berit hildre
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Io sono nativo di Kashan
La vita non è poi così male.
Ho un po’ di pane, un briciolo di intelligenza
e un po’ di spirito.
Ho una madre, meglio di una foglia;
e degli amici, meglio di acqua corrente.
E un Dio vive nelle vicinanze:
tra tutti come violacciocche, vicino a quel pino alto
oltre la percezione dell’acqua, oltre la crescita della pianta.
Sono un musulmano:
una rosa è il mio qibla. 1
A primavera, il tappeto per pregare è la luce, la mia preghiera è una pietra.
Le pianure sono la mia moschea.
Faccio abluzioni con i respiri della finestra.
Nelle mie preghiere scorre la luna, fluisce lo spettro dei colori.
Le rocce si fanno visibili attraverso le mie preghiere.
Ogni particella della mia preghiera è splendido cristallo,
io dico le mie preghiere
quando il vento recita adhan 2
dal minareto del cipresso.
Io dico le mie preghiere quando l’erba annuncia il takbirat-al-ahram 3
dopo la chiamata Qad – Qama 4 delle onde.
La mia Ka’ba 5 si trova nell’acqua
sotto le acacie come una brezza, aleggia la mia Ka’ba da frutteto a frutteto,
soffia da città a città.
La mia Pietra Nera è la luce riflessa dalle aiuole.
Io sono nativo di Kashan:
sono un artista di professione.
A volte costruivo una gabbia di colori e la offrivo in vendita
per sostenere il vostro cuore solitario
con il canto della peonia racchiuso in essa.
E’ una fantasia! Solo una fantasia! … Lo so.
La mia tela è senza vita.
So bene che lo stagno che dipingo è senza pesci.
berit hildre
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Io sono nativo di Kashan,
discendente forse
da una pianta dell’ India, da una terracotta di Sialk
o forse da una prostituta per le strade di Bukhara.
Mio padre alla guida di due migrazione di rondini, dopo due nevicate
dopo aver riposato per due volte nella veranda
mio padre è morto di là del tempo.
Quando mio padre è morto, il cielo splendeva azzurro.
Mia madre si alzò di scatto dal sonno. Mia sorella si era fatta bellissima.
Quando mio padre è morto i poliziotti erano tutti poeti.
Il droghiere mi ha chiesto: – Quanti meloni vuoi?
Gli ho chiesto: – Quanto è il prezzo di un cuore felice?
Mio padre era solito dipingere
costruiva tar, e lo suonava
aveva anche una bella scrittura.
Il nostro giardino si trovava sul lato in ombra della saggezza
nel punto di intreccio delle emozioni e di ciò che si semina.
nel punto di fusione della visione, la gabbia, e lo specchio.
Il nostro giardino era forse un arco del cerchio verde della beatitudine.
In quel giorno ho masticato i frutti verdi di Dio nel sonno
ho usato l’acqua da bere senza filosofia
bacche, ho usato, per fare raccolto senza conoscenza.
Fino a quando un melograno s’ incrinava, le mani sono diventate fontane del desiderio.
Fino a quando un violoncello cantava, il petto bruciava dal desiderio di sentire.
A volte, la solitudine premeva la sua faccia sui vetri della finestra.
La voglia sbucava fuori, metteva le braccia intorno al collo del buon senso.
La fantasia si divertiva
la vita era qualcosa di simile a una pioggia durante l’Eid, come un platano pieno di storni.
La vita, allora, era una fila di luce e bambole
una bracciata di libertà.
La vita, a quel tempo, era un catino di musica.
Il bambino, lentamente, si allontanava lungo il viale delle libellule.
Ho preparato le mie cose, sono uscito dalla città delle spensierate fantasie
con il mio cuore pieno di nostalgia per le libellule.
Ho imballato le mie cose, lasciando la città di luce delle fantasie
il mio cuore pesante di nostalgia per le libellule.
berit hildre
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Sono andato al banchetto del mondo
per la piana del dispiacere
per il giardino del misticismo
sono andato alla veranda illuminata della conoscenza.
Ho salito le scale della religione
alla fine del vicolo del dubbio
per l’aria fresca dell’ autosufficienza,
per la notte umida di amore e di affetto.
Sono andato a vedere qualcuno che era al lato opposto dell’amore.
