreno – ed era ancora in piedi.
Venne spostato ed Alberto controllò se non era rimasto niente sotto. Ed ecco le sue pantofole bucate! Le infilò nelle tasche.
“Sistemiamo anche quelle piastrelle,” disse il muratore e cominciò a tirarle su. Ad un tratto si fermò. “ Ma cos’ è questo?”
La cosa era come un gran piatto di metallo. Sembrava il coperchio di un barile…Il muratore tolse un po’ della terra intorno.
E sotto trovò proprio il barile !!
“Uffa! Quanto pesa! Datemi una mano!” Ed lo tirarono fuori dalla terra. Sul lato c’era una grande etichetta con scritto:

COLLA SPECIALE
INCOLLA TUTTO
NON TOSSICO.
NON SI ATTACA ALLA PELLE.
CONTIENE  A

Ma mancavano le lettere finali. Cosa conteneva?  Fu il poeta ad aprirlo. “Che buon odore!” disse,  “Sembra miele! Vediamo se funziona.”
Prese dei pezzi delle piastrelle, li avvicinò e si attaccarono perfettamente!! Era un momento meraviglioso; significava che potevano ripartire da zero. E a zero era proprio dove si trovavano.
Ormai era tardi. Il sole sarebbe presto calato e bisognava pensare alla cena. Il cibo ritrovato venne raccolto e le donne riuscirono a preparare qualcosa per sfamare le tante bocche.
Le persone si sedettero sotto gli alberi e, come una grande famiglia,mangiarono assieme. Sembrava che il cibo non avesse mai avuto un gusto così buono. Malgrado la loro disgrazia, erano felici perché forse l’ avventura avrebbe avuto una lieta fine. Parlavano del gran lavoro di ricostruzione che li aspettava e scambiavano idee sul metodo migliore da seguire. E con tante opinioni diverse, se la gente non fosse stata così stanca, forse qualcuno avrebbe litigato.
Fu a questo punto che l’Arabo intervenne: “Nel mio paese studiavo architettura, ma sono dovuto scappare perché c’era la guerra.”
I suoi vicini lo guardarono stupiti, ma l’Arabo continuò: “Da noi le famiglie sono molto numerose con tanti zii e nonni che vivono sotto lo stesso tetto. Io so come fare una casa dove possiamo stare bene tutti. Da noi fa molto caldo ma costruiamo in modo che il vento porti sollievo nelle stanze d’ estate e che il sole d’inverno riscaldi i muri.”  Con un bastoncino fece un disegno nella terra per farsi capire bene.
“Wow! Un vero architetto tra noi !” disse Giacomo pieno di ammirazione. “Non ci posso credere!”
Ed in quel momento il gruppo sapeva che da qualche parte c’era qualcuno che li teneva d’occhio. Era la terza volta che la fortuna li salutava.
Il giorno dopo, col sorgere del sole, Abdel Aziz – si chiamava così –  si mise a dirigere i lavori. Sotto la sua direzione, iniziò a prendere forma un’ abitazione tondeggiante mai vista prima in quella zona. La casa era bassa e c’era un bel cortile con degli alberi dove i bambini potevano giocare sotto gli occhi delle mamme. Ogni persona nel gruppo aveva uno spazio tutto suo ma c’erano anche spazi condivisi, ad esempio la nuova lavanderia con una  puleggia per stendere il bucato ondeggiante sulla terrazza. I muri avevano un aspetto artigianale, fatti con mattoni riparati, ma resistevano perché la colla speciale era forte e flessibile.
Non era possibile riparare le piastrelle frantumate quindi fu deciso di mescolarle tutte assieme e di fare un pavimento multicolore che sembrava un mosaico; e la colla speciale, che era trasparente, rese l’idea possibile. Il gruppo lavorava giorno e notte. Pure i bambini aiutavano portando secchi di piastrelle e pezzi di mattoni. Tutta questa attività formicaiola non poteva non attirare l’attenzione.  Infatti, in poco tempo, la voce della casa straordinaria si sparse nella zona e molte persone vennero a curiosare. Arrivò persino un professore della facoltà di architettura con i suoi studenti. Fecero schizzi e presero appunti usando espressioni difficili che nessuno capiva tranne loro come arcaico, vernacolare urbano e matriarcale.
Sopratutto, la gente voleva vedere la colla speciale e fu necessario proteggerla. Era stato un dono ed il gruppo sapeva che quando finiva non ci sarebbe stata più. Già temevano che non bastasse.
Ed, infatti, come doveva accadere, un giorno, un po’ prima della sera, quando la casa era praticamente terminata, non rimase nulla tranne quell’ odore particolare che ricordava il miele.
“Ma veramente non ce n’è proprio più?” domandò Alberto. Come tutti nel gruppo si era affezionato al barile che aveva reso possibile la costruzione della casa dove ora vivevano come una grandissima famiglia.
“No, niente,” rispose Giacomo.
Alberto sbirciò dentro il barile. Era completamente vuoto.
No, non completamente: sembrava che ci fosse un pezzo di carta strappata sullo sfondo.
“Babbo, cos’ è quel pezzo di carta laggiù?”
Giacomo aggrottò le sopracciglia e poi, con l’aiuto di un bastone, lo tirò su. Sopra c’era scritta una parola:

MORE

“More? Mi sembrava avesse l’odore del miele ……” disse Alberto.
“No, guarda…” disse suo padre e mise il pezzo di carta al posto giusto . Era la parte mancante dell’etichetta! Adesso si leggeva così:

COLLA SPECIALE
INCOLLA TUTTO
NON TOSSICO
NON SI ATTACA ALLA PELLE.
CONTIENE  AMORE

Silvano Braido

silvano braido13

 .

