Francoise de Felice
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Il perché non chiedermelo.
Una giostra, un battito
quel centimetro di sole
alla ringhiera,
dopo
un filo d’erba
o un suo sorriso.
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Non sarò né la prima né la miliardesima, come assicura Samperi nella sua ultima raccolta, a perdermi tra cose minuscole e immense. Sopprattutto tra cose in cui siamo immersi. Non perché queste abbiano grandi dimensioni ma perché hanno in noi lunghissimi strascichi, impronte che vanno e vengono nella maratona dei giorni, issati alla fiamma delle nostre emozioni dal tedoforo del ricordo. E le fiammate sono brevi, sì certo, e i quadri che le descrivono pagine in cui il bianco è preponderante rispetto alla scrittura, ma tutto ciò sottolinea che c’è molto, molto di più oltre gli alfabeti consueti, tra segno e segno e oltre, nelle spaziature che sono tracce lievi di ombre, che ognuno porta in sé e con sé. L’appartenenza è la domanda, quella che ad un certo punto, come se ci si trovasse su un ponte, ognuno si pone per potersi gettare in un tuffo da cui non può astenersi. Ed è la stessa domanda che altri si sono già rivolti e hanno poi depositato a noi nelle banche-barche del tempo, loro futuro noi, come un pegno e una dichiarazione di continuità. Proprio perché manca la risposta manca la fine del viaggio, manca la fermata. – Da dove vengo? Che cosa ci faccio qui? Perché sono qui? – Sono le domande che bruciano il nostro dire e i gesti, rendono il nostro tempo fertile, da oggi, dall’ultimo istante fino a ieri, un giorno remoto, tra filari di vite che sono noi negli altri. Eppure ognuna di quelle righe è cifrata, nel senso che dentro, parola per parola, ci sono le chiavi per aprire le porte che Giuseppe apre e richiude dietro sé. Chi lo segue si ferma sulla soglia e, per passare, deve passare attraverso se stesso. Anche questo è un segno di appartenenza.
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Lascio ma non lascio
il senso e la misura,
gocce
a spartiacque del ritorno.
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E subito accanto, nella sponda della pagina opposta allo stesso mare e al naufragio annota
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Non so nuotare
farò il morto in vicinanza
ritornare
al bagnasciuga della pagina
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Andando a ritroso, come se il vento portasse al largo, alle prime onde della raccolta, onde che per Samperi vengono dal passato e sono annodate al presente, ci troviamo nella schiuma di un mare in cui c’immergiamo tutti, anche solo quando, da qualche parte in casa, là dove non ce lo aspettavamo, troviamo una lettera e una grafia che pensavamo perduta.
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Tra sogni e bisogni
a tondogiro l’inchiostro.
Uscire alla spiaggia d’avorio
che delimita il varco
Ma non per una voglia, aggiungo, o un desiderio nostalgico ma per una tentazione che è l’oscuro che ci chiama, che viene a prenderci, ci soffia dentro l’orecchio.
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Mi tentano voci:
sono l’isola
qui vivrai
di pesca buona e
parole in abbondanza.
Ma nel fondo gorgo
tentacoli ad uncino
e bolle d’aria.
Ed è un movimento come quello dell’acqua tutto il libro, una oceanografia in cui l’andare e poi il tornare dell’onda da un lato consuma la sabbia dall’altro deposita altro materiale, preso da altri confini. I due testi di seguito rendono tangibile questo movimento mostrando sia la sabbia che sotto i piedi viene trafugata alla sponda della costa sia chi, della stessa sostanza, sopra vi sosta.
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Il debito
non è il tempo che ho mancato
ma la distanza non prevista,
il prezzo esente vita
da scontare.
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Distanze incommensurabili
le curve della riva
dal dorso delle acque.
Chilometri imprecisi
d’arbusti, ramoscelli…
Eppure pochi centimetri
questa chiazza d’inchiostro
da ciò che la contiene.
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E se, come un gambero tra le sabbie di queste pagine, continuassi a pro-cedere, tornando alla riga d’imbarco del libro, ancora troverei quel moto, quell’andarevenire che a volte s’invortica, fa molinello per un soffio inatteso di vento, o come uno specchio si blocca, immergendo nel suo spazio tutto il cielo e la paura in cui tutti c’intinge il corpo: annegarvi, nella vita, senza aver potuto essere, ciascuno ciò che siamo. E’ un raggio, anche quello con cui s’illumina la riflessione dello specchio di Samperi, o un miraggio, nel vortice della pagina, quella sabbia d’avi e avori che solo qualche riga prima avevamo incontrato, tra una traccia e l’altra di questa maratona.
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Un raggio
che si insinua alle fessure,
così ho perduto
la bottega.
Inaspettato lo spartito:
se vivo e muoio mi frantumo in schegge!
di polvere d’inchiostro.
Corsiva, spesso, la parola , sembra voler raggiungere più liquidamente possibile una sponda, un luogo preciso, andare lì dove un altro o altra riceverà il testimone di questa lunga corsa tra le miriadi di segni lasciati sulla spiaggia, anche se è sull’acqua, di cui la parola è fatta, che si prende il mare per andare, andare, andare senza sapere che fa acqua, acqua da tutte le parti, il piccolo natante su cui siamo imbarcati.
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L’isola d’inchiostro
tutti dico tutti
scribacchini e scribanti
cannocchiale in mano
ridicoli bermuda
sono io Cristoforo
a prua
sul quaderno
tutti dico tutti
a scambiare un naufragio
per terraferma.
Fernanda Ferraresso- aprile 2012
Francoise de Felice
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Da Il miliardesimo maratoneta – SUITE PER ORIETA
Le isole
hanno forma mutevole,
labirinti che a percorrerli
si fanno d’altra specie.
Perdonami
questi
sentieri ingannevoli.
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Non è malattia l’alzarsi
alle tre di mattina
se è il foglio che mi chiama:
non ha sesso né tenta
il conversarci. Solo un atto
privo di senso, atto sporco
dell’animo a un finto specchio.
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da ALL’ASPRO DELL’ARANCIO
Dall’isola d’inchiostro evadi
– semmai ne fossi prigioniero-,
è un’isola che inabissa
in danze di rovescio.
La drittura del cammino impone
sandali e gelidi piedi
sulle acque ferme
a cuor di terra.
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IL MILIARDESIMO MARATONETA- Giuseppe Samperi, Edizioni del Calatino
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“Dall’isola d’inchiostro evadi
– semmai ne fossi prigioniero-,
è un’isola che inabissa
in danze di rovescio.”
Penso sia un ottimo consiglio per quanti scrivono oggi senza porsi nemmeno il problema di cosa significhi aprire un contenzioso con la parola, che ti spilla l’anima, che ti spella non solo le mani ma la vita spesso, a volte ti spalleggia, altre ti spalanca o ti spara dritto in fronte l’ultima voce che non volevi sentire nel vuoto in cui sei, e certe volte ti spezza o ti spazza via, lontanissimo da tutto. Ho letto con interesse la presentazione e anche i versi, scarni, quasi accidentali tra i marosi di un sentire che sembra non trovare tregua.
s.q.
Grazie a Salvatore Q. per il profondo commento.