L’ inizio ospita la fine e la fine nel nuovo si dis-solve d’altro si riveste
mario iral
E sulla soglia, ancora prima di entrare nel recinto, guardai le nuvole. Avevano forme di corpi pronti a dissolversi, nel tempo di uno sguardo, di una parola, traghettata da un corpo all’altro attraverso lo stesso cielo delle nuvole, fiati entrambi, fatti passeggeri. Mi ritornò alla mente un libro, letto molti anni prima, in cui si parlava di linguaggi, mi sembrò una chiave, tra le molte, per poter accedere a quel luogo s-misurato. La lascio qui, sul limitare di questo, che pure è un luogo, luogo dei tragitti e delle traiettorie, come quelle delle nuvole, che ancora ospito in me, leggere, veggenti.
Da Aleph di Jorge Luis Borges
“…Ogni linguaggio è un alfabeto di simboli il cui uso presuppone un passato che gl’interlocutori condividono; come trasmettere agli altri l’infinito Aleph, che la mia timorosa memoria a stento abbraccia? I mistici, in simili circostanze, son prodighi di emblemi: per significare la divinità, un persiano parla d’un uccello che in qualche modo è tutti gli uccelli; Alanus de Insulis (1), d’una sfera di cui il centro è dappertutto e la circonferenza in nessun luogo; Ezechiele, di un angelo con quattro volti che si dirige contemporanea-mente a Oriente e a Occidente, a Nord e a Sud. (Non invano ricordo codeste inconcepibili analogie; esse hanno una qualche relazione con l’Aleph.)
… D’altronde, il problema centrale era insolubile: l’enumerazione, sia pure parziale, d’un insieme infinito. In quell’istante gigantesco, ho visto milioni di atti gradevoli o atroci; nessuno di essi mi stupì quanto il fatto che tutti occupassero lo stesso punto, senza sovrapposizione e senza trasparenza. Quel che videro i miei occhi fu simultaneo: ciò che trascriverò, successivo, perché tale è il linguaggio. Qualcosa, tuttavia, annoterò.
Nella parte inferiore della scala, sulla destra, vidi una piccola sfera cangiante, di quasi intollerabile fulgore. Dapprima credei ruotasse; poi compresi che quel movimento era un’illusione prodotta dai vertiginosi spettacoli che essa racchiudeva. Il diametro dell’Aleph sarà stato di due o tre centimetri, ma lo spazio cosmico vi era contenuto, senza che la vastità ne soffrisse.
Ogni cosa (il cristallo dello specchio, ad esempio) era infinite cose, perché io la vedevo distintamente da tutti i punti dell’universo. Vidi il popoloso mare, vidi l’alba e la sera, vidi le moltitudini d’America, vidi un’argentea ragnatela al centro d’una nera piramide, vidi un labirinto spezzato …, vidi infiniti occhi vicini che si fissavano in me come in uno specchio, vidi tutti gli specchi del pianeta e nessuno mi riflette,…, vidi grappoli, neve, tabacco, vene di metallo, vapor d’acqua, vidi convessi deserti equatoriali e ciascuno dei loro granelli di sabbia, vidi ad Inverness una donna che non dimenticherò, vidi la violenta chioma, l’altero corpo, vidi un tumore nel petto, vidi un cerchio di terra secca in un sentiero, dove prima era un albero, …, vidi contemporaneamente ogni lettera di ogni pagina (bambino, solevo meravigliarmi del fatto che le lettere di un volume chiuso non si mescolassero e si perdessero durante la notte), vidi insieme il giorno e la notte di quel giorno, …vidi cavalli dalla criniera al vento, su una spiaggia del mar Caspio all’alba, vidi la delicata ossatura d’una mano, vidi i sopravvissuti a una battaglia in atto di mandare cartoline, …, vidi le ombre oblique di alcune felci sul pavimento di una serra, vidi tigri, stantuffi, bisonti, mareggiate ed eserciti, vidi tutte le formiche che esistono sulla terra, vidi un astrolabio persiano, vidi in un cassetto della scrivania (e la calligrafia mi fece tremare) lettere impudiche, incredibili, precise, …, vidi la circolazione del mio oscuro sangue, vidi il meccanismo dell’amore e la modificazione della morte vidi l’Aleph, da tutti i punti, vidi nell’Aleph la terra e nella terra di nuovo l’Aleph e nell’Aleph la terra, vidi il mio volto e le mie viscere, vidi il tuo volto, e provai vertigine e piansi, perché i miei occhi avevano visto l’oggetto segreto e supposto, il cui nome usurpano gli uomini, ma che nessun uomo ha contemplato: l’inconcepibile universo. Sentii infinita venerazione, infinita pena ….”
