Un percorso tra vertebre e segni, sonagli nelle gabbie delle parole, nelle briglie lasciate in terra sul palco di una scena, la calcinata parola sgretolatura del verbo, Es posto tra noi e il tempo, come un varco di cui siamo, noi, tutti noi, di ogni specie, porte di passione e transumanza, anche noi bestie di tragedia, drammaticamente in collisione tra alti passi, stele di stelle che sembrano lontane e ci crollano il corpo, e carambole di buio, passi su cui ci traggono le orme d’altri imperi, l’oscuro che in noi, anime dell’animale mondo, nell’arca dentro il cosmo, va seminando, dissolvendo l’ora, da istante a istante, sino all’origine. Tre, una triade in punti focali, la segnatura del delta in nodi vocali: Calandrone, Rosco, Gualtieri. E la foce noi, che stiamo in ascolto rinnovandone il corpo in un suono senza più tempo.
f.f.- 19 ottobre 2011
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Maria Grazia Calandrone
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Da Il canto della terra, samuele editore, 2011 e in “Noidonne”- M.G.Calandrone
Altrimenti io latro. Ateramente eo attòcco cum sa bucca isbambarriàda
io mando su ululato a bocca aperta. Su òriulu, su lamèntuuuuuuuuuuuuuu.
Ascolteresti con spavento la mia voce, at iscultare cum assumbru et atterrighinada mea boghe, gli articoli sbocciati come rosas de fiùmene
in una indifferenza di rapaceeeeeeeeeeeeee
il ventaglio dell’ala – vrrrrrrrrrrr
che si abbassa e fa l’ombra sempre più nera sull’occhio già nero, nieddu et tundu de la preda. Nella mia voce fiuti la paura de la preda, il battere del cuore de la lepre tum – tum – tum – tum con le vocali disarticolate tam – tam – tam – tam e la mascella spalancata a dire laxa mea vidaaaaaaaaaaaaaa…
Devi vedermi allora: una mula randagia. Un sepolcro, unu monimentu.
Io raspo gli usci delle case e ho fàmineeeeee e spingo me contra su cheluuuuuu. Corpo a corpo col cielo, stretta a rosas de pedra
senza orisonte. Rifiuto il dono. Raglio. Orrìo! hì-o hì-o ì-o io
sono il bianco eolico. Eo soe su biancore de su bentu et de hora mediana. Soe tantu tempus pria. Sono il tempo trascorso. Pedra instigata. Hora
ho la faccia iscunfitta dall’assenso. Mi è caduta
est ruìda sa màscara humana, ho le ossa esposte.
Ecce – ossos – meos. Ecce sa conca de s’anima
ecco il mio teschio, ecco
le orbite ecce circolos boidos, i seni nasali: ue tue abbàidas tue bìdet
dove tu guardi vedi
la capsula ossea de su nomine
Maria – la figlia – sa fizedda mea, ossu de jùbilu meu, osso della mia gioia, bestia
che sostiene tutta la gioia del mondo, sa bestia
qui sustennet tottu su jùbilu de su mundu.
* *
Tiziana Cera Rosco
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Da “SEGNATA E GLI IDIOTI”- T. C. Rosco
Caduta
Poi sono caduta.
Qualcosa ha rotto le vene
e sono caduta in questo qualcosa
che è venuto a spezzare le funi
che tenevano tese le apparenze
e sono precipitata per tutte le volte che ho rotto le promesse
come si rompe l’uovo al bordo del bicchiere.
Pensavo almeno ci fosse più rumore
e invece – semplicemente – non sono tra i salvati.
Non fa male ma è che a un certo punto
non è che puoi coprire un’estensione
o sei la creatura amata da prima che sbagliassi
o dopo un po’ si rompono le funi.
Queste cose le scrivo perché devo ricordarle
perché in certi giorni aver imparato a non sperare
è continuare a raccogliere quando cascano i morti
nella prima luce del mattino
zuppi del nero del mondo
li prendi uno ad uno
amati
anche l’abbandono
anche la via traversa della polvere
e appena dopo il pasto
auscultando la parete di un profondo
discorro con il posto, amore mio
come chi consolida un decesso.