Sono andato, sono stato da una donna.
Fino alla lanterna del piacere
fino al silenzio del desiderio
fino al suono del battito delle ali della solitudine.
Ho visto cose sulla faccia della Terra:
ho visto un bambino, che stava annusando la Luna.
In una gabbia senza porta ho visto la luce sbattere le ali.
Ho visto una scala dove l’amore saliva sul tetto del cielo.
Ho visto una donna battere la luce in un mortaio.
A pranzo avevano pane, verdure, un piatto di rugiada
e una ciotola calda di affetto.
Ho visto un mendicante, che camminava porta a porta per elemosinare il canto di un’allodola
e uno spazzino pregare la buccia di un melone.
Ho visto un agnello, che stava mangiando un aquilone.
Ho visto un asino, che capiva il fieno.
Nel prato del consiglio ho visto una mucca, sazia.
Ho visto un poeta che, quando parlava, si rivolgeva a un giglio come “Vostra Altezza”.
Ho visto un libro con le parole di cristallo.
Un foglio di carta fatta dalla manifattura della primavera.
Ho visto un museo lontano dall’ erba,
una moschea lontano dall’acqua.
Sopra il letto di uno studioso senza speranza, ho visto un vaso, traboccante di domande.
Ho visto un mulo il cui carico erano gli scritti dei saggi.
Ho visto un cammello il cui carico era il paniere vuoto dei proverbi .
Ho visto un mistico il cui peso era il canto Tanana ha ya hoo.
Ho visto un treno che trasportava brillantezza:
ho visto un treno, che stava trasportando la conoscenza e così come un torrente è andato.
Ho visto un treno, che stava trasportando la politica e così vuoto è andato.
Ho visto un treno, che trasportava semi di loto e il canto dei canarini.
E un piano d’aria, da un’ altezza di migliaia di piedi,
attraverso le cui finestre il suolo era visibile :
il ciuffo di upupe,
le macchie delle ali di una farfalla,
il riflesso di una rana in uno stagno
e il passaggio di una mosca dal vicolo della solitudine.
La chiara volontà di un passero, quando da un platano si abbassa verso il suolo.
Il sole della maturità
Il bello del fare l’amore di una bambola con la mattina
Le scale che salivano alla serra di lussuria.
le scale che scendevano nella cantina dell’ alcol.
le scale che correvano alla legge della corruzione di rose rosse
e verso la comprensione della matematica della vita,
le scale che correvano sul tetto dell’ illuminazione,
le scale che correvano per la piatta forma della manifestazione.
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berit hildre
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Mia madre laggiù
stava lavando le tazze nella memoria del torrente.
La città era visibile:
la crescita geometrica del cemento, dell’ acciaio, delle pietre.
Il piccione senza il tetto di centinaia di autobus.
Un fiorista stava mettendo i suoi fiori in vendita.
Tra due piante di gelsomini, un poeta stava appeso ad uno swing.
Un ragazzo restava a lanciare pietre contro il muro della scuola.
Un bambino sputava il nocciolo delle prugne sul tappeto da preghiera sbiadito del padre.
E una capra stava bevendo l’acqua di una mappa geografica del Mar Caspio.
Sul filo del bucato era visibile un reggiseno inquieto.
La ruota di un carretto si struggeva dal desiderio di diventare il cavallo
il cavallo per diventare il carrettiere e dormire,
il conduttore del carro per il desidero di morire.
L’amore era visibile, le onde erano visibili,
la neve era visibile, l’amicizia era visibile.
Le parole erano visibili.
L’acqua era visibile, e il riflesso delle cose in acqua.
La fresca ombra delle cellule nel calore del sangue.
Il lato umido della vita,
La parte orientale del dolore nel cuore umano.
La stagione della deriva nel vicolo delle donne.
Il profumo della solitudine nel vicolo delle stagioni.
Un ventilatore era visibile nelle mani dell’ estate.
Il viaggio del seme nella fioritura
quello dei rampicanti da una casa all’altra
il viaggio della luna nello stagno,
l’eruzione dei fiori dal suolo del rammarico.
La caduta della giovane vite dal muro.
La pioggia di gocce di rugiada sul ponte del sonno.
Il salto di gioia dal fossato della morte.