RELATIVAMENTE ALL’AUTRICE

Kit Sutherland scrive di se stessa: – Ho pochi legami con l’Inghilterra dove sono nata nel 1950. La mia infanzia é uno spostamento continuo attraverso l’Europa dove imparo il francese, lo spagnolo e un po’ di fiammingo… A 10 anni, entro in collegio, scrivo lettere ai miei genitori e ai miei fratelli. Leggo tanto, anche sotto le coperte, con una pila, la notte. Voglio andare a scuola d’arte a Londra. Sono accettata, ma i miei vogliono immigrare in Canada. Dirottata nelle praterie, vado all’università: letterature spagnola e francese, inglese canadese ed Americana, teatro europeo. Mi appassiona la storia dell’arte. Torno nel vecchio continente. Imparo la fotografia. Nel 1981 vado a Berlino per 3 giorni. (Gli scatti diventeranno una mostra storica sul Muro di Berlino nel 2005, col patrocinio della Città di Camposampiero (Pd)). Inizia una lunga carriera, insegno la lingua inglese. Ho sempre poco tempo per me. Scrivo recensioni e cataloghi per artisti, in particolare per la galleria d’arte Torre Strozzi a Modena; scrivo una fiaba poi pubblicata nella rivista Le Voci della Luna; ci sono poesie, pensieri che scrivo in vecchie agende scadute. Nel 2003 inizio a dipingere acquarelli, espongo le opere con altri. Vinco una medaglia d’argento alla Biennale internazionale di acquarello di Albignasego nel 2004. Sono socio fondatore del gruppo artistico A casa di Irene a Cittadella (Pd). E’ un fulcro di creatività artistica. Nel 2012, la nostra installazione calligrafica Sherazade viene pubblicata a New York nel Letter Arts Review. Adatto una mia fiaba, La casa di Alberto, per il teatro. Nel 2011 ho scritto una drammatizzazione: Homage to Souza Mendes. Vivo con mio marito nella campagna vicino a Piombino Dese (Pd) in una casa circondata di giardini che abbiamo creato.
Nel cassetto, ho la trama di un film e molte altre idee. Scarseggia sempre il tempo. Faccio quello che posso. –

installazione calligrafica Sherazade

A proposito DI KIT SUTHERLAND

Kit  Sutherlandas aderisce ad un gruppo artistico, che si identifica con il nome “A Casa di Irene”e  nasce nel 2007 ed è costituito da una decina di artiste che si incontrano periodicamente a Cittadella, nella provincia veneta, in una vecchia casa di campagna, adibita a laboratorio-officina: luogo di formazione e di esperienze artistiche ed umane. Le componenti, di cui la maggior parte formatesi inizialmente presso la Scuola Internazionale di Grafica di Venezia, hanno continuato poi il loro percorso, sia individuale che di gruppo, attraverso lo sperimentare e rielaborare di varie discipline quali: libro d’artista, calligrafia, disegno, acquarello ed incisione. In Italia il gruppo ha al suo attivo mostre collettive e personali per cui ha ricevuto premi e riconoscimenti. Al progetto calligrafico Sherazhad partecipano: Daniela Bettella, Nadia Giusto, Rosamaria Lovisetto, Maria Pia Montagna, Annamaria Pagliarulo, Flavia Pividori, Carla Salvadori, Carla Scalco Bonaldo e Kit Sutherland.

.

installazione calligrafica Sherazade

.

Presentazione del progetto

Nel corso di seminari con la maestra calligrafa Monica Dengo, affascinate dai segni della calligrafia medio orientale-islamica, ognuna ha elaborato un proprio alfabeto. Successivamente, nel laboratorio di A Casa di Irene, tramite la lettura del libro Le Mille e una notte, c’è stato da parte del gruppo, un avvicinamento alla figura di Sherazhad, da cui nasce l’idea di riproporre, tramite un libro d’artista, la sua attualità: la forza di trasformazione della parola. Nelle pagine del libro, costituito da molteplici moduli, si alternano il bianco e il nero, come il giorno e la notte, la parola e il silenzio… il ritmo del respiro. Alle pagine bianche è stato lasciato il significato del narrare che continua a vivere anche nel presente. Donne e uomini attraverso la parola danno nutrimento alla …” fame di vita alternativa, d’un destino diverso dal proprio. Questo nella specie umana ha fatto sorgere l’idea d’inventare storie e di raccontarle; in sostanza di viverle e di condividerle attraverso la parola e, dopo, attraverso la scrittura. Questa occupazione, questa magia, ha affinato la sensibilità, stimolato l’immaginazione, arricchito il linguaggio, offerto a uomini e donne tutte le avventure che non potevano assaporare nella vita reale e regalato momenti di felicità assoluta” (da Vargas Llosa).

Nel 2012, l’installazione calligrafica Sherazade viene pubblicata a New York nel Letter Arts Review

3 Comments

  1. Molto belli i lavori di grafica, attraverso l’uso della calligrafia. Bello il testo che visualizza ciò che si nasconde dietro l’abitudine che vede solo fino a dove è lunga la propria. Andare oltre per leggere per esteso e in chiaro.fernanda f.

  2. Buongiorno. Casualmente ho trovato il nominativo di Katron Sutherland. La conosco ma non la vedo da moltissimi anni. Katron, puoi scrivermi? Anche tuo marito Roberto, ricordo bene. Complimenti per la vostra attività culturale. Scrivo dalla provincia di Varese. Un bacio

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.