Shirin Neshat- Donne senza uomini
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Ormai stanca della solita domanda: “E gli uomini?”, cruccio direi esclusivamente femminile, forse perché politicamente frequento solo donne o forse perché una grossa fetta di patriarcato sopravvive nell’introiezione che ne hanno fatto le donne, ho deciso di affrontare in primis il ruolo del maschio, e cioè una questione per molti aspetti irrilevante nell’avvento di un futuro matriarcato, sia per quanto riguarda il processo di iniziare un cambiamento, sia in un’ipotetica società futura. Nel senso che non ritengo gli uomini particolarmente abili a cambiare, mentre sono stati bravissimi a mantenere in vita il patriarcato attraverso le scosse dei vari movimenti di liberazione e le rivoluzioni che si sono succedute nella storia. Se poi pensiamo (io lo penso) che il loro modello sociale sta portando lentamente ma inesorabilmente il mondo verso l’autodistruzione, beh direi che prima di chiedere loro aiuto per fondare una società basata su principi di pace, di auto-sussistenza e di uguaglianza qualche altro processo sarà ben necessario (che ne so, che si riuniscano in un po’ più di quindici a interrogarsi sul loro genere e sui rapporti con l’altro?).
Detto ciò mi accingo a un’impresa filantropica: illustrare come erano gli uomini matriarcali, prima del fatidico pasto di una sola mela, nemmeno consumato fino in fondo – sembra che sia bastato un solo morso – per offrire alla categoria dei sensibili e intelligenti, di recente scoperta, qualche spunto per un ravvedimento operoso che possa essere di qualche efficacia.
Attingerò per questa riflessione dal mito, perché la parola scritta contiene un’enorme quantità di revisionismo e propaganda, e non è così automatico che il detto “nero su bianco” sia garanzia di verità.
Iniziamo dalla Dea e dal suo eroe. Il libro di Heide Goettner Abendroth “La dea e il suo eroe”, uscito parecchi anni fa e non ancora tradotto in italiano, spiega nei dettagli l’immaginario spirituale e i valori sociali che stanno dietro alle figure della dea e del paredro (suo, senza di lei non viene nemmeno al mondo).
In tutte le tradizioni analizzate (esclusivamente mediterranee, per le altre bisognerà consultare la versione tedesca o inglese del suo libro sul matriarcato, o attendere la prossima pubblicazione della traduzione italiana), compare nei miti delle origini una dea partenogenica, signora incontrastata del sacro e del profano ancora indistinti, della vita della morte, del cosmo come della terra. Il principio femminile è l’asse portante di tutto. A lei si deve il passaggio dal caos alla creazione di tutte le forme di vita. Per la comparsa al suo fianco dell’eroe, bisognerà attendere ancora molto tempo.
Poi il mito si arricchisce: la dea, atta a generare solo figlie che diventano i suoi molteplici aspetti, a un certo punto dà vita a un maschio: segno della comparsa degli uomini sulla terra? Forse solo del passaggio a una società più strutturata dove anche il maschile deve assumere un qualche ruolo per la sopravvivenza del gruppo, invece che andarsene in giro a fecondare tutte le femmine che gli capitano a tiro. Il vecchio ruolo espresso dal termine “uomo-cacciatore” è stato recentemente messo sotto analisi anche dal sapere accademico, che inizia ormai a ipotizzare che la sua attività abbia contribuito ben poco alla sopravvivenza umana se confrontata alla raccolta, che ha garantito un pasto a tutti per lunghi millenni. Ancora poco e nulla trapela nei libri di scuola su questa rettifica, forse perché la maschilità è stata già abbastanza messa in crisi dalle riflessioni del femminismo.