Il passaggio degli eventi che stanno dietro le parole.
La battaglia di un foro con il desiderio della luce.
La battaglia di una scala con la gamba lunga del sole.
La battaglia della solitudine con una melodia.
La bella battaglia delle pere con il vuoto di un paniere.
La sanguinosa battaglia dei melograni con le ganasce.
La battaglia di un nazista con i rami della delicatezza.
La battaglia di un pappagallo con l’ eloquenza.
La battaglia della fronte con la freddezza di preghiere di pietra.
L’attacco delle piastrelle della moschea alla prostrazione.
L’attacco del vento all’ascensione delle bolle di sapone.
L’attacco dell’esercito di farfalle al programma di disinfestazione
L’attacco delle libellule alla fila di idraulici.
L’attacco delle penne di canna alle lettere di piombo.
L’attacco di una parola alla mascella di un poeta.
L’apertura di un secolo ad opera di una poesia.
L’apertura di un giardino per mezzo di uno storno.
L’apertura di un vicolo da uno scambio di saluti.
L’apertura di una città nelle mani di tre o quattro cavalieri di legno.
L’apertura di un nuovo anno ad opera di due bambole, una palla.
berit hildre
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L’assassinio di un sonaglio sul letto nel pomeriggio.
L’omicidio di una storia all’ingresso del vicolo del sonno.
L’omicidio del dolore per ordine di un canto.
L’assassinio del chiaro di luna per opera di luci al neon.
L’omicidio di una quercia per mano del regime
L’omicidio di un poeta triste per opera del fiore di gelo del Chimonanthus 8
Tutto era visibile sulla superficie della terra:
l’Ordine stava camminando nel vicolo della Grecia.
Una Civetta gridava nei giardini pensili di Babilonia
Il vento soffiava il suo fine tessuto di polveri di storia sul passo Khaybar verso est
Sul lago di Neghin, quieta, c’era una barca che portava fiori.
A Banares, all’ingresso di ogni vicolo, una lampada eterna stava bruciando.
Ho visto gente.
Ho visto città.
Pianure, montagne.
Ho visto l’acqua, la terra.
Luce e tenebre ho visto.
E ho visto il fogliame in luce e piante nelle tenebre.
Creature di luce, creature nel buio ho visto.
E ho visto gli esseri umani nella luce e gli esseri umani nelle tenebre.
Io sono nativo di Kashan, ma
la mia città non è Kashan.
La mia città è ciò che è perduto.
La salute, la febbre.
Ho costruito una casa dall’altra parte della notte.
In questa casa sono vicino all’anonima umidità dell’ erba.
Sento il suono del respiro del giardino.
E il suono delle tenebre, quando cade una foglia.
E il suono della luminosità, nell’atto di tossire da dietro un albero,
lo starnuto d’acqua da ogni fessura della roccia,
lo stillicidio delle rondini dal soffitto della primavera.
E chiaro il suono della finestra della solitudine che si apre e si chiude.
E il puro vago suono d’amore che perde le sue bucce,
il fervore della passione nel volare in alto, concentrandosi nelle ali
E la straordinaria moderazione dello Spirito.
Sento i passi della nostalgia
e il suono legittimo dei passi del sangue nelle vene,
la pulsazione dell’incantesimo del bene del piccione
il battito del cuore di un venerdì notte,
la deriva del trifoglio nel pensiero,
da lontano il nitrito puro della verità .
Riesco a sentire il suono del soffio della materia
e il suono delle scarpe della fede nel vicolo della passione
e il suono della pioggia sulle palpebre bagnate di amore,
sulla musica triste dell’adolescenza,
sulla canzone dei giardini di melograni
e della gioia il suono della bottiglia che si sgretola durante la notte,
la lacerazione della carta della bellezza,
e il vento che riempie e svuota la ciotola della nostalgia.
Sono vicino all’inizio della terra.
Sento il pulsare dei fiori.
Conosco bene il destino intriso d’acqua, l’abitudine verde degli alberi.
E’ la mia anima che fluisce verso la nuova direzione delle cose.
La mia anima è giovane.
La mia anima a volte tossisce di passione.
La mia anima è senza lavoro:
conta le gocce d’acqua, gli spazi tra i mattoni.
