Gianmario Lucini: Monologo del dittatore e A futura memoria

 alex andreev

Come non dare visibilità a questi testi che aprono lo sguardo, non la porta di casa o la mente soltanto, perché tutto il loro dire segna e segue col dito puntato come una baionetta e una lancia ciò che sembra sparire dietro ogni parola pronunciata a vanvera in questo ennesimo show di falsi e corrotti potenti. Mala-vita quella dei perdenti, degli invisibili , dei moderni schiavi, schiavizzati e schiavizzabili, che non hanno voce né forza né parola più per dire la loro collera, la loro insostenibile disgrazia, l’hanno strappata direttamente dai cancelli del pensiero. Si dovrebbe fare a cambio, come in quel film americano in cui due vecchi colonialisti della finanza assoldano per scommessa un povero cristo  qualunque e lo scambiano con un loro manager, per mostrare che l’habitat fa il mon(a)co. Ecco si dovrebbe provare con loro, con i “grandi finazieri” , fare la prova per vedere quanto resisterebbero per strada, davvero per strada a livello zero, come pedine loro, alla pari dei loro mana-ger che pure sono schiavi, e farglielo provare bisognerebbe per un periodo abbastanza lungo in cui far loro toccare il senso di una vita perduta in commesse-scommesse, in giochi dell’ozio  dove non esistono uomini ma numeri in fogli e bollettini spersi in borsa che altri portano per loro. Da leggere, sì, da leggere e discuterne.

f.f.- febbraio 2012

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Monologo del dittatore- Gianmario Lucini, CFR 2012



Monologo del dittatore – Dalla prefazione di Letizia Lanza

Ultimo volume di una triologia civile, la raccolta è un secco giudizio negativo della storia e, come sua continuazione, dei recenti fatti geopolitici (la guerra di Libia, l’immigrazione conseguente ad ogni disordine e all’ingiustizia dei rapporti economici fra Stati) fino ai recenti fatti di cronaca nostrana, alle vicende di razzismo e xenofobia di Torino e Firenze. L’excursus inizia dalle antiche guerre romane, risalendo al Medioevo, al Risorgimento, alla Resistenza (con un inedito Luciano Erba partigiano, che poi fugge in Svizzera) e si sofferma sulla guerra di Libia e sulla figura del dittatore Gheddafi (più una icona o un paradigma, che un ritratto) il calvario delle grandi migrazioni contemporanee e, dopo il tetro passaggio di una sezione intitolata “Il respiro del male”, sfocia in 24 poesie sulla cronaca degli ultimi mesi del 2011.

Non si tratta dunque di un libro sulla guerra ma sulla ingiustizia nella storia, quasi sempre originata dalle guerre, la violenza dei rapporti interumani e fra i popoli, le malattie della “democrazia”.

Un libro, dunque, provocatorio, di un’atmosfera plumbea e senza spiragli di salvezza. L’autore non chiama questo sentimento “pessimismo” ma, date le circostanze, un realistico “disincanto”.

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Nacqui nel trecento e non m’accorsi

d’esser guelfo ghibellino. Percorsi

sentieri fuori mano di campagna

rigando i nuovi ronchi col sudore,

.

su terre non mie dove i signori

giocavano alla guerra e alla caccia.

Li vedevo passare a volte sulla traccia

di un animale, tronfi e bestemmiatori

.

e non capendo mai se fossero i miei

signori o quelli d’altri in scorribanda

che per dispetto al rivale una gamba

o un braccio tagliavano ai servi, rei

.

d’esser servi altrui e andare nel mattino

d’un secolo qualunque a roncare

le antiche foreste e le colline,

per sfamare i secoli a venire.

*

E se un giorno balzeranno dagli archivi,

tutti insieme, diranno i loro nomi

l’orrore che da vivi li travolse,

costringendoli a tacere. Diranno

di fronte a tutti i tribunali della storia,

con voce pacata e col sorriso mite

dei poveri, l’immane cupidigia

che fonda il mito della democrazia.