Nonostante la comparsa del maschile, nel cosmo matriarcale continua a non esserci presenza di dei veri e propri. L’eroe, il paredro che nasce come figlio della dea e tale rimane fino alla pubertà, non ha alcuna valenza divina. In primavera nei i riti celebrati dalle comunità pre-storiche e per molto tempo anche da quelle storiche, la dea, nel suo aspetto giovane, di ragazza, lo inizia e lo elegge a re sacro. Poi la matura dea dell’amore e della fertilità si unisce a lui nel matrimonio sacro. Infine la vecchia e saggia dea lo sacrifica e lo conduce nel mondo di sotto, da cui rinascerà all’inizio dell’anno, sempre per mezzo della dea. Simbolicamente trionfa sulla morte e rappresenta l’azione rigeneratrice della dea: è come il sole, che tramonta la sera per rinascere la mattina dopo; come il grande astro incarna il movimento costante della discesa e della salita in ottemperanza alle regole che lei ha sancito.
Nella spiritualità matriarcale il principio maschile non è mai creativo: non lo è per natura e ci vorranno secoli di guerre, conquiste, persecuzioni perché lo diventi. Il principio femminile è un principio integrativo, che accoglie e regola le diversità, e il ruolo che assegna al maschile è quello eroico, il potere cioè di sacrificare la propria vita e divenire così, “integro”, dove l’integrità è devozione alla vita e ai suoi valori. Attraverso vari rituali il figlio della dea si trasforma nel re sacro, si unisce alla sacerdotessa che incarna la dea e poi viene sacrificato. L’onore di morire non era per tutti; solitamente lo si conquistava attraverso competizioni con gli altri o per una manifesta attitudine al ruolo eroico, appunto. Con il suo sacrificio l’eroe rappresenta simbolicamente il modello psichico che tutti gli uomini di una società matriarcale devono seguire: sottomettersi al principio femminile che dà nascita e morte e integra tutte le diversità del cosmo, per onorarlo e difenderlo, anche a prezzo della propria vita.
Gli effetti? Beh, impensabile lo stupro, la costrizione in matrimonio, probabilmente per secoli nessuna donna si è sentita dire “tu sei mia”, né le è mai passato per la testa di dirlo all’uomo che al momento si trovava al suo fianco.
Anche economicamente parlando, ci si guadagna: pensate che conquista se al posto delle cifre a non so quanti zeri di morti per fame, guerre, schiavitù (ma è mai stato fatto un conto delle morti dovute a 5.000 anni di patriarcato?) ci fosse solo un pugno di uomini che si sacrifica volontariamente in un atto eroico che rappresenta ogni anno il rinnovamento di un patto che prevede per il maschile il rispetto e la salvaguardia della vita e del principio femminile da cui scaturisce? Allora, care amiche, conoscete qualcuno che voglia prendersi l’onore di iniziare questa inversione di marcia?
Luisa Vicinelli
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Shirin Neshat- Donne senza uomini
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Luisa Vicinelli dice di sé:
Sono femminista, con altre mi occupo di ricercare e diffondere gli antichi saperi delle donne. Abbiamo costituito un gruppo presso l’associazione Armonie, “L’altra memoria, il nostro futuro” che abbiamo definito così: un progetto per favorire il recupero e il riscatto delle memorie e antiche sapienze delle donne dopo secoli di espropriazioni, oppressioni e colonizzazioni. Per cambiare il presente, perché ci sia un domani.
A Bologna abbiamo organizzato vari convegni e incontri sulla Grande Dea prima, e sul matriarcato in seguito.
ho scritto del vostro esserci e della qualità del vostro esserci. leggere e vedere le vostre immagini mi è sempre di sprone. specie se contemporaneamente in twitter vengono premiate immagini di nudi culi con scarpe tacco dodici che ripropongono una assai svilente idea della corporeità femminile (che non ha parentela alcuna con l’erotismo). bello il pezzo in cui la donna dice: non voglio più esserti moglie. non voglio più esserti serva. non voglio più essere oggetto del tuo desiderio. non voglio più compiacerti. non voglio più subire le angherie culturali su come dovrei essere. (quanta strada da fare, quanta strada…)
anche io ho usato immagini forti, di un film che, pur inquadrando un periodo di tempo preciso, per questioni anche di permessi di realizzazione, dice con chiarezza quale sia la posizione attualissima della donna nel paese a cui fa riferimento, l’Iran, ma rimarca con forza e chiarezza anche quale non sia nemmeno nel nostro paese, in cui sembra che sia il corpo esposto della donna e la sua mercificazione o transizione come un qualsiasi altro atto d’affari a deciderne le modalità d’uso e consumo.Grazie per la provocazione.
f.f.
