Disco di Nebra (età del bronzo)- monte Mittelberg, Germania 1999
Il disco di Nebra (1) è un manufatto di bronzo, di forma circolare, del diametro di circa 32 centimetri, recuperato il 4 luglio 1999 dalla refurtiva di tombaroli nelle campagne tra Jena e Halle, in un sito non distante dalla località di Goseck, in Germania.
Il disco, che risale al 1600 a.C. circa, è decorato con trenta pallini d’oro, a raffigurare le stelle, con una falce di Luna, un cerchio che potrebbe rappresentare la Luna piena (è meno probabile che si tratti del Sole, poiché il disco comprende un’immagine del cielo notturno stellato), due elementi ai bordi ad indicare, sulla parte destra, l’arco dell’orizzonte orientale, dove, nel corso di un anno durante l’età del Bronzo, si levava il sole; invece la lista sul lato sinistro, andata perduta, corrisponde all’arco dell’orizzonte occidentale, in cui il sole tramontava. “Di conseguenza, le due estremità della prima fascia indicherebbero, rispettivamente, i momenti in cui il sole raggiungeva la sua massima e la sua minima declinazione: l’estremità alta, il solstizio d’estate (21 giugno), quella bassa, il solstizio d’inverno (21 dicembre)”. (2)
Tra gli astri, secondo alcuni archeoastronomi, si distingue una costellazione. “Per W. Schlosser, astronomo dell’Università della Ruhr, si tratta della raffigurazione delle Pleiadi (nella mitologia greca, le sette stelle figlie di Atlante e di Pleione), un ammasso stellare visibile nella costellazione del Toro (a occhio nudo si discernono bene fino a sei stelle). Per Schlosser, l’assenza di altre costellazioni è fondamentale per interpretare il senso del disco: esso rappresenta l’immagine tipica di un cielo notturno, nel quale è volutamente enfatizzata, come unica costellazione, quella delle Pleiadi… Oltre ai corpi celesti, sul disco erano applicate tre fasce auree a forma di arco (delle quali ne restano due). L’analisi ha rivelato che le fasce più larghe, poste alle due estremità del disco (e di cui una è, appunto, mancante), furono applicate in un secondo momento: l’oro è diverso da quello usato per le lune e le stelle e, sotto la fascia ancora conservata, si trovano i segni della presenza di altre due stelle, coperte dal “nuovo” elemento applicato. La terza fascia, infine, si trova sul lato basso, più o meno a uguale distanza da quelle laterali e con le estremità ricurve verso l’interno del disco”. (3)
Gli studiosi si sono interrogati sul significato dei vari elementi.
Per Meller e Schlosser, al fine di comprendere le immagini del disco rinvenuto sul Mittelberg bisogna concentrare l’attenzione sulle Pleiadi. (4) È risaputo che, presso i popoli antichi, l’osservazione dei corpi celesti più brillanti adempiva funzioni di calendario: le stelle, con la loro apparizione o scomparsa, indicavano particolari giorni dell’anno. L’astronomo Schlosser ha dimostrato che, nel firmamento della Germania centrale di 3600 anni addietro, nella sera del 10 marzo, le Pleiadi tramontavano luminosamente nell’emisfero occidentale, mentre spesso nell’oscurità si disegnava la falce della luna. In compagnia della luna piena, invece, la costellazione era visibile nel cielo serale il 17 ottobre. Le date corrispondono, all’incirca, ai due periodi in cui gli agricoltori dell’Europa centrale nell’età del Bronzo dovevano occuparsi, rispettivamente, della semina e del raccolto. Erano due attività fondamentali dell’antico calendario agricolo che il disco di Nebra effigia in modo sincronico. “Ecco – spiega Meller – il messaggio che il disco trasmetteva a chi lo osservava 3600 anni fa: quando scorgi le Pleiadi vicino alla luna crescente, sono in arrivo la primavera e il periodo della semina. Quando, invece, appaiono insieme con la luna piena, siamo in autunno e dovresti aver completato il raccolto”. Il messaggio evoca alcuni versi di Esiodo: “Quando sorgono le Pleiadi, figlie di Atlante, incomincia la mietitura; l’aratura al loro tramonto: esse, infatti, quaranta notti e quaranta giorni stanno nascoste, poi, volgendosi l’anno, appaiono dapprima quando è il momento di affilare gli arnesi. Questa è la legge dei campi…” (5)
La mappa celeste del disco richiama inoltre la rappresentazione del firmamento al centro dello scudo di Achille, scudo fucinato dal dio del fuoco Efesto: “Vi fece la terra, il cielo e il mare, l’infaticabile sole e la luna piena e tutti quanti i segni che incoronano il cielo, le Pleiadi, le Iadi, la forza di Orione e l’Orsa che chiamano col nome di Carro: essa gira sopra sé stessa e guarda Orione e sola non ha parte dei lavacri d’Oceano”. (6)
L’identificazione del gruppo di stelle con le Pleiadi non è accolta da tutti gli studiosi: si tratta di un’ipotesi ancora da verificare e suffragata per lo più dai riscontri letterari (cfr supra) (7): infatti la disposizione dei cerchietti d’oro non corrisponde perfettamente con quella degli astri che formano l’ammasso. Tuttavia, fino ad ora è questa la supposizione più diffusa.
