…sai quando il vento- 21 marzo 2012 GIORNATA MONDIALE DELLA POESIA

Jane Planson

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Specchi, le parole, in cui miriamo o ammiriamo lo spaccato di noi stessi, anche quando crediamo di guardare altro da noi. E-vento, le parole, fanno accadere le cose, accendono micce e poi si trasformano, in un vento tiepido, come quello dalle braci di un fuoco che si spegne. Proprio come accade a noi tutti, anche se non ne abbiamo mai sufficiente e precisa memoria, come ci ricorda Celan nella sua memorabile “Parla anche tu

Parla anche tu  (Sprich auch du)  

Parla anche tu
parla per ultimo,
dì cosa pensi.
Parla —
ma non dividere il sì dal no
Dà senso anche al tuo pensiero:
dagli ombra.

Dagli ombra che basti, tanta
quanta tu sai
attorno a te divisa fra
mezzanotte e mezzodì e mezzanotte.

Guardati intorno:
vedi come in giro si rivive —
Per la morte! Si rivive!
Dice il vero, chi parla di ombre.

Ma ora si stringe il luogo dove stai:
Adesso dove andrai, spogliato dell’ombre, dove?
Sali. A tasto innàlzati.
Più sottile divieni, quasi altro, più fine!
Più fine: un filo, lungo il quale
Vuole scendere, la stella:
per giù nuotare, giù, dove essa
si vede brillare: nel mareggiare
di errabonde parole.  

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E meraviglie, le parole, tutte, architetture che costruiscono ponti, archi, invisibili controventamenti alle raffiche impetuose delle assenze. Riescono a raggiungere luoghi che, diciamo, non esistono, riescono a dialogare fittamente con chi non è più, o nel presente è lontanissimo, o futuro. Ancora non sappiamo quali altri prodigi riescono a realizzare ma certamente è un ottimo segnale il fatto tangibile che la poesia continui a chiamarle, toccarle, INVENTARLE, dando loro tutto il fiato che serve per farle viaggiare in ogni dove sulla terra e nel cosmo.

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I poeti sono colpi di vento
che cancellano le parole con un respiro

Donato Di Poce

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Ti nacque dalla mano
soffiava forte
più forte fra i denti
dentro l’occhio tagliato
nella gola di pietra

tra i relitti soffiava più forte
soffiava fino a straziarsi

Tiziana Tius

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Lei non si vede più con lei.
Si alza dove il bastione di Passetto entra
nel muro esterno di Castello, alle cinque
arcate, nella differenza
di vento, così di suono,
i passi interni
impostano la voce per soffiare
(dunque non avere
voce) il vuoto
dove non vuole.

(Voce che dice di mancare)

Marco Giovenale [La casa esposta -Le Lettere, 2007]

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Schibboleth de Las Canteras lo Schibboleth
di Tübingen: febbraio del duemilaotto,
il tempo della mia mano, lo stigma
del verso è cancellato dal tempo
tuo –lesendes Aug-.
Hölderlin retrocedeva cent’anni
la data della sua scrittura, cento
corpi lontana da se stesso, lento
corpo del nome cancellato, vento
bianco sulla pagina e la pagina
sul vento, la pagina che non esiste
sul vento che non esiste, che è vento
perché non esiste.

Ianus Pravo

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Terzetto
 

…………………sai quando il vento…

Una terra bassa sotto un cielo basso.
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In mezzo c’è spazio per gli uccelli
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del mare, che circonda
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la terra che l’inonda.
 .
Arnold de Vos
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inatteso

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dopo lunga clausura

di nuovo il vento

leggermente

mi concede il suo perdono

Linda Mavian [da Città leggera, Marsilio ]

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Dormivo, stanotte, o forse no.
Ma pativo un forte vento, fuori, o dentro,
che si accaniva contro i battenti della mia casa, o contro di me.
E ho pianto, pianto, poiché mi sono sentita violentata
dai quei rumori,violata dal soffio continuo che vinceva
le mie fronde.
Ero sola, come sempre, un mare in  burrasca
un’onda derubata di uno scoglio su cui sfasciarsi,
ero un viandante senza meta, una strada senza fine,
ero   diventata      anch’io vento.
Dio, ora dimmi, ti prego,
come si trasforma il  vento?

Federica Sabbatini

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contro la voglia ferina di mitraglia
che strozza e le viscere attanaglia
siamo mani di festa e arcobaleni
ché la terra non abbia frontiera

ogni strada un’aperta voliera
di pace che la luce abbaglia
di pace che nessun dono uguaglia
di pace che la storia consiglia

……………………….(continua)

di pace che i contrasti assottiglia
di pace che gli strappi riammaglia
di pace che i popoli affamiglia
di pace che rinnova e germoglia

………………………..(continua)

di pace che ha la vita per figlia
di pace che gli animi risveglia
di pace che al perdono invoglia
di pace perché l’amore mai sbaglia

……………………….(continua)

di pace divina meraviglia
di pace ………

………………………..(si prega di continuare)
………………………..(nelle pause inserire il vento e il mare)

Angela Chermaddi

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sai quando il vento
era una mela
che cavalcavi tra nuvole
e ti reggevi alle trecce
come allacciassi cinture
turbine d’ali e di riso
sfogliava sulle guance il futuro

poi cresciuto male e maligno
sbattendo le porte
ti scoperchia e sfonda
si salva solo sepolto
il giovane amore

al tramonto s’infila
nella tua carne tarlata
e ti suona

era il cammino
diventare musica

Angela Chermaddi


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Sai quando il vento
filtra per le persiane un po’ accostate,
smuove sul tavolo la figurina
di Charlot che ritagliai per un album
di sciarade e rebus bislacchi:
lo riconosco: è mistral di Provenza
è voce di poeta amatissimo
e la poesiamaquis
s’incendia sulla pagina
è sciara del fuoco
(i partigiani non sono mai andati
via dai villaggi ancora assediati)
e sai, questo vento di marzo inoltrato
ha piumaggio di miriadi d’occhi,
addolorato scorre la Valsusa
raggiunge il Seveso avvelenato
s’allarga sui dilatati capannomostri del Settentrione
sai, piega sulle discariche venefiche illegali del Meridione
pietoso accarezza gli sterrati dei baraccati –
sai, questo ventomistral ha una sciarpa
d’olivi da lasciare a medicare
la terra offesa e parole di pioggia
che bagna e feconda, chiama la gente
a una danza di speranza e rivincita –

poi riaccoglie il vivace charleston
delle pagine d’album
il vento della poesia, lo libera
ancora in altre direzioni del cielo
ancora e ancora.