La mia anima, a volte, è tanto reale quanto una pietra sulla strada.
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berit hildre
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Non ho visto mai due abeti essere nemici tra loro.
Non ho visto un salice vendere la sua ombra alla terra.
L’olmo offre il proprio ramo gratuitamente al corvo.
Dovunque ci sia una foglia, i fiori della mia passione sono nel flusso dell’essere.
Un cespuglio di papaveri, mi ha immerso nel fluire della vita.
Come le ali degli insetti so il peso dell’alba.
Come un vaso, ascolto la musica della crescita.
Come un cesto pieno di frutta, soffro la febbre della pienezza .
Come una taverna, mi trovo al confine del male.
Come una casa sulla riva, io sono turbato dalle alte onde dell’ eterno.
Soli, quanto si vuole, uniti quanto si vuole, moltiplicati quanto si desidera.
Sono contento con una mela
e del profumo di un cespuglio di camomilla.
Sono contento di avere uno specchio, è un legame puro
Non rido se un palloncino scoppia.
E non rido se una filosofia dimezza la Luna.
Mi è familiare il suono del battito d’ali di una quaglia,
conosco i colori sul ventre di un’otarda, le impronte di una capra selvatica.
Io so bene dove cresce il rabarbaro,
quando arrivano gli storni, quando una pernice canta, quando muore un falco,
conosco il significato della Luna nel sogno del deserto,
della morte nello stelo del desiderio
E conosco i lamponi del piacere, mentre nel fare l’amore si è nelle sue faci.
La vita è un rituale amoroso.
La vita ha ali e piume vaste come la morte,
è un balzo alto quanto l’amore.
La vita non è qualcosa che tu ed io possiamo dimenticare sul davanzale dell’abitudine.
La vita è il rapimento di una mano che miete.
La vita è il primo fico nero, nella bocca acre dell’estate.
La vita è le dimensioni di un albero dagli occhi di un insetto.
La vita è l’esperienza di una falena nel buio.
La vita è la sconosciuta sensazione di un uccello migratore.
La vita è il fischio di un treno che riecheggia nel sonno di un ponte.
La vita è la visione di un aiuola dalla finestra sigillata di un aereo.
E’ la notizia del lancio di un razzo nello spazio,
toccando la solitudine della Luna,
la nozione di ciò che è annusare un fiore su un altro pianeta.
La vita è lavare un piatto
La vita è trovare un penny nel ruscello della strada.
La vita è la radice quadrata di uno specchio.
La vita è un fiore al potere dell’eternità,
La vita è la Terra moltiplicata per i nostri battiti cardiaci,
La vita è la semplice e monotona geometria dei respiri
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berit hildre
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Non importa dove mi trovo.
Il cielo è mio.
La finestra, il pensiero, l’aria, l’amore, la terra è mia
Perché dovrebbe essere importante
se ogni tanto diventano più alti
i funghi della nostalgia?
Io non so perché
la gente dice che i cavalli sono gentili
che le colombe sono belle
e perché invece nessuno ha avvoltoi in gabbia?
Io non so perché
il bocciolo di un trifoglio
è meno importante di un tulipano rosso
Gli occhi devono essere lavati
le cose devono essere viste differentemente
Le parole dovrebbero essere lavate
Le parole dovrebbero essere il vento stesso
Le parole dovrebbero essere la pioggia stessa
Gli ombrelli dovrebbero essere chiusi
dovremmo andare sotto la pioggia
dovremmo portare i nostri ricordi e le nostre idee sotto la pioggia
Con tutta la gente della città
Noi dovremmo sentire la pioggia
E’ sotto la pioggia che si dovrebbero incontrare gli amici
che si dovrebbe trovare l’amore
E’ sotto la pioggia
che si dovrebbe dormire assieme ad una donna
Che si dovrebbe giocare
E’ sotto la pioggia
che le cose dovrebbero essere scritte
che le parole dovrebbero essere dette
che dovrebbero essere piantati i fiori di loto
La vita è un continuo inzupparsi
la vita è nuotare nello stagno di questo momento
Togliamoci i nostri vestiti
l’acqua è lontana solamente un passo
assaggiamo la luce.
Pesiamo la notte di un villaggio, il sonno di un cervo.