Archeologi e astronomi, poi, si chiedono se gli altri tondini-stelle siano distribuiti in modo casuale o se la loro configurazione rispecchi una mappa celeste. Insomma, quali altri costellazioni furono raffigurate sul disco?
Qualche ricercatore ha visto nei sette puntini dislocati sulla destra, alcuni dei quali avvolgono le Atlantidi, il profilo dell’Orsa maggiore. (8) In effetti la sinopia sull’oggetto è molto simile al disegno celeste del Grande Carro.
Nel settore centrale del disco, in alto, si notano tre pallini che, con buona approssimazione, a mio parere, riproducono la cintura del Gran cacciatore. Infine i cerchietti sulla sinistra potrebbero essere accostati all’Orsa minore o, più verosimilmente, a Cassiopea.
Un’altra figura applicata sul bordo inferiore del disco merita di essere esaminata: mi riferisco all’arco in cui è stata vista dalla maggioranza degli studiosi l’immagine stilizzata del vascello solare, anche se altri vi scorgono ora un arcobaleno ora la Via lattea.
Per Meller la lamina raffigurerebbe una barca solare, soggetto frequente nell’arte antica medio-orientale e anche nel mondo scandinavo. (9) La barca trasporta il Sole nel suo viaggio attraverso la volta celeste. (10)
All’interno di una schema stellare già di per sé enigmatico, mi pare che questa mezzaluna costituisca un ulteriore mistero. L’ipotesi secondo la quale tale falce rappresenterebbe la barca del sole non mi persuade del tutto: infatti, all’interno di uno scenario notturno, mi sembra un elemento un po’ incongruo, che costituirebbe forse più di un’eccezione iconografica. Proporrei pertanto un’altra interpretazione: considerando sia la forma sia il contesto astronomico sia la datazione del reperto, si potrebbe supporre che il semicerchio sia un riferimento alla costellazione del Toro. In primo luogo, infatti, la morfologia è molto simile alle corna lunate dell’animale; inoltre le Pleiadi appartengono alla costellazione del “Taurus”.
Infine il reperto dovrebbe rapportarsi, in qualche modo, all’età astrologica dominata dal secondo segno zodiacale.