Antonio Devicienti

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Per lo più comparse

siamo comparse, alberi in movimento
pioggia che sporca i panni
…………………………………………-se c’è il sole

noi che ci raccontiamo l’amore al telefono
e ci aspettiamo dietro finestre agghindate
impariamo le strade solo per i varchi del vento

come quando butti blocchi di parole
per cambiare la visuale o – cerchi palloni
in una galleria abbandonata

noi
mosaici di carte nel gioco solitario
dove l’abitudine sconforta i cicli sereni
prima ancora di raggelarti la fronte

Francesca Coppola

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……………………..Oppure un

sarà come lavarmi il viso
sorprendere di fresco gli occhi chiusi
e sbatterli di nuovo (e ancora) menta fino al verde

una goccia – estrema – capace di curvare l’angolo
che anche il fuso Rosaspina, inciso il polso
piange sonni e sangue immacolato, le voglie di paglia
la sete inappagata, hanno muso di sterpo e teche
a sorreggere le gambe, la corsa fuori
nuda
oltre la tenda, ha voce di sabbia

“non avrei saputo dire il nome come simbolo d’amore”
un suono affastellato sulla lingua o rumore vicino l’ombelico
un pensiero di vento, oppure un vento che recita il tuo nome
all’improvviso, come vita in origàmi (o voli) sulla tua carne bruna

Doris Emilia Bragagnini

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Half light

Forse perché il vento d’inverno
da molte solitudini il fianco sospinge
con unghie di ghiaccio conficcate nella carne
-tenera, che ormai l’ora si fa tarda –
soffiando da Nord, da Sud, da Oriente e da Occidente
tra gli spiragli di una tenebra inquieta

O forse perché inverno ci raggiunge sempre da lontano,
come una perla che rotola piano lungo un pendio nervoso di sorrisi tirati
senza perdere il suo uncino, cadendo soavemente
sulle ferite aperte, sull’anima sanguigna
che asciuga l’acqua al sale e non pretende quiete

Forse per questo nostro andare senza tregua
con i piedi feriti, da molti venti accompagnati
verso un altrove che non è, che non sappiamo
per poi girarci indietro e scorgerne la resa
che sempre è stata a un passo dalla schiena
come un vestito stretto in vita, corto al braccio.

Forse è così che l’ombra arranca a un metro
e noi costanti a trascinarla come un giogo
come un dolore innato sulle spalle arcuate
e nelle borse sotto gli occhi come un trucco
che non sveliamo mai, fino alla fine…

implorando in segreto la spina
e indossando la maschera bella.

Daniela Cattani Rusich

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Soffia il moto perenne

Che sia scirocco gelido
o tramontana ardente,
soffia il moto perenne.

Ritmo mansueto e blando
o sferzata insolente
di rabbia e di vergogna

serpeggia, scherma, gonfia,
alla tronfia bonaccia
mette in fuga la spocchia.

Scrocchia le dita, ignaro,
picchiatore acquiescente;
non sente, lui, nell’aria

pesta di sangue, non fiuta
pietà, sostegno, cura,
allerta, resistenza.

Anna Maria Curci

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DIMENTICARE

Il mondo non turbinava più nei tuoi polmoni, ma, in qualche modo, tu eri nel mondo

anche se all’alba di questo fine settimana non alzavi la corteccia, come le grandi querce lungo la recinzione, con le foglie color cuoio nel cielo di camelie rosse

e non ti inginocchiavi per gli spicchi d’aglio e l’erba nei vialetti, non spingevi i  limoni fuori dalla serra.

L’aria stava intorno alle cose e dentro le fessure s’era depositata zavorra, sottile sabbia d’ossa frantumate

nei pensieri c’era vento che ripuliva e faceva vuoti e paura di dimenticare.

Anna Bergna

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Sai quando il vento
entra e scricchiola tra le imposte socchiuse
e ci voltiamo per conoscere le ultime notizie
o ci alziamo per assaporare gli odori del mondo.

Sai quando il vento
ci chiama dentro e non raccapezziamo
che senso ha morire un poco ogni giorno
senza sapere delle violenze al mondo di fuori.

Sai quando il vento
sibila stanco di non farsi capire
e alza la voce fino a lasciare lamenti
tra frammenti di case ed occhi di pianto.

Sai quando il vento
mi porta per mano alla torre del faro
lasciandomi solo di fronte al mare
ad avvistare nuove vele in arrivo.

Lorenzo Poggi

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Mia voce- mia terra

A memoria stringo le dita
sporche d’inchiostro
e le porgo alle profumate
per colorarmi la vita
i piedi calzati in scarpe
troppo strette
le gambe corte per il passo
che volevo per andare

a memoria un accendino
dismesso carte nei cassetti
le calze velate un invetriata
d’alabastro sul cuore
a preservarlo dall’artificio
della troppa luce che spiove

animale a sangue caldo
felice in cucce di stanchezze
in nanne buone e corrosa
da una ruggine impotente
che serra l’indignazione
incernierata dentro un golfino

e nel silenzio che rode
all’incrocio dei mali incontrarti
salvezza di lemmi ri-creati
cieli spalancati mani inermi
incontri di res totius
su fragile argilla –mia voce
mia vita- mia terra.