Percepiamo il calore del nido della cicogna,
non pratichiamolo sul diritto del prato,
sciogliamo il nodo del gusto nel vigneto.
E apriamo le bocche se la Luna esce.
E non si pianga dicendo che la notte è una cosa brutta.
E non si dica che la lucciola non è a conoscenza della visione del giardino.
E portiamo cesti.
E raccogliamo tutto questo rosso, tutto questo verde.
Cerchiamo di avere pane e formaggio al mattino.
E cerchiamo di piantare un alberello ad ogni svolta di una frase.
E cerchiamo di versare tra due sillabe il seme del silenzio.
Cerchiamo di non leggere un libro in cui il vento non soffia
e un libro in cui la pelle della rugiada non sia bagnata
e un libro in cui le cellule sono senza dimensione.
E non si dovrebbe buttar giù nemmeno una mosca dalla punta del dito della natura.
E non vorrei che il leopardo uscisse fuori dalla porta della creazione.
E dovremmo capire che se i vermi non esistessero alla vita sarebbe mancato qualcosa.
E se i bruchi non esistessero la Legge degli alberi avrebbe subito un duro colpo.
E se la morte non esistesse le nostre mani avrebbero cercato qualcos’altro.
E dobbiamo sapere che se la luce non esistesse, la logica del volo sarebbe andata fuori strada.
E dobbiamo sapere che prima dei coralli un vuoto esisteva nei pensieri dei mari.
E non dovremmmo chiedere :- dove siamo?
ma solo percepire le petunie fresche dell’ospizio.
E non dovremmo chiedere dove si trova la fontana della fortuna?
E non dovremmo chiedere perché il cuore della verità è blu?
E non dovremmo chiedere che tipo di notte e quali brezze hanno goduto i padri dei nostri padri.
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berit hildre
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Non c’è spazio vitale dietro la schiena.
Alle nostre spalle nessun uccello canta.
Alle nostre spalle non soffia il vento.
Dietro la schiena, la finestra di abete verde è chiusa.
Alle nostre spalle la polvere copre tutte le cime
Alle nostre spalle quello che c’è è la stanchezza della storia.
Dietro le spalle il ricordo delle onde getta gusci di freddo silenzio sulla costa.
Andiamo al bordo del mare,
a gettare le reti in acqua
per cattura la freschezza dall’acqua.
Prendiamo un sasso da terra
e sentiamo il peso dell’esistenza.
Non malediciamo la luna se abbiamo la febbre
(A volte ho visto la febbre, la luna scendeva,
e le mani raggiungevano il soffitto del cielo.
Ho visto il cardellino cantare meglio.
A volte una ferita che avevo sotto i piedi
mi ha insegnato gli alti e bassi del terreno.
A volte nel mio letto di dolore la dimensione di un fiore si è moltiplicata,
E ha aumentato il diametro dell’ arancio amaro, il raggio della lanterna.)
E non dobbiamo temere la morte
(La morte non è la fine del piccione.
La morte non è un grillo a testa in giù.
La morte scorre nell’anima dell’acacia
La morte si siede nel clima piacevole del pensiero.
La morte parla del mattino nel cuore della notte di un villaggio.
La morte arriva in bocca con il grappolo d’uva.
La morte canta nella rossa laringe della gola.
La morte è responsabile per la bellezza di un’ala di farfalla.
La morte a volte prende il basilico.
La morte a volte beve vodka.
A volte è in ombra che ci guarda
E tutti lo sappiamo
i polmoni sono pieni del piacere dell’ossigeno della morte.)
Cerchiamo di non chiudere la porta sul discorso vivo del destino che viene da dietro le mimose del suono.
Cerchiamo di togliere il sipario:
lasciate che la sensazione si trasmetta
lasciate che la maturità si sistemi sotto qualsiasi cespuglio voglia.
Lasciate che l’istinto possa andare a giocare.
Toglietevi le scarpe, e inseguite le stagioni, fate salti sui fiori.
Lasciate cantare la solitudine.
Scrivete qualcosa.
Andate per la strada.
Cerchiamo di essere semplici.
Cerchiamo di essere semplici, sia dietro il bancone di una banca sia sotto un albero.
Il nostro compito non è quello di scoprire il segreto della rosa rossa,
Il nostro lavoro è forse
galleggiare nel fascino della rosa.