Un emiciclo è incluso nel glifo astrologico del Toro, a sormontare un cerchio. Il simbolo denota “la possente testa del bovino. Siamo in un segno fisso, posto al centro della stagione primaverile e ricco, quindi, di prorompente fecondità. Generazione e fecondità richiamano le corna bovine, dalla forma di un crescente lunare. La Luna è esaltata in Toro, ma anche Venere che domina il Segno; Venere fecondissima, come l’egizia vacca celeste Hathor, dal manto coperto stelle… Muggisce il toro: un tuono lontano che si avvicina sempre più. Il toro celeste porta la tempesta, ma anche la pioggia fecondatrice… Ancora, regge il mondo, su quattro zampe nell’età dell’oro.” (11)
I significati archetipici ed astrologici del segno paiono addirsi sia al quadro astronomico istoriato, con al centro le Pleiadi, raggruppamento di astri che appartengono al “Taurus”, sia al probabile uso del disco come calendario per indicare l’inizio della primavera ed i concomitanti lavori nei campi. Rimanendo in un campo simbolico, si può considerare il secondo arcano maggiore dei tarocchi, la Papessa. Questa carta raffigura una donna assisa su un soglio che rimane coperto dall’abito panneggiato. La veneranda donna, che tiene tra le mani un libro, siede tra due colonne. “La figura della sacerdotessa, il cui manto isiaco rappresenta invariabilmente la volta celeste, si accompagna ad una significativa gestualità. Ella sottomette ai suoi piedi una falce lunare, nota icnografia del toro zodiacale, mentre alla sommità, spunta, tra due corna d’ariete, la sfera dell’astro del giorno… Nel mazzo di carte di O. Wirth troviamo il personaggio identicamente assiso su un trono posto tra due colonne, recante sul petto una doppia banda incrociata a formare una X.” (12)
L’iconografia della Papessa rimanda a quella di Hathor, “la dea egizia dell’amore, della gioia, dell’ebbrezza, della musica e della danza. Il suo nome, che significa ‘dimora di Horo’, allude alla sua natura cosmica, in quanto sede del sole (Horo)… Ella può assumere le fattezze della crudele dea leonessa Sekmeth o della voluttuosa dea gatto Bastet, incarnando così l’ambivalenza amore-odio… È anche Iside… Già un documento della I dinastia (3100-2890 a.C.) la mostra con testa di donna, corna ed orecchie bovine, attributi che conservò sino all’Epoca tarda.” (13)
L’accostamento nel manufatto della lamina arcuata – che potrebbe adombrare la costellazione del Toro – e la cintura di Orione, si connettono forse al fenomeno della precessione degli equinozi, di cui il Gran Cacciatore è signore, come dimostrato da illustri studiosi. (14) La falce potrebbe denotare la fase declinante, (o il rimpianto?) dell’era precessionale dominata dal Toro. Un analogo simbolismo si può rintracciare nell’Esodo, laddove sul capo di Mosè, che scende dal Monte Sinai, splendono due corna d’ariete, prima che il profeta decida di distruggere il vitello d’oro plasmato dagli Ebrei durante la sua assenza. Il vitello (piccolo del toro) è emblema dell’epoca precedente. (15)
È un caso se la banda lunata è posta al margine della piastra circolare, come se stesse allontanandosi dalla partizione celeste, nel movimento a ritroso tipico della precessione, movimento percepito dagli uomini della protostoria e dell’antichità come distruttivo.
Tale esegesi delle immagini cosmiche raffigurate sul disco di Nebra può avvalorare la datazione oggi prevalente, collocata intorno al XVII secolo a.C.
Ricordando che un’era astrologica dura 2160 anni, la fine dell’età del Toro dovrebbe essere situata intorno al 2000 a.C., in un’epoca relativamente vicina al XVII secolo a.C. (16)
L’allontanamento degli Ebrei dalla terra d’Egitto, sotto la guida di Mosè, sempre che si tratti di un evento storico e non di una leggenda, insieme con l’episodio del vitello d’oro sopra ricordato, dovrebbe risalire, invece, ad un periodo posteriore, al XIII sec. a.C. (17)
Ricapitoliamo. L’artefatto mostra un diagramma celeste che sembra incentrato sulle Pleiadi, Orione, l’Orsa maggiore, Cassiopea (o l’Orsa minore) per un totale di 25 stelle-tondini su 30 (32 se si contano i due astri coperti dalla banda applicata posteriormente) In basso il glifo del Toro è una sorta di indicazione cronologica del reperto. Al di sopra della mezzaluna, tre stelle potrebbero riferirsi alle Iadi. La loro posizione è, grosso modo, corretta, essendo poste tra le corna lunate del Toro. Il tutto è disegnato in modo alquanto impreciso, se si considerano il profilo dei gruppi stellari e le distanze, come se, in uno spazio circoscritto, l’artefice avesse voluto radunare i corpi più significativi, in una sorta di epitome astronomica. Così si potrebbe spiegare l’affastellamento di costellazioni poste a notevole distanza sulla volta notturna.
Se, elemento ormai quasi certo, come è stato dimostrato dalle analisi degli isotopi del rame usato per questo singolare utensile, il disco fu forgiato con un minerale estratto da un giacimento nell’Europa centrale e non fu importato dal Medio Oriente, siamo al cospetto della più antica raffigurazione delle Pleiadi.