Questo, di Borges, era stato un indizio, per l’inizio di un percorso attraverso le sculture di Mario Iral, scultore e amico carissimo, che poi è stato strada facendo modificato, anche attraverso la collaborazione con Antonia Zecchinato, la compagna di Mario, che ha curato la pubblicazione del catalogo a cui mi riferisco, Eros- Thanatos . Oggi sono ritornata indietro. Cercavo il racconto di Borges, a cui in questi giorni sto dedicandomi, perché ricordavo di averlo inserito nel percorso. L’Aleph: l’inizio in cui tutto si addensa e si trasforma in una continuità di(f)forme. Così ho continuato a leggere, seguendo le tracce, come si fa quando si trovano delle impronte lungo la propria strada.
E il percorso continuava in queste altre brevi riflessioni, proposte come trucioli di legno che, come il lavoro dello scultore, si staccano dal legno della parola per farne sillabe di un altro percorso. Ve ne propongo in lettura un breve stralcio, anche se, a volte, quei trucioli di parola sembrano quasi enigmi. In realtà, se ben si osserva, ogni parola è organizzata secondo questo paradossale gioco e inganno, di cui non ci si rende mai perfettamente conto.
L’ enigma sono i battenti della stessa s(p)oglia: Eros- Thanatos
mario iral
“… ma già i greci sapevano che siamo i sogni d’un’ombra…” – L’altra morte, J.L.Borges
Istruzioni per a p r i r e
1 – es–portare sillabe da Os, la bocca originante del Caos.
Ciascuna, un legno s o n o r o, è porta che conduce in luoghi geo-metrica-mente lontani, dis-tanti nella misura di una scrittura, di un segno, di una moltitudine di segni istantanei sulla soglia.
Gua(r)dare, nell’istante, l’il-lusione (ludere: giocare) dello s p e c c h i o e vedere, tentare di vedere, il gioco delle es-pressioni del dio de-legante l’io.
2 – sfogliare- spogliare la soglia
aprire se stessi, l’unico accesso a qualunque es-perienza, sottoponendosi ad una “piccola m o r t a l i t à ” per con-cedere ai sensi di ade-r-ire a quanto si approssima, per percepirne la vitalità. In qualche modo in(d)ossare un paio d’ali, da lì, esattamente dove si è!
3 – doman-darsi: …ma la porta ha una chiave?
La chiave è il sé-greto. Alle radici del volo, nell’inizio della specie, l’albero del gene(re) della vita, tra i solidi, trae dai soli del cosmo, i pianeti della nascita, nel precipizio dell’oscuro, là dove lo spaccato, la bocca del caos, la ferita senza fine schizza e abbozza, tras-ferendole, misure che cercano l’ordine nel suo regno.
4 – leggere il libro: l’es-terno.
Scortecciare un albero è cercare il segreto, il luogo sta dove la vena in-cede la sua natura. Una specie di viaggio cosmogonico. In un libro, aperto tra la sponda della vita e quella della morte, gli argonauti cercano il vello, il livello d’equi-librio, l’unico a consentire di attraversare la soglia, il dialogo con l’im-mortale.
5 – riflettere: chi (è) porta è la chiave del lib(e)ro
E’ la cel(lu)la, viva, all’interno dell’alburno, sotto ciò che si spoglia, la corte(ccia). Os-mos-i: bocca che respira, in-spira ed es-pira, volatile abito, tessuto d’aria . Più sotto, il filo fitto intorno all’amo st(r)ingono il vincolo, dentro il reame, durame che cambia stato nel colore d’ambra della polpa.
Rit(t)o sulla schiena il luogo il seme dell’uovo dell’uomo
mario iral
Quale sia l’es-senza
il corpo in-visibile
delle cose e dell’uomo
non è dato sapere e
dove sia nessuno lo sa.
Ogni ente ha un suo centro e
ogni centro è anche luogo
che irradia la vita
che muta la forma.
Cede (al)la morte ciò che scompare
scompagina l’ordine ma non la scrittura
scrive da dietro e da dentro
il libro del cosmo nel micro e nel macro del segno
facendone l’ora che t e s s e in eterno.