Narda Fattori

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Campi,
campi radicati d’ulivi,
brevi tracce di viti seccatesi con la stagione,
immagino oltre la collina un verde che mi sia
auspicio ed epifania
a un respiro diventato ghiaccio
nel non sopportare, mai, il disastro
degli uomini e della Natura madre.
Si ribella, si annuncia, articolando
boccioli di prima rosa,
velo d’erba, distesa in omaggio
a un cielo avvelenato di finto tessuto scozzese.
qui, nell’isola prediletta
ché altre non ne conosco.
Si presenta silenziosa, carezza dopo la notte,
di brina si fa manto, nutrendo terra violata.
Afferma se stessa, Natura madre,
oltre ogni possibile nostro inganno.

Antonia Piredda

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Fu l’esatto momento e non si conobbe più.
Quando il vento arrivò addosso
alle spalle scoprendone ossa e cenere
disperdendo in aria urti cicale
e lividi nascosti agli occhi altrui.
Ne fece un turbine, il vento,
dello sfacelo del Tempo.
Ne fece nodo senza più attese,
strappando via lontano
verso un treno, un’isola, un’aurora
esatto nel momento
e nel momento libero
d’andare, sollievo ritrovato.

Antonia Piredda

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Voglio ubriacarmi… per non pensare,
piangere e ridere voglio stasera,
con grande rabbia io devo cantare,
alla luna devo gridare: mio marito se ne va!

Svegliatevi, donne, svegliatevi!
Venite a piangere con me!
Siamo rimaste sole, la festa di San Brizio è passata
e gli uomini se ne vanno uno ad uno!

Gli uomini se ne vanno, stanno partendo!
Se andrà bene li rivedremo fra un anno!
è questa la vita nostra? Questa è vita, mio Dio?
Vanno in Germania piangendo con dolore!

Povera me, poveri quei bambini!
Vedono il loro papà una volta all’anno:
– Perché piangi papà? E’ San Brizio!
Senti la banda, senti che bel suono!

– Sento la banda e sento questa musica,
sto qui con voi ma penso al treno,
penso al buio di quella miniera,
la dove la gente muore al lavoro!

– Papà, perché devi andare? Dimmi, perché?
– Perché questa è la vita, poveri ragazzi:
il poverello lavora e suda
per ingrassare i padroni con il suo lavoro!

– Poveri noi, venite qui bambini,
venite, inginocchiamoci a terra;
il papà è andato via e noi preghiamo
che arrivi un po’ di luce anche per noi!

Franco Corlianò

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Improvviso

Vento che penetri la carne
e scalzi furibondo le ossa:
radici avvizzite, bianche
crudelmente esangui denudi
dimenticando la pietà
l’angusto spazio d’un attimo regalato
forse rubato. Vento amico.

Pino Chisari

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………………………………………….La prima voce un alito

– Bravo, smetti in tempo di scherzare, perchè al mondo
non si frigna, si produce. Bravo, smetti di molestare
le tue forze, guardale, ti chiedono semplicemente riposo,
una sera.  
………………………………………… poi uno sbuffo di vento

– Sono barbaro e spingo il mio corpo oltre i piani
di tutte le impalcature. E’ la noia a proiettarmi contro tutto.
Ascolto martiri agghiacciati nelle gabbie.

……………………..e mi sembrò che il cielo si spaccasse

– La pazienza di una belva mostrò le fiamme dal suo petto.
Miserie di balordi uscirono fuori dal tramonto che già
si profilava – è un ciclo, è un ciclo – qualcuno esclamò.

……………………c’erano nuvole che correvano nel nero

Forse scalfito dalla storia rieccomi visigoto trastullare
dello spazio cerebrale la corteccia; e luci di muse
appassite danno un fremito di airone.
E’ passato anche per te il delirio ed arriva marmorea
la ragione a confinare i tuoi segreti.

……………………E tempesta quel vento suonava alla memoria

Era la fretta e la furia del primo capello bianco. Era già segnato
l’errore, l’entusiasmo e l’inverno infame
brullo un calendario dato alle fiamme.

Ugo Berardi

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sai quando il vento d’abisso
rade il superfluo dei colmi
e alle spalle rilascia gli ulivi
i rami curvi delle ripartenze
sul promontorio, imponente
dove ti ricordo
fuori di casa e dei denti
impassibile agli spruzzi
e alla brezza avida negli occhi

tu sapevi del vento, sempre
e lo chiamavi per nome
il grecale che frusciava  come serpe tra le canne
taglienti  e lo stravento
a rompere la furia
e spalle al muro il riparo, la quiete

anche questo che già sapevi passa
e come il tempo imprime
qualcosa di definitivo
che chiamo, indolente, stanchezza
ed è forse lo stelo perso nelle fughe
la vita che smette le corti, mute di risa e fiati
i fili allentati, i fiori malati e le prede, arrese
gli occhi senza altre domande
e le risposte che tardano
il nulla e il suo richiamo
oggi che mi pesa ogni invito a non smettere, ad armarmi
e parlare
come di cose ancora importanti e irrisolte,
oggi che più non posso

ti valga la terra
ora che il vento penetra nell’erba
e ti lambisce disperato
il tempo del non ritorno
e quasi all’infinito mi declina
il verso che fa il vento
quando passa tra gli spini.