Inoltre il manufatto rivela l’importanza che ebbe per molti popoli protostorici ed antichi la costellazione di Orione, in quanto legata ai fenomeni precessionali.
L’accostamento tra il Toro, le Pleiadi, il Gran Cacciatore ed altre costellazioni è stato pure rilevato nella Sala dei tori, un ambiente ipogeo abbellito con pitture rupestri all’ingresso delle grotte di Lascaux, in Dordogna. Tali affreschi, ascrivibili al 15.000 a.C., mostrano degli auroch (i tori del Paleolitico): fra i bovidi, uno spicca per il suo occhio reso con un segno che riproduce la brillante stella rossa di Aldebaran e per l’insieme di stelle note come Iadi, la cui disposizione a triangolo delinea il fiero profilo del muso. (18) Nel pozzo di Lascaux si può ammirare un singolare soggetto: un uomo con uno strano viso, un cacciatore, la cui lancia giace a terra, colpito forse da un toro-bisonte. È un abbinamento tra Orione ed il Toro celeste?
Il culto preistorico del Toro, il cui santuario è costituito dalle grotte di Lascaux, è diffuso presso molte popolazioni antiche: basti pensare al toro Api adorato dagli Egizi già al tempo del faraone Aha della I dinastia (circa 3100 a.C.). In epoca storica fu considerato l’incarnazione di Ptah, Ra ed Osiride. (19) In altre culture questo animale è venerato: si pensi ai Cretesi, al mito greco di Zeus ed Europa, alla religione di Mithra. I significati connessi all’energia vitale ed alla fecondità si associano e si sovrappongono ai valori astronomici.
Sin dai tempi remoti, è possibile individuare non solo il culto del toro, ma anche, forse, un’ostilità tra Orione da un lato, il Toro e le Pleiadi dall’altro.
Nel mito greco Orione, gigante dalla forza formidabile, recatosi a Chio, forse chiamato da Enopione affinché lo liberasse dalle fiere che infestavano l’isola, s’invaghì della figlia di questi, Merope, una delle Pleiadi che, però, lo respinse. Il gigante, ebbro, tentò di violentare la fanciulla, pertanto Enopione lo accecò mentre dormiva. Dal racconto tradizionale dunque emerge stranamente un motivo d’attrito tra Orione e una delle Pleiadi. Una coincidenza?
Addirittura tale inimicizia affiora nell’ambito dell’Ufologia.
Lo svedese Olaf Nielsen, studente di agraria, sostenne di essere stato rapito da abitanti di un altro pianeta il 15 agosto del 1960, mentre passeggiava in una zona isolata presso Halmstad. Il giovane riferì di essere stato portato in una base sotterranea. Un visitatore, che gli faceva da guida, di fronte ad un apparato protettivo costituito da una “barriera magnetica” all’ingresso della base, spiegò a Nielsen che questa precauzione era stata presa contro gli “Oscuri”, ossia i malvagi alieni originari di Orione smaniosi di occupare la Terra. Recentemente alcuni studiosi e contattisti hanno associato Orione ad entità ostili, in conflitto con i Pleiadiani. (20)
Dunque i racconti tradizionali adombrano fenomeni naturali e cosmici, ma è possibile che, all’interno di questi significati, se ne trovi un altro, come se si trattasse di scatole cinesi?
È possibile che il mito celi, in un meandro del suo labirinto, un messaggio cifrato relativo a visitatori provenienti da altri pianeti?
Nel disco di Nebra le Pleiadi ed il Toro fronteggiano la cintura di Orione, la figura celeste che in Egitto fu associata al culto del dio Osiride. Gli Egizi lo consideravano il principe delle stelle del Sud e lo raffiguravano con le sembianze di un uomo col capo rivolto all’indietro, lo scettro nella destra, il braccio sinistro assente del tutto o per metà. (21)
L’ossessione delle antiche civiltà per questo brutale cacciatore, il cui prototipo è forse il mesopotamico Nimrod, potrebbe essere un ricordo, trasfigurato nelle saghe, di una razza aliena perfida ma carismatica?