Carissima Luisa, che dire? condivido le tue parole dalla prima alla … penultima. Sì, confesso di non essere ancora disponibile al sacrificio che ci chiedi…
Ma simbolicamente sì; sono pronto a continuare a farlo, riconoscendo la superiore saggezza e guida, da parte delle donne, nei confronti del mondo e di ogni essere che vi nasce.
E capisco l’amarezza di quei “non più di quindici”…
grazie per la tua provocazione: la farò circolare.
un abbraccio affettuoso
Beppe
Cara Luisa, forse detto così, non quindici, ma nemmeno uno si sognerà di aderire a una visione pre-patriarcale che a un uomo può solo fare orrore, ora come ora. E se dicessimo: il patriarcato ha instaurato saldamente una società di guerra e di morte, in cui i sacrifici umani, soprattutto di uomini, non si contano. Non sono sacrifici simbolici di una morte simbolica, ma vere mattanze. Sono soprattutto sacrifici di uomini giovani al dio della guerra e degli eserciti, al dio padre, che esige il sangue del figlio per mantenere il proprio potere. Il mito e la storia ne sono pieni. Non ultimo Jahvè che manda suo figlio Gesù a incarnarsi per dare la vita in sacrificio come patto di “pace” e “salvezza” con l’umanità. Eppure, perfino nel cristianesimo non si riesce a cancellare – ma solo mascherare – il simbolismo Madre-Figlio, Morte-Rinascita. La donna, la Dea, è ridotta ad assistere impotente a questa strage di figlie e figli, ridotta a mezzo per generare le vittime sacrificate al Padre.
Nei miti è vero che la Dea genera e si unisce al Figlio che poi muore, ma muore solo per rinascere e rigenerarsi. E’ una morte/trasformazione/rinascita e rigenerazione, la sola che dalla Dea Madre proceda. Di fatto non è una morte, se non simbolica e MAI è un patto di sangue per la conferma del potere della Dea.
L’uomo-padrone deve prendere coscienza della diversità tra queste due visioni del mondo. Il mondo non può più aspettare. Il potere di morte è nelle mani di uomini impazziti, che sempre più hanno perso il contatto con il proprio Sé e con il Sacro. La follia difatti è l’esito naturale di un travisamento così radicale dei principi fondanti della nostra specie e della sacralità della vita e della generazione/trasformazione.
Del resto – come tutti sanno – il sesso del feto è sempre indistinto per alcuni mesi dopo il concepimento e solo in seguito si decide se sarà maschio o femmina. Gli organi sessuali all’inizio hanno una struttura simile e solo poi si diversificano – non nella struttura di base, ma nella funzione. Il che dovrebbe far capire che il principio è unico e che solo nell’unione e non nella separazione, solo nella cooperazione e non nella sottomissione e nel sopruso esiste un futuro.
Per quanto mi riguarda è ormai da tempo che non condivido la visione gerarchica in cui il pater è in cima ad una piramide e tutto il resto è a lui sottomesso. Però c’è una segnatura, nella religione che mette in evidenza l’insufficienza di Adamo a cui viene data una compagna, solo Adamo non sa nemmeno di esistere e fortuna che Eva ascolta,guarda,assaggia, sente. E’ per questo suo sguardo completo attorno e dentro che ha il compito di pro-creare e salva-guardare la vita. Agricoltura arte scrittura :tutte le forme in cui si esplica la vita, oltre alla riproduzione, sono opere della donna. Il resto è distruzione compiuta dall’uomo, la componente maschile e, ricordo che il tempo, tagliò la verga della sottomissione al padre! f.
ahahaha Ferni, che cattiva! Io penso a quale perverso travisamento è stato applicato al mito biblico della creazione, che, come tu dici, è trasparentissimo. Sì, Adamo sembra un po’ tonto e cieco e sordo. Dove lo mettono sta.
