ishtar
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Porterò la tua collana al collo – l’ho fatta di rame e ferro –
l’ho fatta
quando stavi morendo e non sentivi la bocca
battere come il buio
batte la pietra.
Come una scure colpita dal lampo, nominerà il mio
corpo
mentre la battaglia alzerà la muta dentro la pietra che è la tua
lingua, la mia
improvvisa.
lasciando cadere. vengo
da te come un
sasso
che rotola
ed è perché
ho questo cuore nelle narici
e un favo ficcato nel cervello, una
specie di atlante
delle forme umane e disumane dove ci sono alberi che
diventano gambe
lunghissime sinuose che invitano a salire e mai
scendere mai
e
vorrei scrivere parole che diventassero una foto
in bianco e nero con
quel senso di vero e povero e sporco
che a volte viene da quei luoghi
dove le donne
si muovono dentro la terra che è rovesciata e le prende
come una mano o una bocca e loro
hanno gli occhi aperti e il volto
infiammato e toccano
l’aria come toccassero l’amore
tu la puoi vedere?
.
IOLE TOINI
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charlie terrell
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Ho raccolto alle tue tante foci
voci
come si raccolgono i sassi per strada
le conchiglie sulla riva dell’onda
le ho strette nella luna rotonda
e degli occhi nella mandorla sommersa qualcosa si è mosso
forse era un tuffo o
semplicemente il cuore ha saltato tutta quella vecchia muffa
che mi impediva di vedere
perché ci sono vertigini e forre nascoste
tra le righe dei palmi
e nel fondo dei cesti ci sono alberi e bestie
che camminano
camminano sotto e dentro il celeste
le terre
incolte non hanno sbarre o recinto
a contenere il loro astrale mai astratto
sottile movimento.
C’era anche una luna antichissima in fondo al campo e dal cielo
come nuova scalzava aggirandola la rigida pietra del pozzo.
Un tuffo nel profondo del buio e tutto per un attimo
ha trovato la forma di un volto.
C’erano uomini senza lavoro
e donne curvate ad allattare capretti e vitelli
c’erano giovani e vecchi seduti ad un tavolo già senza capelli
e avevano il bianco più denso della luna stampato sul vuoto del volto
avevano
un profondo silenzio
tra la gola e il respiro fattosi ancora più spento.
A morsi e a spintoni entrava loro nel corpo il tempo
e gli strappava dal ventre l’oriente gli scriveva nel polso
la fine del mondo. Con rami e con vento con fogli e canzoni
con salti e sussulti con risa e con pianto con sputi e più lucida piana parola
con grida con strazio di morte con urla la donna ferita con un soffio di bianco
calava la neve sul dorso dei monti sulla pelle dei morti e piano
più piano la muta del tempo scendeva in frammenti di caglio
sul collo e sul dorso sul poco e sul tanto
lasciandoci esausti di tutti questi giorni
armati di rostro
di questi perduti a(r)mati argonauti
viaggiatori per sempre e
natali in uno schizzo colostro.
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FERNANDA FERRARESSO
…questo vostro scambio, Iole e Ferni, arricchisce tutti.
che dire di questo duetto che mi trascina .
Bravissime!
Fabia
è bello, molto bello trovare anche in prossimità del Natale questi due messaggi nella cassetta della posta; commovente la visionarietà delle due liriche assieme a quegli alberi e a quella luna antichissima.
questa è stata realmente la posta che ci siamo scambiate in questi giorni IOle ed io, immerse nel frastuono quotidiano, le grida degli annunci che danno per morto il paese la gente come fossero un campo in cui sono state abbandonate le ” culture”, soprattutto si fa scempio di una dote che tutti abbiamo ed è stata seppellita sotto cumuli di macerie, perché questo è il frutto del sistema capitalistico.ferni