Allora le barche solari, con le loro forme arcuate, non potrebbero essere anche stilizzati vascelli celesti, ossia astronavi galattiche.
Lo stesso semicerchio del disco, sotto tale angolazione, assume i connotati della calotta tipica di un UFO, qualora la immaginiamo capovolta. Ipotesi fantasiose, azzardate?
In ogni caso, tralasciate queste audaci congetture, un accurato confronto sembra avvalorare l’asserzione di Vinci per il quale il disco mostra i legami tra “il mondo nordico della prima età del bronzo e quello omerico (lo scudo)”. (22)
Vediamoli mediante un prospetto sinottico:
DISCO DI NEBRA |
OMERO |
Barca del sole? |
Sole |
Luna piena/ luna crescente |
Luna piena / ——- |
Pleiadi |
Pleiadi |
Iadi? |
Iadi |
Orsa maggiore? |
Orsa maggiore |
Orione? |
Orione |
Cassiopea (o Orsa minore) |
——– |
Toro? |
——– |
Archi dell’orizzonte |
——– |
Come si vede dallo specchietto, la corrispondenza è notevole. In più, nel rutilante manufatto di Sangerhausen, troviamo forse dei cenni figurativi ad un’età perduta o al tramonto, quella del Toro, se non il cenno sibillino ad un conflitto che oppose e tuttora oppone, per dirla con Andrews, gli extraterrestri amichevoli (friends), i Pleiadiani, a quelli ostili (foes) di Orione.
Note:
1. “Enciclopedia di astronomia e di cosmologia”, a cura di J. Gribbin, Milano, 2005, inerente e sotto la voce Goseck; G. Vinci, “Omero nel Baltico”, Roma, 2002, terza edizione.
Uno studio molto approfondito è quello di A. Gaspani, “Il disco di Sangerhausen, La più antica rappresentazione del cielo dell’antichità europea?” Nel testo, leggibile in artepreistorica.it, l’autore congettura che sulla superficie dell’oggetto sia istoriata la cometa di Halley. La cometa fu visibile nel 613 a.C. Naturalmente tale ipotesi implica una datazione molto più bassa del manufatto da collocare in un contesto culturale celto-germanico e non più protoindoeuropeo.
2. A. M. Steiger, “Il cielo nel disco di Nebra”, articolo in sapere.it
3. Id., Ibid.
4. Le Pleiadi sono un ammasso di stelle molto recenti e calde, di colore azzurro, nella costellazione del Toro. Le sette Pleiadi, denominate nell’antichità anche Atlantidi, (Alcione, Atlante, Elettra, Maia, Merope, Pleione, Taigete) sono visibili ad occhio nudo. In realtà, l’ammasso è formato da circa 500 astri, gran parte dei quali dista circa 400 anni-luce dal nostro pianeta. “Enciclopedia di astronomia…” op. cit. s.v. inerente.
5. Esiodo, “Le opere”, vv. 383-388.
6. Omero, “Iliade”, XVIII, vv. 483-486.
7. Nel mitreo Barberini a Roma, è possibile ammirare una raffigurazione delle Pleiadi pressoché identica a quella del disco.
8. Sull’Orsa maggiore: “Enciclopedia…” op. cit. s.v. “Ursa maior”.
9. Secondo le antiche concezioni teologiche elaborate ad Eliopoli, il dio-sole Ra attraversava quotidianamente il cosmo a bordo di due differenti barche: la barca Mandt trasportava il nume da oriente ad occidente di giorno; la barca Msktt lo menava nel suo tragitto notturno traverso l’aldilà. “Grande enciclopedia illustrata dell’antico Egitto”, a cura di E. Bresciani, Novara, 1998, 2005, sotto le voci barche del sole, Atum, barche sacre, Ra, Khepri.
10. Osserva A.M. Steiger, art. cit. che è “un concetto, quello del viaggio diurno e notturno del sole, espresso anche nella complessa simbologia presente in un altro, famosissimo reperto dell’età del Bronzo, il cosiddetto “carro di Trundholm”, raffigurante il sole che poggia su un carro trainato da un cavallo”.