.
fernanda ferraresso da EROS E TANATHOS-Mostra di Mario Iral
*
PS: in quel percorso di lettura delle opere di M.Iral, mi è sempre stato di guida un mito, quello dell’origine, il mito dell’inizio, che ci rende tutti iniziati. Mi riferisco al mito di Caos. CA-OS dove OS è la bocca, la stessa che dice, anche nel mito usato in questa lettura, la vera lav-orante. La bocca è la ca’-(a)vità che gene-ra. Anche in questo percorso, dal buio, da ciò che ha in sè il germe dell’umidità e della liquidità, tanto quanto un ventre materno, si genera l’universo. E la bocca, la nostra, come la prima, come anche quella nell’argilla rossa di ADAM (perchè questo significa il suo nome) è la bocca di caos, in cui tutto prende un posto, viene cosmetica-mente ordinato. La ra dice ( Ra , anche nella forma Re, è il Dio-Sole egizio. Emerse dalle acque primordiali del Nun portato tra le corna della vacca celeste, la dea Me-hetueret. E Me, a sua volta, era divinità creatrice assira.)di ogni cosa è un insieme di SOLI, tali e quali noi siamo tutti e come viene detto all’inizio del percorso (si parla di bambini soli: noi tutti bambini anche se esseri millenari, noi heres e perciò sempre heres, sempre ori-gi-nati). Iride, quel cerchio dell’occh’io, che raccoglie la luce, fotoni sparati dal cielo, in-mer-si nel ventre del cos-mos,l’abito che tutti ci ri-veste e ci vive,ci segna o ci sogna (tra un’on-da e l’altra, tra una ri-va e l’altra sponda) raccoglie linfa, come ogni altra pianta e genera fogli (tanto quanto gener-ra figli)e in essi tra-scrive i se(g)ni con cui la madre lo nutre in un continuo della mente (continua-mente), il sole os-curo di cui siamo ammalati ed è la malattia salvifica. Gene-ra luce, la in-ter-ra, e Os-iride (Osiride ,anche Usiride, Osiris od Osiri o, in egiziano antico, Asar, cioè vegetazione) è il dio egiziano della morte e dell’oltretomba, la radice antica ur significa fuoco, quello che sta nell’oscurità del ventre terreste e del cielo, mentre orto, il luogo coltivato, significa nascere). Es-sa coltiva i territori dell’os-curo.
Spero di aver dato un’i-dea, di quanto penso sia profondo il legame con il mito della caVerna, contenente un continente ancora più antico, in quel segno interno, quella V che si àncora tra le rive della parola: la lama dello scalpello e dell’inguine femminile, che scalfisce il legno del buio e si fa nido in cui si anno-da il cielo, il suo tempo si fa tempio della continuità, degli heres, appunto, e dei SOLI.- f.f.
leggo da tempo i percorsi di Fernanda e spazio in un luogo vastissimo
la parola perde il suo primo consueto significato diventa strato segno sigillo e porta riflessioni non tutte prendibili poichè le forme continuano a parlarle
da cosa è suggestionata forse lo dice questo intreccio, quali letture, approfondimenti, quanto studio e accoglienza dei vari SOLI
è un corpo abitato la relazione che pone tra le sculture, queste opere sembrano racconti aperti e insieme lontani, libri anch’essi riscritti
conservo tra le cose più preziose il catalogo che ora arricchisco di questa sillaba di percorso
elina
Grazie Elina, se non confidassi in te che sei la nostra Archiviatrice storica in chi potrei farlo?. ferni
A proposito di tracce leggo in René Char: “Un poète doit laisser des traces de son passage, non des preuves. Seules les traces font rever” (contenuto in “en trente-trois morceaux et autres poèmes”) – Char dice “poète” e a me piacerebbe tradurre “artista-e-lettore-e-spettatore”, ma anche il Mito dell’origine è un poeta-artista generatore di tracce che conducono al sogno, uno dei luoghi più vicini all’aleph di cui andiamo in cerca; è il linguaggio il sottoscala in cui potrebbe manifestarsi l’aleph?
penso che utilizziamo il linguaggio senza ricordare il modo in cui è stato composto, il luogo che in esso si apre ed accoglie, il recinto che esso definisce e spalanca. C’è un gran dire sui dialetti, che credo siano la cassa e il forte dell’armonia naturale tra noi e la terra ma penso che la lingua, proprio perché linguaggio e dunque ingranaggio e attrezzo potrebbe dissodare luoghi nella terra più profondi o alti tra i venti e nelle sillabe sabbie di correnti e deserti in cui penso ci sia una fecondità mai smessa.Siamo noi che vogliamo restare incatenati al passato o ad un presente senza lobi in cui ri-suonare il verso che ogni cosa porta in sé e in noi credendo sia roccia ogni voca-bolo mastichiamo. Grazie.ferni