Cataldo Amoruso

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EOLICA

Sono rimaste le intelaiature
corpi estranei coperti dalla sabbia
erano figli della terra uomini
inginocchiati neri
tuniche e caffettani
raccomandati a un dimezzato dio
scritto di sangue

un deltaplano ha urlato
nel precipizio dei colori offesi
datemi un arc-en-ciel l’uomo si muove
senza sapere il soffio d’uno zefiro
è nel maelstrom di tutti i giorni che
vortica nei reparti
s’aggrappa agli scaffali del mercato
su carta prepagata
muore alle casse

sulle rive carcasse di destini
sputati dopo il pasto nudi
che li ha spogliati il morso dei titani

era di brezza che s’ingentiliva
il sognare dei santi e degli ignavi
nessuno più conoscerà di fronde
il mormorio
le ninnenanne delle madri dove
solo forme di gesso
che a spazzarle via neppure un salmo
invece l’onda
e il vento.

Cristina Bove

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Disincanto

Se col naso all’insù potessi toccare il cielo
saprei magari a che santi votarmi
quando fuori il tramonto fiammeggia
e le ombre s’allungano sulla mia faccia
Prendo il sole a giorni alterni
uniforme abbronzatura non tradisce
pelle a scacchi e la luce si frantuma
fra la duna e la barriera cristallina
In cielo in terra e in ogni luogo
acre è l’odore dei roghi che il vento
porta da lontano così come il frastuono
che accompagna i lampi di guerra
Giro giro tondo casca il mondo
da quando è al mondo nasce muore
e ricomincia ogni volta senza una svolta
barlume di ragione e sentimento
Svicola il pianto negli anfratti di nessuno
di qua il sereno di là meglio ignorare
farsene una ragione è solo questione
di dadi tratti senza contratti né firme
poste in calce a un documento
immaginario scritto indecifrabile
di indifferenti stelle distanti

Silvana Varotti

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Lo specchio

Sa essere vento la tua voce,
spazza le steppe fredde dell’anima
e rimbomba nelle mie caverne.
Bora che strappa le nuvole
di dosso alla luna gelata.

Sa essere esile di desiderio,
tremula d’orlo di cristallo,
moria di petali nel ruscello.
Peluria di pesca, zefiro puerile
che fa stormire i miei giacinti.

Ma nessuno vede il tuo spirito
nobile, di diamante adombrato
che voglia a tutti i costi brillare.

Potessi essere io lo specchio
dove poggi la fronte adorata
e renderti uno sguardo meno severo!

Paola Puzzo Sagrado

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Il vento

Sono dell’aria le molecole contorno
impalpabile alla sfera sospesa
per tondo contrappeso   un azzurro
rarefatto all’occhio si perde  e consuma
pure effusioni di nuvole sparse
fluttuanti tra giochi arcani del vento.
Lo sfrecciare d’una rondine batte
l’ala    non gratta quel fare rumoroso
quotidiano affanno    non cede al basso
non sa dove posare l’orecchio
nell’andare altrove note musicali
già dissolvono in trasparenza
in trasmissione di luce nel vento
quel remoto vibrare all’origine
allo stremo del suono e del silenzio
così siamo cuore infiammato del mondo
sforzo dichiarato alla lotta   e frutto
nel farsi dentro  la forza indomabile
illimitata libertà
del vento.

Fabia Ghenzovich

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PEOCI[1]

E fussimo boni anca noialtri de far
come fa el paguro che se strassina
drìo un buso de capa
dove ’l se sèra un toco
ransignà e coverto ne la so armadura,
e po’ la mola e ’l se ne ciapa
n’altra più granda, più forte, più bela,
scarsela sicura da le bestie del mar.

Noialtri no, noialtri no semo boni
de molàr cussì quel buso che gavemo
suà ’na vita intiera a tiràr su, ché massa
ben ghe volemo, s-ciavi de ’na fedeltà
da mone a ’sto toco de piera
che se desfarà,
a quatro strasse de carte
che po’ marsirà.

Femo come i peoci noialtri, i peoci
insensài, tacài duri a ’na piera
sbusada da ani de sciafi del mar
che la rosega pian
a spetàr la man che da ’sta crosta
cussì martoriada, senza dir gnente,
la ne cavarà.

Francesco Sassetto

[1] COZZE (dialetto veneziano). Traduzione letterale: “E fossimo capaci anche noi di fare/come fa il paguro che si trascina/dietro un buco di conchiglia  /dove si chiude un pezzo/racchiuso e coperto nella sua armatura/e poi la lascia e se ne prende/un’altra più grande, più forte, più bella/tasca sicura dalle bestie del mare./Noi no, noi non siamo capaci/di lasciare così quel buco che abbiamo/sudato una vita intera a tirar su, chè troppo/bene gli vogliamo, schiavi di una fedeltà/da sciocchi a questo pezzo di pietra/che si disferà/ a quattro stracci di carte/che poi marciranno./Facciamo come le cozze noi, le cozze/insensate, attaccati saldi a una pietra/bucata da anni di schiaffi del mare/che la consuma piano/ad spettare la mano che da questa crosta/ così martoriata, senza dire niente/ci toglierà.”

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L’ho visto.

Dio stava seduto a tavola e giocava
col suo unico occhio di vetro
in qualsiasi punto lo lanciasse e poi lo riprendesse
fissava tutto il tempo e tutto lo spazio
nel momento in cui il pulviscolo del legno
è tutto ciò che è
nel suo preciso involucro di foro
di un tarlo che anche dio alleva da molto.
Non è poco è addirittura un niente quell’uomo a sua immagine
e somiglianza di specchio
ma dio lo sa come vanno queste cose. Il niente s’ingigantisce
e da cosa nasce cosa e si finisce  che non resta più tempo al tempo
per farsi spazio in qualcosa d’altro e resta
assiso in  trono senza regnanti che ne precisino il passo.
Tutti scrivono nella bocca di dio parole che non sono le sue
gli colorano la mente con inutili pensieri che mai
mai davvero mai lui penserebbe.
Dio lo sa e se ne sta in silenzio
come potrebbero fare solo i morti
galleggia nel cosmo senza casa né spazio e non ha
parole   da lasciare in testamento
poiché tutto è
sospeso nel vetro
tutto è sempre
nel sempre del suo occhio.
Di tanto in tanto
glielo porta il vento che poi è uno dei suoi respiri
mangia un seme di senape e
sente il sapore di ciò che è buono
fa il collaudo per provvedere meglio
a quegli inumani sensi che gli uomini di questo remoto mondo
chiamano a volte amore verso l’immenso ma hanno scordato di accordare
e hanno rinchiuso come polizza in una banca
e nell’aria tra lui e loro si fa strada un respiro claustrofobico che è esercizio di poteri
che relegano lo spazio nel libro inesauribile del tempo e
capita, capita che si perdano
come già è successo nella storia di ogni tempo