Accampiamoci dietro la saggezza.
Laviamoci le mani nel rapimento di una foglia prima di sederci al tavolo del pranzo.
Riceviamo la nascita al mattino quando il sole sorge
Spargiamo acqua sulla percezione dello spazio, del colore, del suono, della finestra e dei fiori.
Lasciate il cielo stabilirsi tra due sillabe di essere.
Cerchiamo di riempire e svuotare i polmoni di eternità.
Cerchiamo di prendere il carico dalle spalle della conoscenza della rondine.
Cerchiamo di recuperare il nome dalle nuvole,
dall’abete, dalla zanzara, dall’estate.
Sui piedi bagnati di pioggia saliamo verso le altezze della compassione.
Apriamo la porta all’umanità, alla luce, alle piante e agli insetti.
Il nostro lavoro è forse
correre dopo il canto della verità
tra i fiori di loto e i secoli.
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Kashan, villaggio di Chenar , nell’estate del 1343 (1964)
Da Il suono dei passi dell’acqua – Sohrab Sepehri- (traduzione dall’inglese di f. ferraresso- prima parte e seconda )
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RELATIVAMENTE ALL’AUTORE:
Sohrab Sepehri سهراب سپهری (Kashan, 7 ottobre 1928 – Teheran, 21 aprile 1980) è stato un poeta e pittore persiano.
Sohrab Sepehri fu una personalità di spicco dell’Iran contemporaneo:poeta e scrittore, talento riconosciuto a livello internazionale, espose le sue opere in tutto il mondo, vinse prestigiosi premi e pubblicò numerose raccolte di versi. Viaggiò parecchio, dall’Asia agli Stati uniti, durante tutta la sua vita, anche quando si trovò in ristrettezze economiche. Fu un uomo solitario, non si sposò mai, si tenne al di fuori delle vicende politiche che infiammavano gli intellettuali di quell’epoca e cercò rifugio nella natura, per lui simbolo di Dio e della sua potenza, ogni volta che la realtà circostante diveniva insopportabile.
La sua opera poetica è strettamente connessa a quella pittorica. Per quanto riguarda la poesia, in essa possiamo trovare dei temi ricorrenti; la natura e Dio, la vita e la morte, il viaggio e la solitudine, la donna e l’amore (questi ultimi in misura molto minore rispetto agli altri soggetti). Lo stile di Sepehri risulta molto ermetico, carico di mitologia e misticismo.
Biografia
Sohrab nacque nel 1928, a Kashan, in una famiglia appartenente all’aristocrazia terriera dell’epoca. L’ambiente familiare in cui crebbe lo influenzò radicalmente: il padre, daftari, impiegato presso il Indo-European Telegraph, era artigiano del tradizionale flauto persiano, il tar, e quindi legato all’ambiente mistico-sufi, mentre la nonna era anch’essa poetessa di discreto talento. Il padre morì quando Sohrab era ancora molto giovane e fu il fratello maggiore, Manuchehr, che si fece carico della famiglia e finanziò i suoi studi. In seguito a questo la madre di Sohrab, donna molto devota, gli impose che, nel firmare i suoi lavori pittorici, egli aggiungesse una mim alle sue stesse iniziali.
Nel 1940 terminò i suoi studi primari a Kashan, presso l’istituto Khayyam. Tra il 1943 e il 1948 compì i suoi studi secondari, lavorando contemporaneamente presso il Ministero dell’Educazione. Nel 1948 abbandonò il suo posto al Ministero e si iscrisse all’Università di Teheran, Facoltà di Belle Arti. Tra anni più tardi fu pubblicata la sua prima raccolta di versi, “Morte del colore”, e nel 1953 si laureò con merito e venne impiegato come designer al Ministero della Sanità, partecipando nel frattempo a diversi esposizioni d’arte. Nel 1954 fu edita la sua seconda raccolta, “La via dei sogni”, lavorò al Ministero della Cultura e dell’Arte e insegno’in una scuola d’arte.
Nel 1957 si recò a Parigi, per apprendere l’arte della litografia, e a Londra. L’anno seguente partecipò alla prima Biennale di Pittura di Tehran, viaggio’tra Parigi, Roma e Venezia, dove partecipò alla Biennale. Al suo rientro in Iran, occupò il posto di direttore dell’organizzazione audio-visuale presso il Ministero dell’Agricoltura.
