Da “La Strega Bianca” di Francesca Diano

Octavia Monaco- Sophia in Nigredo

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Dopo cena, accanto al fuoco acceso, Siobhaín, la poetessa, lesse un inno. La sua voce vibrava e quasi cantava nel declamare:

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Forse celata nel tuo vagante grido

E’ questa la risposta ad un metro bruciante.

Chiamami, pelle tenera di calce

Amato figlio di una stirpe antica.

Ti prego – fa’ di me la tua allieva,

Velato  compagno nel vorticoso

Abisso della tua oscura presenza.

E’ forse questo il rebus che mi poni?

Ti troverò nei bisbigli del passato.

Sei tu il mio solo porto luminoso.

Immobile rimani, natura morta

In una baia inscritta dove tutto

È  risposta alla mia lunga sete.

Dove grida la pietra del  silenzio

L’eco potente del mio sangue –  dell’anima inondata –

Filtra  un raggio di luce – esplosione stellare.

La stella doppia si manifesta in cielo

Incendiando parole nel crogiolo.

La terra è matura – il tempo

È ormai maturo – per la tua  venuta.

Il cerchio è il tuo dominio.

Giungerà il Sommo Re – domani

E il giorno dopo e l’altro ancora.

Lo spazio sacro pulsa tra le pietre

Catturando ogni silente traccia di musica.

Qui si terrà per sempre il rito d’armonia

L’unione sacra tra la Terra e il Cielo.

Qui, dentro il mio midollo, custode ai tuoi misteri.

Goccia a goccia fluirà la conoscenza

Filtrata dietro il velo, che lega

Le  antiche madri alle mie viscere.

Stende la Dea le dita di nebbia luminosa

Sulla mia mente – e sorride

La  sua innocenza senza tempo.

Sofia sentì il viso bagnato di lacrime. Siobhaín aveva dato voce, con quel suo cantante accento della contea di Louth, all’emozione che provava dentro, dentro il midollo, dentro le ossa, dentro il ventre. Si sentì trasportata in un altro luogo, in un altro tempo. Una Casa delle Donne? Loro spartivano una conoscenza che lei avevo sentito in germe dentro di sé da sempre e ora, tra loro, si sentiva una timida apprendista, una giovane iniziata a un mistero antichissimo. Era tra  maestre. Ma in tutto questo non c’era nulla di esoterico o artificioso. Faceva parte della loro cultura. Quella in cui erano nate. Come lei. Ma  lei era nata in esilio. Ma qui no. Qui non era un’estranea. E nessuna di loro si meravigliò delle sue lacrime. Tra quelle donne, figlie di una stirpe antica e regale, c’era una complicità quasi elettrica. L’avevano accolta come una di loro. Una complicità diversa da quella nella cucina della nonna, anni prima. Lì c’erano segreti dolorosi, che solo lei pareva aver avvertito. Lì le donne erano legate da un dolore che le aveva rese sterili. Lì il passato era stata la tomba in cui avevano seppellito la loro femminilità, la loro sensibilità. Tutte. Qui non era così. Questo passato era collante e sorgente di vita, di gioia, di unità. E fu in questo che si riconobbe. L’altro passato le era stato rovesciato addosso  con violenza, senza che potesse difendersene, con tutto il suo corteo di bugie, di segreti ritenuti vergognosi, di rabbia e rifiuto.  Questo le veniva offerto con dolcezza. E allora capì sulla sua pelle la forza e la potenza della Dea. Aveva sempre amato il suo essere donna. Ma pareva che le fosse stato reso così difficile.    Aveva dovuto lottare contro il rifiuto della propria femminilità che sua madre aveva ereditato dalla  sua stessa madre e che aveva tentato di travasare anche dentro di lei. Ma lei era stata più fortunata di tutte loro. Era scampata a quel destino e si era appellata alla Dea, senza saperlo. Aveva amato la sua maternità, ma di un amore imperfetto e in esse era stata ferita. Aveva amato gli uomini che l’avevano amata. Ma ne era stata ferita. In  qualche modo tuttavia quell’amore le era dentro, imprescindibile. Gridava  dentro la sua presenza e non poteva non ascoltarlo. In qualche modo aveva seguitato a cercare di aprirgli un varco tra la sofferenza e le pulsioni all’autonegazione. L’impulso a punire se stessa non era più forte della spinta alla guarigione e alla vita. Ed ora veniva premiata. Le veniva offerta una possibilità. Le veniva offerta la guarigione. Non si può rifiutare l’amore che la Dea offre, un amore che è accogliere, che si fa amore per se stessi. Rifiutarlo significa votarsi alla morte. Significa condannare alla morte anche gli esseri che amiamo. Ora, da ogni dove, in questa terra fatale per lei, la Dea le mostrava il suo volto.  E lei lo riconosceva.

Francesca Diano– Da LA STREGA BIANCA- Cap. XIV La Casa delle Donne (pag.142, 143, 144)

7 Comments

  1. molto bella questa lettura
    ricca di spunti, di riflessioni, di criticità. Penso ai luoghi della memoria e della consapevolzza..mi sembra di ascoltare quel silenzio rumoroso della casa della nonna, i legami dolorosi e segreti di quella cucina…
    quanto è diversa l’altra casa accogliente e “regale”.
    Ringrazio Francesca per averci portato un altro aspetto del tema e per l’immagine della Monaco ancora una volta da attraversare

    elina

  2. tu non ci crederai ma non l’ho ancora finito. Faccio così con i libri che non voglio finire, li faccio durare a lungo.Poi quando ho completato la lettura aspetto qualche mese e li rileggo, ancora più lentamente. Grazie a te.ferni

  3. @ Elina – Grazie Elina per aver “sentito”, anche da un brano breve, quello che volevo dire. Non c’è nulla di più terribile che rinnegare la potenza del femminile per una donna. E’ così potente la sua forza, che si rovescia in energia distruttiva e sterile. Ed è tragico. Quello non è il volto oscuro della Dea, ma la sua negazione ed è quello che ha fatto la società patriarcale, con le conseguenze che abbiamo sotto gli occhi da secoli. Che lo facciano anche le donne – e accade – è terribile.

    @Fernanda – E’ un onore che tu dica questo! E mi auguro che le mie storie ti facciano buona compagnia, come a me le tue poesie che spesso rileggo.

  4. Fernanda, volevo anche ringraziarti perché immagine più perfetta per questo post non avresti potuto trovare, fin nel nome. Le immagini di Octavia sono di una potenza incredibile. Ricchissime, misteriose, fuori del tempo e commoventi. Grazie!

  5. Sì, è proprio così. Domani uscirà l’invito per una sua mostra.Magari se riesci ad andarla a visitare, dal 21 marzo al 7 aprile, a Casalecchio di Reno-Bo. Ciao Francesca ci vediamo presto. ferni

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