Fernanda Ferraresso

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Stavamo in manicomio    sai
stretti come un mazzo di cicoria
quando il vento passava nelle nostre stanze
ci disordinava i pensieri come
come fossimo radici   strappate dai campi e poi     le nuvole
la pioggia     i lampi     ci cadevano dentro   sai
direttamente tra cuore e cervello
e ci pisciavamo addosso
per quelle scariche elettriche
che facevano di noi bestie al macello
anche noi imbrattati   di tutto il nostro matto sangue
e quello degli altri dietro i camici bianchi
protetti dall’abbaglio delle loro vite
al netto    di paura e miseria
dèi    che misuravano la nostra parola
pronunciata sempre in silenzio nel sipario di un legaccio
conficcata nell’ago  chiusa nel polpaccio che ci teneva gli uni
di qua gli altri oltre   il tormento d’essere uomini senza umanità.
Sai   stavamo dietro sbarre di ferro e alti cancelli
cancellati da tutte le lavagne del mondo
quando il vento ci scriveva in fronte l’estate    i sospiri dei passeri
erano i nostri fiati   corti   rivolti dentro noi stessi
e l’inverno era la sabbia e lo smeriglio della neve
ci cadeva sui pensieri   sul corpo ormai di carta
pesta sai  da troppi buchi neri.
Anche il vento   sì anche il vento
spesso  non apriva le nostre porte e noi stavamo tutti insieme   dentro il pozzo
calati l’uno nell’altro dentro l’urlo dello stesso silenzio.
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Fernanda Ferraresso



.Sempre in manicomio
vengono disperse le intuizioni
girano sulla cresta del vento
e poi quando ricade tutte le cose  si disperdono
e gli spazi sconfinati dei poeti
diluiti da farmaci assassini
e gettati contro un muro
come un cartoccio unto.
In manicomio si piegano le menti
dei poeti esploratori
cui la vita è stretta
come un abito altrui.
Quando la verità si stende contro il giorno
abbacinante,
il pensiero scalpita felice
come un puledro in libertà
e più non retrocede negli schemi
della normalità.

Gabriella Bianchi – [A Dino Campana ,  Alda Merini e tutti gli altri ]

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SOGNANDO RISVEGLIARSI

Di dimora in dimora io vado
Sempre ai margini del Castello
Dove delittuose presenze mi contrastano
Mi ostacolano perchè non reco in me
Alcun segno di riconoscimento

Mi osteggiano oscuri emissari del Nulla
Mentre attendo con ansia la chiamata
Sulla soglia consunta di quella porta chiusa
Dai cardini arrugginiti
Dagli antichi catenacci

Sentinelle presidiano le mura
Cani e sciacalli famelici
Mi straziano l’anima
Mentre nell’obbrobrio della notte
Cammino tra i miasmi del fossato

Ostacolatori tirannici mi tormentano
Pretendono che esibisca le mie carte
Ma lasciapassare visto e passaporto
Non valgono per entrare
Dentro quelle mura

Giorni e notti trascorrono
In un’unica monotona sequenza
Per quanto io desideri risposta
La mia attesa continua intollerabile

Nessun messaggero mi parla
Solo una voce confusa al telefono
Mi avverte che devo ancora attendere
In quanto non è giunto alcun permesso

Ma Dio è un Soffio di Vento
Leggero e impercettibile
Che va e viene
Sull’ampia spianata
Silenziosa e vuota.

 Lucia Guidorizzi [da Quadrilunio,Editoria Universitaria 2009]

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LOGOS

Quando dalle porte scardinate
Penetra il Soffio
La Parola attraversa
Ogni linguaggio
E si fa fiamma
Che arde
Consapevolezza
Che illumina
Perfino chi
Non c’era.

Come antichi viandanti lusitani
Avvolti nei mantelli
I piedi nella polvere
Sulla via di Emmaus

La nostalgica Assenza
Colloquiava
(suo malgrado)
Con la Presenza
Che non si palesava.

Lucia Guidorizzi  [da Confini, Editoria Universitaria, Venezia 2005]

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Sai quando il vento

senza corpo nè veli
tra volute e radici
ha sete di bacche frantumate
e soffocate lune
come acqua  scorre
nè sentieri echi o steli
potranno fermarlo
diluvia contemporaneo a noi
e ai peccati del mondo
folgora rumori
sui fregi intarsiati del cancello
su corolle di brina
nel tempio dello spazio

sai quando il vento
rode  e silenzia
il cielo delle parole
tensione  di nascita e mai fine
vertigini di senso in agonia
trame su pelli mai accolte
e questo dolore
di suoni alle caviglie
sperimenta ogni giorno ogni momento

sai quando il vento
obliquo celestiale su visioni
imbriglia la mia sete
di ombra e  rugiada
dilata sterili silenzi
ferite riaperte su orlo di abisso
lontana mi riascolto come nebbia
in una landa deserta
a carponi riannodo fili
infiorescenze messe a nudo
in esili risvegli
tutto un vocio
che sveste le parole come labile brusio
di destini infilzati
dentro l’arca che solcherà
i flutti delle nostre fiumare
sa quando il vento
impasto di fango e terra
decifra di noi un solo istante
e quella soglia al varco di respiro
caparbiamente  ci plasma la vita

Maria Allo

.

