Madrid Rio
Più che la città, mi piaccio io dentro la città. Guardavo la televisione in casa di Angelita a Madrid; era il giorno di Natale e inquadravano una strada di una certa metropoli. A un tratto si vide un giovane uomo che camminava leggendo il giornale. Fu rallentatore sembrò che nuotasse spingendo altri. Poi un’infinità di teste divenne più alta e più bassa delle sue spalle che continuavano a spingersi in avanti, quasi venisse verso di noi. Dava l’idea di camminare da un secolo e allo stesso tempo di poter svanire all’improvviso come annegasse.
– Così si cammina in una metropoli- dissi rivolta ad Angelita.
– Beh, io non ci riuscirei mai.
– Volevo dire catastrofici e accidentali.
– Ah!
Tutto, in quella stanza, odorava di pesce, tra acre e appassito. Anche a Natale, Madrid ha l’odore d’un fiume; i dolci non ce la fanno e nemmeno le spezie. Vince quell’acqua paludosa, stantia, e se comincia a piacere questo il più è fatto. Angelita è nana, quarant’un anni, un gran bel viso e un amante diciottenne che l’adora. Guardai gli stretti pantaloni di José dove il sesso appariva enorme, al polso destro aveva sottili braccialetti di cuoio e al collo tre sottili foulards. Nessuno sembrava più felice di quei due: mangiavano paste alla crema, si baciavano mentre la nuca leggera di un seno di lei, seduta sulle gambe di José, sporgeva dalla vestaglia. Dissi:
– Esco, ho voglia di un po’ d’aria fresca.
Loro mi seguirono. Si era in tre su una via qualunque: Angelita con i piedini dentro zoccoli di legno altissimi sembrava una borsa appesa al braccio di José, io avanti sentendo tutto. Nessun popolo accetta l’esagerazione disinvoltamente quanto la Spagna; è piena di esagerati felici, rispettati, accolti a baci. Ciò è confortante anche perché storico: pura storia dell’arte. La Spagna si capisce meglio in questa chiave. Mi voltai:
– Voi non dovreste entrare nel mercato comune.
– Senti senti.
– La Spagna dovrebbe essere l’Hong Hong dell’Europa. Per me
almeno sarebbe la scelta migliore. Porto franco. Ecco.
– Non mi intendo di politica, ma se lo dici tu – rispose lui.
– Che c’entra. Anch’io non mi intendo di politica; ma questa è storia. Il vostro vero modo sarebbe valutare al massimo le differenze, non il vino, le arance, l’olio, le automobili, bensì la vostra storia.
– Senti senti.
– Al diavolo l’Europa, voi non sarete mai l’Europa!
Parlavano tra loro senza più ascoltarmi; del resto non ero stato affatto chiaro. Ma mi infastidiva che i bar potessero chiudere secondo l’orario di quelli francesi o italiani; che i negozi finissero col brillare dello stesso costo. Mi infastidiva che un’ aria di falso benessere potesse infilarsi pian piano al posto della gioia e della rilassatezza. Finirà del tutto questo mondo speciale, pensavo, i nani non saranno più nani e i pesci vorranno volare. Arriverà l’igiene come inizia una caccia, con buoni propositi e brutto finale. Finirà il desiderio-malattia di questa nazione di tassisti squisiti e intellettuali coi denti cariati, che amano tanto definirsi orfani. Arriveranno i dentisti e i padri, definitivamente e dappertutto; e una metropoli come si deve, quella vista in televisione, ad esempio, ridurrà la Spagna a porta di servizio dell’Europa. Ne farà la Jugoslavia dell’impero austroungarico. Non si rendevano conto di quanto li amassi sragionando così, più ero catastrofico, ingiusto e più li amavo. Angelita amava José e José Angelita, erano troppo coscienti di questo anche solo per contraddirmi. La storia va bene per i turisti e la politica va bene per gli infelici intellettuali che ora abitano quasi permanentemente al Rok-Ola dove anche quel giorno ci sedemmo, e la più provinciale notte del mondo si chiamò cubalibre, porro e via di seguito.
– Dove butterete, dopo, la carta del pesce fritto, eh? – chiesi a José.
Mi guardò come solo gli spagnoli sanno fare, il tempo di parecchi secondi.
– In terra, da che mondo è mondo!
CRISTINA ANNINO
Molto bello. I dialoghi come lame, forti.
Un saluto.
Buone feste a tutti.
Oh Signore, una ventata fresca e secca di racconto breve, come le più belle scie hanno lasciato in Europa! (grazie cara).
Maria Pia Quintavalla
Dimenticavo: un lungo canto d’amore, ininterrotto, questo che Cristina tributa da sempre alla Spagna del mondo (che noi siamo, certi NOI)
MPia Q
Carissima Fernanda, grazie per aver ri-proposto questo forte racconto di Cristina, tratto dal più recente fascicolo della nostra “L’area di Broca”. Una scrittura così, un raccontare così sono insieme “nel tempo” eppure è come se non fossero “nel tempo”: attualità come perennità (e viceversa). Il segno inconfondibile di uno STILE, di una “cifra” ben riconoscibile (e rara).
Grazie a voi, Cristina e Fernanda, per questo “dono” e un augurio di cuore.
Mariella
è un luogo che frequento sempre con piacere,L’area di Broca.Grazie a voi, per l’impegno con cui lavorate e diffondete. ferni
penna magistrale, questa. un occhio ( peccato che si declini al maschile, ma lo rispetto!) da dèmone capace di captare quel senso-salero di una identità , sentirne il pericolo della scomparsa e farne in qualche modo pietra. chapeau, Cristina, a presto,
annamaria ferramosca.
grazie, lo considero un regalo anch’io. di letture così non ne avrei mai abbastanza.
Grande Cristina!
cb
che bravura, sincera.
ciao!
buonnatale,
giampaolo
Immagino di ascoltare il racconto dalla voce di Cristina Annino e ritrovo la perenne sorpresa di toni schietti, sguardo acuto e orecchio finissimo, ché rifugge l’idillio, ma è sempre musica di luoghi, corpi e storie la sua scrittura.
Sono grata per questo racconto postato senza che lo sapessi in questo bellissimo blog. Ringrazio tutti i commentatori, di cuore, e auguro a ognuno di loro un Natale come si deve, con una particolare attenzione di Dio o degli uomini, poco conta. Ma che “grazia” ci sia. Almeno per un po’!
Un abbraccio a tutti, Cristina.
Grazie Cristina per questo viaggio, abbiamo voluto portare doni in un periodo in cui ciò che si fa è mettere in dogana anche il pensiero. Se Natale è nascere in questo viaggio si nasce ad ogni passo.fernanda