11. A. Anzaldi, L. Bazzoli, “Dizionario di astrologia”, Milano, 1988.
12. Bheltasor (pseudonimo), “Il mistero di Orione”, articolo incluso in bheltasor.blog.tiscali.it dove l’autore, nel suo pregevole contributo, collega figure come Nimrod, Abramo, Sansone, Orione, Mithra… al fenomeno precessionale. Anche la Papessa è reputata una metamorfosi di figure mitiche dal valore cosmologico. La Papessa – si può rammentare – è la seconda lama, come il Toro è il secondo segno zodiacale. La doppia banda a forma di x sul petto della ieratica figura è interpretata come “il segno identificativo del distacco astronomico dell’eclittica dall’equatore”. A proposito di croci, mi chiedo se l’”ankh” egizia non rappresenti l’eclittica (l’ellissi) e i punti d’intersezione del piano dell’equatore col piano dell’eclittica (la croce a tau). Su Sansone come eroe solare indoeuropeo, cfr G. Garbini, “I Filistei”.
13. “Enciclopedia illustrata…” op. cit. s.v. Hathor.
14. Cfr G. De Santillana, H. Von Dechend, “Il mulino di Amleto”, 1983, 1990; G. Terzoli, P. L. Trombetta, “Intervista con gli dei”; G. Terzoli, D. Marchesini, “Il codice degli dei”.
15. Esodo, 32. Michelangelo scolpì il celebre Mosè con sulla testa due corna: i simboli astrologici con i loro molteplici sensi perdurano nel tempo anche quando non sono più riconosciuti come tali.
16. I limiti cronologici delle ere oscillano di quattro o cinque secoli a tal punto che alcuni datano il passaggio dall’età del Toro a quella dell’Ariete al 2350 a.C.; per altri lo spartiacque è il 1850.
17. È noto che i faraoni che accolsero gli Ebrei nella regione del delta del Nilo erano sovrani hyksos, non autoctoni. Quando il faraone di Tebe insorse contro i “capi dei paesi stranieri”, gli Ebrei, che dovettero essere uno dei popoli aggregatisi agli Hyksos, forse non ben accetti agli Egizi, videro peggiorare le loro condizioni di vita. È dubbio se veramente essi furono ridotti in schiavitù da Ramesses II e dal suo successore, Merneptah. Anche l’esodo, più che una fuga, fu probabilmente uno spostamento, in più ondate. “Dizionario illustrato…” op. cit., s.v. Hyksos, Merneptah nonché “Enciclopedia storica”, a cura di M. L. Salvadori, Bologna, 2000, sv. Israele.
18. L. Amendola, “Astronomi di 17.000 anni fa”.
19. “Enciclopedia illustrata…” op. cit. sv. inerente.
20. A. Marcianò, “Profezie aliene”, 2005. Nel libro di S. Di Gennaro, “Homo saurus”, Ferrara, 2004, sono descritti, sulla base di resoconti e testimonianze, i Grigi di Bellatrix, sistema prossimo ad Orione, ed i Grigi alti di Orione. Ambedue le razze sarebbero crudeli. David Icke, “Il mistero più nascosto”, Cesena, 2000, opina che gli alieni di Orione siano bellissimi ma malvagi.
21. Cfr “Enciclopedia dell’antichità classica”, Milano, 2000, s.v. Orione nonché R. Graves, “I miti greci”, Milano, 1963, pp. 135-138. Lo pseudo-Apollodoro, nel suo compendio mitologico intitolato “Biblioteca”, ricorda che la dea Artemide era in collera con Orione perché egli aveva inseguito le di lei compagne, le Pleiadi. Secondo Graves, in Egitto la costellazione fu poco chiaramente identificata con Seth, il dio malefico nemico di Horus, il protettore dei faraoni. Tuttavia gli antichi Egizi videro in questo sistema stellare il dio Osiride, nume della fertilità e signore dei defunti. R. Bauval e A. Gilbert, “Il mistero di Orione, Alla scoperta dei segreti delle piramidi”, Milano, 1997; ID., “I re pellegrini”, Milano, 1999; G. Hancock, “Impronte degli dei, Alla ricerca dell’inizio e della fine”, Milano, 1996. Orione è un’inconfondibile costellazione proprio sull’equatore celeste. È formata da due stelle di magnitudine 1 e da cinque di magnitudine 5. “Enciclopedia di astronomia”, op. cit, s.v. Orione.
22. Cfr G. Vinci, op. cit.
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