.

NON HO FRETTA

non ho fretta
stamane

annoto il mio tempo
e mi scaldo da sola
in una vecchia vestaglia
di flanella

e non sento più
le tue parole

aspetto

un’occasione di vento
un turbinio incessante
bussare alla porta
dell’unica casa

abitata

dalle tue cose

lasciate

in disordine

sospese
nel tempo
che verrà

a ricordare

le grida

bambine  innocenti e gioiose
in un futuro imprescindibile
dal destino   arco di luce sospeso
nella volta di un cielo
di un azzurro
inquietante.

Cettina Lascia  Cirinnà

.

.

RITORNI

Sai, quando il vento attraversa queste sbarre
è suono di lira per l’orecchio di Dio:
questo amplesso di fiati
spegne i silenzi indifferenti
tanti e dei passanti ingrati
su questi righi bianchi ancora da accendere
con mani di sabbia, cieli infiniti
bocche amanti e mare
per poi tornare alla personale Itaca
sulla nota rotta
tra le braccia del rinascente giorno
intento a tessere ore d’attesa
ricamando sogni con fili di risulta.

Angela Greco


.

Calibrate le gole impervie del sole
ridiscende una corsa
d’alito socchiusa.
Dipende dal tratto più mite
Dal cono d’edera rinverdito
Nell’immacolata scia di brezza
che scende
sulle manifeste linee dell’aria mossa
Venti sapienti s’accollano
come reti su pesci
Dilagano correnti impetuose
impedite da spazi chiusi fra dossi
Poiché nulla limita l’andare
s’accorcia la cresta d’un soffio
a vedere un’onda
intangibile spaccare il vuoto
Perdurato ai distinti suoni d’oblio
remando corre e si rivolta
Spazza le ore nei cortili
e nelle case aperte
collegandone arruffo e spergiuro
Non c’è che ritorno e suono nel vento
appollaiato ai rovi
Neanche un vacillare d’ombra fra i tetti
Ché si spazza il cielo in un sol colpo
di blu ai cardini delle nubi
Si spazia di bello l’aria e il cuore
Sobbalza nei lumi d’ascolto
Tedio riparte dal crocchio di foglie
E s’alza
nel volo di quando imperversa
Il vento
D’a(s)solo.

Federica Galetto

.

.

La rosa si diverte
quando è con te in buonumore

Dolce è l’andante
del tuo lieve musicare

La rosa pone mente
ad essere scherzosa
e muove il boccio
e colorisce la guancia
al gioco simulato di rincorsa

Sai essere tenero
alle sere vento

La rosa allora ride
dispiegata sul tramonto

Maria Laura della Rosa Antonellini

.

.

L’ESILIO DEL VENTO

Ogni paura è vicina
nei denti, non basta alla notte
si stringe, si cola, s’oscura
di sabbia  – pastura – d’incerto
permane una stilla, un piccolo buio
si sposa ai tuoi fianchi
guerreggia, s’incunea.

In pietatis, era vita e nei fischi
fra i denti eran lupi,
rondelle imballaggi, li senti?
ti passano sopra e sono folate.
Ti vanno a sottrarre, a coprire
son cupi, i giorni passati
e tu sei smarrita.

(è quindi penombra
un fior di passione così ultravioletto
quest’alba lontana, città passiflora
non è obbligatorio per sanarti il libeccio)

Lo senti? ti passa attraverso
fessure dagli occhi
da sola, percuoti il segreto,
la fame è rancore di soli incorporei
figure di ombre, figlioli fatati
sei fievole, scarsa, di mala cagione
un bastone da cieca lasciato nel letto
è questo il tempo di chiudere il vento.

Meth Sambiase

.

.

Sai, quando il vento soffia da oriente
percettibile si sente il grido delle madri
siriane violate e ammazzate coi loro
figli al seno, loro pure agnelli immacolati
sgozzati come a Pasqua, intrisi di sangue
innocente, stupito di fuoriuscire già
dai quei corpi teneri, da poco sgusciati
dal grembo, ancora quasi ignari del sole
delle stelle, di un cielo nero con la luna appesa.

Sai, quando il vento soffia dal profondo sud
non arriva soltanto l’odore di savana
dei branchi di gazzelle in corsa
inseguite da leoni furiosi per la fame
né quello ispido, pungente dei cammelli
in carovana tra le dune dorate del deserto;
pare più forte, invece, l’afrore di paura
e di crudeltà smarrita dei bambini-soldato
col fucile in mano e le tenebre in cuore.

Dal Mediterraneo, sai, quando soffia  il vento
non è solo la salsedine che porta
né i rauchi gridi dei gabbiani inquieti:
arriva invece il lamento dei naufraghi
alla deriva consumati dalla sete
dalla fame dalla luce implacabile del giorno
dal freddo della notte e dell’indifferenza;
e i sospiri, che si mescolano alle onde,
leggeri come le piume perse degli uccelli
di tanti poveri angeli, ieri pellegrini
che ora abitano muti lo scuro dei fondali.

Maria Gisella Catuogno

.

.

SPAZIO E TEMPO PER UN HAIKU IMPERFETTO

Questa notte
ascolto il vento
che alfabetizza le foglie,
come il fruscio delle falene
che si dissetano
ad un punto di luce.

La traiettoria dei ricordi
scoperchia gli abissi.

Silenzio sottile
per una penna che mette radici.

Alberto Barina

.

.
.
Distrazione.
.
Sul balcone
affacciata all’orlo della mia vita
bevo un caffè.
Poi arrivi tu,
aggrappato ad un ricciolo di vento
disegni la linea che congiunge
il pensiero alle labbra.
Sono sazia.
.
Veruska Vertuani

.

.