.

alex andreev


A futura memoria–  presentazione di  Marco Ratto

Il titolo stesso della raccolta, A futura memoria, vuole rappresentare una testimonianza ideale, ma ugualmente molto concreta, del sentimento e dei sentimenti del nostro tempo, (se mi si consente il richiamo all’ungarettiano Sentimento del tempo), capace di rappresentare anche i sentimenti di ogni tempo, intendendo così mostrare che la natura dell’uomo, attraverso i millenni, in fondo, non è poi cambiata affatto, soprattutto quando si parla di coscienza, di sensibilità nei confronti del dramma e dei drammi delle guerre, anche lontane in senso fisico, e della sfera emotiva che ruota intorno a esse. […]

L’intento di Lucini, infatti, è quello di richiamare il nostro mondo, soprattutto quello occidentale, a una maggiore consapevolezza di sé e di ciò che lo circonda, perché le regole morali della nostra società cosiddetta “civile”, proprio quando avrebbero bisogno di vedere un’apertura dell’uno verso l’altro nel nome di una nuova solidarietà, appaiono invece viziate da una indifferenza, da un egoismo e da un’ipocrisia di fondo che sembrano appartenere a noi tutti. […] … emerge anche un sentimento di cruda e quasi ironica pietà che è come fosse vissuto in prima persona dall’autore stesso, mentre l’”io” di chi scrive e quello di chi vive direttamente quelle situazioni di guerra è come diventassero una cosa sola, portando per questo, in ultima istanza, il poeta a immedesimarsi con la realtà umana dei militari, con la loro precarietà esistenziale, la loro vita in pericolo e con la loro apparente indifferenza che, in certi casi, essi stessi sono chiamati ad avere nei confronti dello spettacolo tragico della morte dei propri compagni o di quello della morte della gente innocente, sotto il fuoco amico o nemico, in un misto di rabbia e di disperazione, in un misto di dovere da assolvere e consapevolezza di essere dalla parte degli sfruttatori, di contraddizione tra la necessità di un intervento armato voluto dai potenti e di ideali da difendere, tra la brutalità di tutte le guerre e quella della guerra in corso

Per la storia 2

Sappiate, voi che leggerete queste leggerezze votate al vento che gira su se stesso, che non fummo carne, non fummo voce. Ci aggiravamo come simulacri. Apparivamo certe notti sciogliendoci alla luna. Eravamo il lamento dei cani. Dicemmo l’inganno pretesto plausibile, lo vedemmo sfidare la regola dentro la regola, lo lasciammo operare abile artigiano nella sua misteriosa cantina, ascoltammo i grimaldelli sorbendo un tè al bergamotto, in quell’inverno né caldo né freddo,

perché noi fummo il popolino

che non esistette,

la parte di mondo confitta nella terra, senza mai

piantarvi radice.

Benedizione della truppa

Ti benedica il Padre, soldato che vai a morire per ammazzare

al soldo democratico di Stato,

nel nome del Figlio che dorme nel grembo di tua moglie,

nell’orgoglio e nel decoro d’una pensione militare;

soldato del soldo combatti per il vostro

futuro senza passato,

nel nome del Figlio e dello Spirito di una Gerusalemme crudele

pace

il suo nome – nel Suo Nome.

Io so

con l’incrollabile certezza del pensiero padronale

la Sua Natura ferina:

Egli lo vuole e, se mai lo tacque, possiamo interpretare,

fra le righe del Verbo scovare la vendetta

– obbedienza e ruah:

santa virtù dei Kamikaze –.

Io prete cupo della civiltà militare e per inciso capitano

stendo su di te, a mezz’aria, la mia mano e la croce e sii puro

strumento nelle mani dell’Altissimo

per ammazzare o esplodere

in alto, biascicando preghiere.

A futura memoria- Gianmario Lucini, Edizioni CFR – 2011  

6 Comments

  1. certi versi e certi libri sembra abbiano l’elettricità e molti faticano ad avvicinarsi, a scriverne, a leggerne i versi, come se avessero, all’interno qualche virus prodigioso che assale il corpo e ne fa disastro. Eppure dovrebbero, in molti, avvicinarsi alle barricate che sono corpi ancora vivi e morti che ancora si mostrano tra le nostre case e le vie delle città distrutte da una guerra che non finisce ancora di produrre danni e dannati. ferni

  2. Mi unisco al commento di Donato Di Poce; anch’io desidero sottolineare l’impegno instancabile di Gianmario Lucini per la poesia e per la sua casa editrice (ma quell’uomo riesce a trovare il tempo per dormire???)
    Un caro saluto a tutti

  3. Grazie ferni per aver dato spazio a queste opere, oggi più che mai necessarie, poesie che “puntano il dito” (chiamarle civili o sociali o “politiche” – ha ben ragione Gianmario – poco importa), indicando una funzione a cui, a mio parere, oggi più che mai, la poesia non può sottrarsi, anzi, farsi voce alta di sdegno, di disgusto, di testimonianza di un'”offesa” (come intitola l’amico franzin i suoi splendidi canti) che in molti non siamo disposti ad accettare in silenzio. Non cambierà il mondo, ma almeno non saremo stati complici passivi e muti. Grazie a Gianmario per il suo infaticabile impegno (ma davvero come fa?) in questo senso

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