Nel 1960 prese parte alla seconda Biennale di Teheran, dove ottenne il primo premio per le Belle Arti. Successivamente andò in Giappone, visitando Tokyo e altre città minori e venne iniziato all’arte dell’incisione su legno.
Nel 1961 venne edito “L’Oriente della tristezza” e Sohrab intraprese un viaggio in India, ad Agra e al Taj Mahal; questa esperienza fu molto incisiva per la sua spiritualità. Fu in quest’anno che rinunciò a tutti i suoi impieghi ufficiali. Tra il 1962 e il 1974 non smise mai di viaggiare (visitò in quegli anni Brasile, Pakistan, Afghanistan, India, Europa, Stati Uniti, Grecia ed Egitto) e di esporre, partecipando nel frattempo ad alcune esibizioni internazionali, quali il Festival Internazionale di Pittura, in Francia, dove vinse un premio speciale.
Nel 1965 la rivista letteraria Arash pubblico’”Il passo dell’acqua”, a cui seguirono, nei due anni successivi, rispettivamente “Il viaggiatore” e “Il campo verde”.
Nel 1977 venne pubblicata la raccolta finale della sua opera “Gli otto libri”.
Nel 1979 Sohrab si recò in Inghilterra per curarsi dalla leucemia, che lo avrebbe portato alla morte l’anno successivo, a Teheran.
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Riferimenti in rete:
http://www.sohrabsepehri.com/poems.asp?status=showpoem&language=e&poemid=99
http://www.ikramkurdi.com/2008/11/sohrab-sepehri-footsteps-of-water.html
Altri riferimenti: http://www.sohrabsepehri.net/
Note al testo:
qibla. 1 direzione della Mecca
adhan 2 la chiamata islamica alla preghiera, di norma fatta dal muezzin che, ogni ora, recita l’adhān dal minareto della moschea, a scopo di richiamare i musulmani alle preghiere obbligatorie.
takbirat-al-ahram 3
Qad- Qamat 4 (o ghad-ghaamat) : in arabo significa “alzati”. Il significato letterale sarebbe “alzati per pregare”.
Ka’ba 5 è un luogo di preghiera che Dio fece costruire da Abramo e Ismaele oltre quattromila anni fa
NOTE:
Chimonanthus 6 – è un albero sempreverde di origine asiatica con piccoli fiori giallo scuro bellissimi e profumati. In persiano viene letteralmente chiamato “fiore (di) gelo” come i fiori appaiono quando il tempo diventa molto freddo e gelido.
RIFERIMENTO IN RETE:
non trovo parole abbastanza per dirti la pienezza di questo incontro
grazie a te, alla tua “consegna” passerò qualche filo di viaggio…
Mi piace questa poesiola che sembra senza ambizioni e invece è profondamente vera e incisiva.
poesiola…è un testo molto lungo, come una meditazione lungo un corso d’acqua che è la vita stessa e il nostro mai raggiungerla nella sostanza e, anche se l’insistenza sull’essere musulmano potrebbe far credere ad una chiusura, in realtà quella è la porta che conduce tra passi come paesi in cui nessuno è abbastanza lontano e nessuno ingombra della propria logica qualcosa che tutti ci supera
grazie per aver portato a chi legge la poesia di Sohrab Sepehri. grazie del bellissimo lavoro.
purtroppo non conosco la lingua originale e le traduzioni dall’inglese,da cui sono partite le mie amatoriali ( non sono una traduttrice,solo una innamorata di poesia) sono diseguali.Ho cercato di costruire mantenendomi il più possibile aderente ad una traduzione, più che ad una riscrittura,anche se ogni traduzione è di fatto una interpretazione e dunque una riscrittura. Credo comunque che questo significhi la bontà della scrittura originale,della poesia dentro la scrittura, se induce altri a dirne. Ciao Viviana e grazie,ferni
dolcissimo
Non ci sono limiti per la Poesia. Quando pensi di aver letto tutto trovi “Questo” e ti stupisci e ti commuovi, e ti dici che la parola ha sempre un accostamento, un suono, un principio tutto suo che si rinnova sempre.