NINNA NANNA DEL VENTO

Lo senti il vento amore mio?
Soffia stanotte, senti come soffia?
S’intrufola in ogni pertugio, s’insinua tra i muri
scompiglia le fronde d’un chiacchiericcio di fate
e’ tutto un cantare la sera, la senti?
Ruba una foglia, la alza, lei ride, la gira, la posa
poi la riprende e poi tace, d’un tratto lei vola
e lontano scompare, forse va al mare.
Lo senti il vento stanotte, soffia, soffia, lo senti?
Sfoglia un giornale sulla panchina del parco
pagine allegre a giocare senz’ordine alcuno
sembra una mano senz’uomo a girarle
ma non c’è nessuno, e il vento che soffia, soffia, lo senti?
Soffia il vento stanotte sui panni stesi
li vuole strappare dal filo con solletico ardito, lo vedi?
Ti entra nel cuore, scompiglia i pensieri
le nuvole spazza con fare indisposto
e il cielo è sereno di stelle che non si muovono al vento
e sono le sole a guardare senza seguire la voce di chi narra fiabe
alle tende gonfiate, di vele e aquiloni dai mille colori
e d’improvviso ti è entrato nel cuore.
Lo senti il vento amore? Canta la ninna nanna
di luoghi lontani nel tempo, tu dormi amore, non aver paura.
Ci sono io con te, c’è il vento e due occhi di luna.
Dormi, amore, dormi.

Annamaria Giannini

.

 

.

La casa nel vento

Mi sono ritirata
in cima all’albero,
vecchia scimmia bizzarra.

Ho portato sui rami,
e le ho appese,
le bambole, le stoffe,
foto, libri,
che dondolano
alla brezza leggera
della mia valle.

Ho preparato
la mia casa nel vento

Vivo con il verde e l’azzurro
il cielo e la poiana
il sole e i gatti
con la  luna d’argento
e le tele dei ragni
ed i  fogli e le penne.

Vivo nel vento
dove la vita  fa mulinelli
e spande profumi, risa
e canti colorati.

Vittoria Ravagli

.

.

POESIE NEL VENTO

Melodia di parole
Avvinte a un pentagramma
Come gocce di note
d’ebano steli  di frasi profumate
Corolle di versi
e poemi
In un prato di pensieri
i sogni danzanti
Uno spartito abbandonato
Stropicciato dal vento
Accarezzato dal tempo
Un  vuoto immenso i silenzi
attorno
e melanconico assopimento
cedere  ai sensi.
.
Beatrice Impronta
.

 

.

Ha masticato il vento, oggi,

la perfezione del vento

una lisca invisibile che punge,
all’ora stesa allungata
sulla cresta pallida dei pioppi,
all’improvviso una lacrima, giù inghiotte

la perfezione del vento

dopotutto nelle mani non resta
niente della notte dei giorni
degli amori dei nomi propri detti -una litania
infinita- infinite volte al vento

la perfezione del vento

un solletico tenerissimo di voci
che gonfia i polmoni ed esplode una risata
ad un passo (incerto) del tramonto,
un sussurro di nuvole che – a se stesso-
racconta la filastrocca degli occhi
tesi ai quattro angoli del mondo

la perfezione del vento

soffia via ogni dubbio lievita dolce
il vento la leggerezza di un addio
[ché ad ogni orgasmo di luce
segue il pulviscolo denso del buio
e ancora luce e buio e]
un brivido netto alle spalle,

la perfezione del vento

un colpo di gelo, è il vuoto, che sazia.

Silvia Rosa

.
.
.
luna quindicesima quinta o penultima seconda
.
contraddittorj dóppj ‘l paradigma
l’archètipo ‘n giudizj o sospensióni
da: l’un’e gl’elj e ‘ tropi  –  qual demonj
figuri? proprj o ‘mproprj  ‘ sénni  ‘nstigm’
l’orígine la meta  –  for’e déntro,
e sí, ne do che, scèptiqua, discetti
la parte ‘l tutt’o ‘l nulla: chi n’aspetti?
di sé ‘l dissest’o  min’a mina ‘l centro,
l’esplosimploso? numinvoltumani,
d’i venti mén di méno, cóm’a ‘l peggio,
o piú di piú d’i fuochi ‘l rїechéggio
al meglio, nubi di connubj pósti
oppósti ‘n controluce  –  cosa n’osti
il pass’o ‘ passi: ‘l nóme d’i ch’emani?
.
Giovanni Campi
.

.

Nel vento

Questa stanza abitata
dal coro del vento ha veste di foglie.
I nostri corpi avvolti
da morbide luci
nell’assenza del tempo.
Siamo anime
con leggeri respiri
a ingigantire
le deserte notti.
Le mani sulle mani
i volti in ascolto
nude presenze
a cercare amore
con risposte di vento.

Marisa Tumicelli Carlini

.

Maria Korporal-video

.

Sussurri  di vento

passi           verso
emozioni  bambine
di carezze nuove
in sussurri di vento

testo di Mariacristina Ferrari- video di Maria Korporal

.

*

Janet Planson- conversation

.