Di fatto Eva assicura all’umanità la libertà dalla tirannia di un dio padre e, con la figura di Lilith, dimostra di essere le vestigia di quella Dea Madre ben più antica del Dio degli Eserciti e come tale condannata. Pensa un po’, fossimo vissute anche solo 4 secoli fa, ora saremmo sul rogo!
Magari è successo. Sarà per questo che tutto quello che riguarda Santa Romana Chiesa e i suoi quadri del potere mi provoca una sorta di allergia e di nausea?
Potrebbe anche essere, in fondo gira e rigira la materia allo stato energetico, gli elettroni, gli atomi che la compongono, è sempre la stessa!
Intanto che bello questo “parlare fra donne” che racchiude tanti punti condivisi! Le precisazione che seguono sono appunto fatte perchè il loro numero cresca sempre più.
Per il sesso dell’embrione, perché la conoscenza aiuta a cambiare paradigma:
http://www.cirobasilefasolo.it/sviluppo-sessuale-embrionale.asp
Altri non ne ho trovati, in rete si sottolinea che il sesso è determinato dal padre fin dall’origine e si sorvola sul resto, ma sentirò dalle mie amiche di studi.
Mi piacerebbe anche sapere dove si può vedere che nelle società patriarcali è richiesto più il sacrificio del maschio che della femmina: io non ho trovato statistiche sensate ed esaustive sulle morti nella storia, a parte qualche proiezione che è stata fatte dalle popolazioni indigene di pelle rossa, che hanno calcolato l’olocausto degli indiani d’America, proiettando anche una media delle nascite mancate (se gli europei non avessero massacrato milioni di indigeni, sarebbero nate x milioni di vite e non oggi la popolazione sarebbe di x). Infatti la vita umana presso di loro non veniva considerata, insieme alle materie prime, dal punto di vista dello sfruttamento e quindi probabilmente sarebbero rimasti i 9 milioni che erano, perché tanti ne reggeva il territorio e, aggiungo io, perché per parecchio tempo non si sarebbe ancora sviluppato su larga scala lo sfruttamento del corpo femminile come produttore di forza guerra o/e lavoro (lettura consigliata se la trovate: La sorveglianza delle vergini di J. Schneider ed. La luna)
Tutto questo è importante per determinare il significato di “eroismo” su cui si basa il libro della Abendroth, al di là della propaganda del milite ignoto, uno dei caposaldi della formazione dello stato in epoca coloniale (lettura consigliata: Comunità immaginate. Origini e fortuna dei nazionalismi di Benedict Anderson).
Per il concetto di morte nelle società matriarcali, bisognerà sempre attendere la pubblicazione del libro della Abendroth: certo che il cristianesimo, l’islam e l’ebraismo hanno lavorato bene per incuterne un terrore tremendo, cosa sconosciuta nelle società della Dea, dove il concetto era legato allo svolgersi naturale della vita e non alla punizione
di un dio iroso.
Ciao a tutte
Luisa
Grazie Luisa, per tutte le note di lettura e per questo pezzo senza scudi alzati e senza spranghe di ferro, come si usa fare da parte di chi detiene un potere arrotando palle. fernanda.
Luisa, è sempre bello leggerti e mi fornisci sempre molto su cui riflettere. Negli ultimi tempi, ancor più degli anni passati, mi sto perdendo in ricerche sul femminile nel mio territorio natio e mi piacerebbe un giorno poterne parlare e vedere con te. un abbraccio a tutte Marina
Molto interessante. Grazie, e lo dico da maschio.
I maschi possono commentare?
nel dovuto reciproco rispetto penso che la dis-cussione e il dia-logo richiedano appunto un aperto contraddittorio altrimenti non c’è una reale comprensione del/dei problemi che insieme ci ritroviamo a vivere? Non pare anche a lei Simone?