words create worlds
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“Allora,” – gli dico – “c’è che avrei bisogno di fregare il tempo. Il tempo, sì, il tempo non l’ho mai capito, mi passa sopra, mi leviga, gela la linfa d’inchiostro che dalla testa (passando per il cuore) vorrebbe scendere alle dita in forma di parole. E c’è che mi manca un foglio di carta”.
“Se è solo questo il problema,” – ribatte – “non c’è che da fare una semplice telefonata. Il tipografo di mia fiducia è quasi un alchimista, da un foglio grezzo ne tira fuori pregiati a iosa, basta chiedere e pagare”.
“Pagare… Pago il bianco da una vita, ormai, pago la frattura fra teoria e pratica, pago l’inesattezza del foglio. Non è che cerchi la quadratura del cerchio ma…”
“Caro il mio autore, insomma, è pronto o non è pronto il suo lavoro?”
“Sarà presto pronto. Solo il tempo che serve al dire. Il tempo che bisogna finché risulti la fusione totale con la carta.
Devo iniziare parola per parola, poi il fuoco, la cancellatura pronta e puntuale, l’abrasione …”.
“Non la capisco, si spieghi meglio”.
“Vede, la fusione col bianco foglio può avvenire in un solo modo, e questo modo richiede tempo e ragione e pure fretta. La fretta che necessita l’istinto, la fretta e l’incoscienza – e il tempo – del dolore e della gioia. Le faccio un esempio: poniamo, adesso, che io scriva di getto tutto ciò che sto dicendo e, poniamo, che un autore affermato e buon critico, che so, ad esempio un Baricco, legga e giudichi nel complesso il risultato di questo esperimento. Niente correzioni. Niente riletture a limare refusi ed errori. Così, di getto. Poniamo che mentre lei fuma la sua sigaretta, io vomiti sulla carta tutto ciò che vado pensando …”
“Faccia pure, ecco un foglio”, e subito l’editore glielo porge. L’autore inizia a scrivere; nel contempo legge a voce alta:
“Abracadabra, simsalabim, un poeta uno scrittore, sognavo di essere …; e poeta che ‘mangia’ di poesia, scrittore che vive di scrittura. Poi la vita, la coscienza dei propri limiti, la paura, il bisogno, il quotidiano. Poi ancora l’intuizione d’essere solo e soltanto un miliardesimo maratoneta. E poi (quanti “poi” che andrebbero cassati) la morte d’un padre, una raccolta di poesia a sublimarne il dolore, il sogno che risorge dalle ceneri e si fa sogno testardo. Poi l’isola d’inchiostro, il dentro più dentro che ci sia, immerso nelle acque blu/nere, tutto il resto fuori, ai margini. Infine, la disillusione: l’inchiostro che non si fa carne, la teoria che non si fa pratica, la carta che si sgretola al contatto d’una sola lacrima. Abracadabra simsalabim, adesso dovrei bruciare questo foglio come faceva la protagonista d’un film di Bertolucci, oppure dovrei elaborarlo, esaminarlo, nettarlo e improfumarlo. So bene che la scrittura non è istinto. E so bene che l’arte non è arte se manca il paziente e sapiente lavorio. Ma in ogni caso la fusione sarebbe imperfetta. Unico modo per giungere all’amalgama è quello di finirla qui, appena al di là dell’incipit che Lei mi ha proposto, caro il mio editore. Al di qua della vita”.
“Troppo sbrigativo, troppo banale” – esclama l’editore con sarcastico sorriso.
“Beh, ci sarebbe un’altra strada. Dovrei entrare – ed entrarci tutto– nelle tubature dell’inchiostro, poi nelle venature della carta. C’è solo un problema di stazza. Oppure entrare in un trasbordatore/disintegratore cellulare assieme ad un foglio di carta, come nel film “La mosca”. Poi aspettare la metamorfosi, la fusione ed i suoi orrendi effetti, svilupparne la storia. Ma non sarebbe più un racconto originale …
Forse ci sono, sì, adesso ci sono! Mi serve un albero, la sua cellulosa a miscellanea col mio sangue, le mie braccia dirompenti verso il cielo pelle a pelle con la sua diramante corteccia, il suo sibilo silente unito ad un mio sussurrare lento, le sue foglie ed i mie fogli, il suo silenzio ed il mio silenzio. Diventare albero …
Eppure, anche un uomo che si fa albero mi ricorda qualcosa … ”.
Giuseppe Samperi
Riferimenti in rete:
http://edizionidelcalatino.blogspot.com/2011/12/pubblicazioniin-edizioni-del-calatino.html
e non voleva lasciarsi “riscrivere”, non voleva seguire la formattazione di questa zattera di segni. E’ stata davvero dura mettere in riga le righe, tutte pronte a tiri mancini, a rompere le file. Un piacevole racconto, forte, credo, delle tante esperienze che un editore ha se mantiene le fila e la relazione con tutti gli autori che pubblica. ferni
Grazie a Ferni e a Cartesensibili per l’ospitalità. E’ un breve racconto (se tale si può definire, quasi a grado zero di narrazione, né ‘fabula’ né ‘intreccio’) che mi chiedeva insistentemente di essere letto:
– “Chiedi a Cartesensibili, chiedi qua, chiedi là, bussa alle porte …”
– “ma non meriti tanto”, replicavo.
– ” Dì che sento freddo senza coperte di carta, che toglierò presto il disturbo. Il tempo di un giro di giostra, di una danza nelle schermate calde del web”.
E grazie per la tenacia che ti è servita a riscriverlo.
Affettuosamente.
letto d’un fiato, perché è breve ma si lascia bere, e fa vedere quello che accade dietro la pagina, dentro altre scritture.
un racconto che dice cose che di solito non si vedono e lo dice con una grazia da favola. antropomorfe le parole prendono il posto delle persene che le pronunciano. Ho letto anche il commento dell’autore che, a quanto pare, ha una fertile fantasia. dinad
letto con piacere questo breve racconto delle piccole vanità e delle grandi fantasie.
grazie ad annalisa, dinad e a gaeaurelio per i commenti
Questo racconto, assieme ad altri e ad una sezione di prosa, è inserito all’interno dell’ebook “La bottega del non fare e altri racconti”, ora scaricabile gratuitamente in rete, ad esempio agli indirizzi:
Fai clic per accedere a La_Bottega_del_Non_Fare_e_altri_racconti.pdf
Fai clic per accedere a 740.pdf
g.s.
grazie Giuseppe. f.f.
grazie a te Fernanda, per avermi ospitato più volte sul blog, per aver speso belle parole sul “maratoneta”, per la tua non comune sensibilità e gentilezza.