21 marzo 2012 GIORNATA MONDIALE DELLA POESIA 

 AUTORI  INTERVENUTI ALL’INCONTRO

 

Maria Allo

Cataldo Amoruso

Alberto Barina

Ugo Berardi

Anna Bergna

Gabriella Bianchi

Cristina Bove

Doris Emilia Bragagnini

Giovanni Campi

Daniela Cattani Rusich

Maria Gisella Catuogno

Angela Chermaddi

Pino Chisari

Francesca Coppola

Franco Corlianò

Anna Maria Curci

Maria Laura della Rosa Antonellini

Antonio Devicienti

Arnold de Vos

Donato Di Poce

Narda Fattori

Mariacristina Ferrari

Fernanda Ferraresso

Federica Galetto

Fabia Ghenzovich

Annamaria Giannini

Marco Giovenale

Angela Greco

Lucia Guidorizzi

Beatrice Impronta

Maria Korporal

Cettina Lascia Cirinnà

Linda Mavian

Antonia Piredda

Lorenzo Poggi

Ianus Pravo

Paola Puzzo Sagrado

Vittoria Ravagli

Silvia Rosa

Federica Sabbatini

Meth Sambiase

Francesco Sassetto

Tiziana Tius

Marisa Tumicelli Carlini

Silvana Varotti

Veruska Vertuani

*

NOTA : Tutte le immagini del post sono opere dell’artista Jane Planson.

lievi

noi gravi

nel cielo galleggiamo

in un convegno di galassie

e un vento invisibile ci sospinge

una sola nave nell’ acqua del buio e nel cosmo

come terra che naviga ci ospita

e unica per tutti trascrive la rotta

38 Comments

  1. e forse si, la cosa che assomiglia meglio alla poesia è il vento con il suo arrivo imprevisto, il suo scompigliare le cose e la sua presenza invisibile.
    Un bellissimo lavoro, davvero tutti quanti bravissimi.
    Pregevole iniziativa raccolta in una superba veste grafica. Grazie Ferni.

  2. quando i venti di versi s’incontrano. grazie a tutte e tutti, grazie ferni di quest’altro tuo in-canto.
    a ‘nde facher ateros e medas, paris
    (insieme, l’augurio di farne altri -incontri in volo – e tanti)

    api

    1. grazie api, magari anche con i diversi dialetti sarebbe davvero un incontro bellissimo. Ci penso appena ho un attimo di pace. f.

  3. Bellissima e commovente sorpresa trovare qui i versi di Franco Corlianò ed il video con i volti della gente di un Salento antichissimo (e straziato) e moderno, che cerca il proprio riscatto anche nella poesiamusica.
    Grazie. Grazie. Grazie.

  4. Cari amici, forse io con la mia poesia “Peoci” non ho rispettato strettamente il tema proposto e tuttavia il vento, in senso largo e poco “primaverile”, fa molt cose , tra l’altro, sgretola, corrode, consuma, ma il “peocio resta comunque ancorato, abbarbicato alla sua roccia, al suo posto. Credo fortemente in questa fedeltà, questo attaccamento alle cose che ci appartengono, che sono nostra vita, nostro sangue, difficili e dolorose ma ben più vere e forti dei facili adeguamenti (e di comodo) a mode e comportamenti senza radici e spessore, che mostrano, a mio avviso, il grande smarrimento in cui oggi viviamo, una disponibilità ad andare con qualunque vento. E la storia ci insegna dove questi venti hanno spesso portato. Preferisco star saldo alla mia “vecchia” roccia. Grazie e un abbraccio a tutti!

  5. Dopo anni di interruzione,riprendo a far girare i miei versi.La mia ricerca spa-
    zia dall’epigrammatico,all’ermetico,alla poesia in prosa.Leggo e scivo tutti i giorni,ad orari fissi,mi ispira certamente la cosiddetta neoavanguardia.Vivo dalla mia adolescenza cercando un perchè dell’esistere,un perchè che si sviluppa nella ricerca poetica.Giacchè il nostro compito,detto con Severino,è creare poesia affinchè ci si possa affrancare dal nulla.Manterrò un contatto con voi con molto piacere.

  6. un lavoro ben fatto l’incontro tra i venti
    ringrazio Fernanda il suo crederci e la voglia di condividere sempre
    e poi ringrazio tutti gli autori che hanno scavato nel loro tempo i messaggi del soffio e sono accorsi per farsi portavoce e racconto
    un saluto a tutti

    elina

  7. la memoria è un vento poderoso, e brucia o soffoca, dipende.Ho in mente cose tremende che quel vento ha prodotto e ancora oggi, sotterraneo ordisce. Ho anche in mente il detto del bambù che al vento si flette senza spezzarsi e ho ancora in me la compiuta ormai certezza che noi lo siamo, quel vento di elettroni prodigiosi, neutroni e neutrini e ….tutto un convegno di moti che di forma in forma non ci fanno mai credere d’essere ven(u)ti.. Grazie Francesco per il tuo esempio, anche nel mare le correnti sono e-venti prodigiosi. ferni

  8. e’ proprio questa universalità sul terreno affascinante della magia e della speranza che salva la bellezza e rende grande il messaggio della poesia. Grazie Ferni ,davvero .Un abbraccio a tutti . Mary

  9. Ringrazio tutti, tutti, per aver partecipato a questa corale di voci,anche noi un vento di sciamanti parole, ciascuno voce ed eco per l’altro, accoglienza e viaggio.f.f.

  10. Ferni, forse hai proprio ragione, noi siamo vento e bambù nello stesso tempo! Un piacere essere con voi tutti! grazie

  11. Anche per me un piacere e un onore essere tra di voi! Un grazie grande a Ferni che l’ha reso possibile:-) Un abbraccio a tutti
    Gisella

  12. Un enorme lavoro, cara instancabile Ferni, un gran bel lavoro. Forse saremo pure canne al vento, ma al vento affidiamo le nostre parole perchè volino in un concerto a più voci. Pregevoli gli interventi, grazie a te e a tutti gli autori.

  13. Che meraviglia!
    Grazie Fernanda, è un piacere ritrovare i miei versi in questo vento tiepido di parole poetiche, nell’eco di un canto corale che si modula di sfumature e accenti caleidoscopici – è un piccolo infinito vortice di immagini in libero movimento e sentire -.
    Un caro saluto a te e a tutti gli autori che hanno partecipato all’iniziativa.

  14. CONTROVENTO

    Un giorno ascoltai a lungo il vento
    E lui commosso cominciò ad accarezzarmi
    E a suggerirmi poesie…
    Da allora ascolto il suo respiro
    E ho imparato a camminare controvento.

    Grazie Ferni…sei GRANDE!

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