* *
Mariangela Gualtieri
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Da ‘Senza polvere Senza peso’- Einaudi Editore, M. Gualtieri
Non sono capace, amore, di farti un canto.
Tu sei tutto di spine e di fuoco
e mi tieni lontana dal tuo cuore
pericoloso. Io non so bastarti alla gioia
e così poco così poco mi pare
t’incanto, sollevo quell’ombra scontrosa
che tu sei tutto d’amaro e furore
tu sei in urto e sperdimento
mio velocista, mio primatista del cuore
mio barbarico ragazzo di vento
mio torrente furioso
arrivi alla mia acqua quieta
con onde e sonagli e pepite d’oro.
Vecchio fiume saremo un bel giorno io e te,
io acqua e tu moto, io sponda e tu vento,
io pioggia e tu lampo,
io pesce e tu guizzo d’argento
io luna riflessa, tu cielo tu spada
d’Orione, tu tutto l’amore umano
che tento che tento
d’amarti per bene
mio grembo splendenza.
E tu prendimi
portami con te
come un incendio
nelle tue abitudini
*
https://cartesensibili.wordpress.com/2011/02/22/mio-vero-mariangela-gualtieri/
Quanto è importante teatralizzare la parola poetica? Non è essa stessa grande sipario che si apre oltre la narcisistica presenza del suo autore?
francesca rollo
porsi in ascolto facendo silenzio incontrando ogni parola
la voce conduce i battiti i suoni le pause il respiro i passi i passati e ritorni
la voce mi conduce per mano e posso trascorrerla come un viaggio ancora
elina
francesca: da quando esiste la poesia esiste una cosa (detta “lettura”, “reading” et similia) alla quale gli autori vengono chiamati perché ad alcuni piace sentire i testi letti dalla loro voce.
la parola nasce dalla bocca e in quella cresce anche se impianto del sentire e quindi anche mente, cuore, ventre, occhio, carne,…Ogni scrittura è parola sì-lente, in cui ogni lettore attraversa se stesso attraverso una cruna che è curva del suo occhio e tende all’orecchio ma.
In un mare di sensi e pro-celle si batte senza bisogno di avere con sè altre voci. L’altra, quella dell’autore, è diventata una sacca dei venti, in un mare di Ulisse, gli scogli delle righe, la metrica nelle onde-sillabe da cui forse fare ritorno. Penso che la lettura dell’autore, non l’elaborazione teatrale, che pure ho riportato e a cui penso si riferisca Francesca, porti il luogo dell’imbarco, la nave o i legni da cui il viaggio ha preso inizio e/o si è svolto, con una chiarezza che l’altro mare, vasto, della teatralità e della messa in scena, hanno superato per dare un’altra voce alla eco o alle pareti sonore della parola originaria,originante.Grazie a tutte. ferni
Ringrazio Maria Grazia d’essere passata e aver preso in considerazione il breve commento, fatto a monte di un ascolto in cui ciò che dominava era il contorno, più che la sostanza. La sua lettura precisa non era il tema della mia osservazione, ma il fatto che un testo poetico spesso, troppo spesso, sia luogo di recita per citare un re che è esibizione di un sé narcisista.Ogni autore legge secondo il suo vedere e porta l’acqua o il fuoco delle sue parole, che credo siano corpi e storie insieme, non solo lettere e letteratura asettica. Molte delle sue parole, cara Maria Grazia, hanno un peso così forte da premere lo sterno e spalancare la gabbia del cuore. Il teatro è altro ancora, da questa sua parola che taglia e si acquatta come una bestia nel folto del bosco eppure parla anche quando sta in un tum tum e poi ….vrrrrrrrrrrrrrr.
francesca
Quando ascolto la Gualtieri mi sembra sempre che ogni luogo si allarghi e la parola si apra per darmi da mangiare e da bere. Tutti belli questi video, li ho già visti molte volte come a ripetermi che la bellezza è qualcosa che va salvato in ciascuno di noi, perché ne partecipiamo sempre.Grazie.
Sabrina
Piaciute molto Calandrone e Gualtieri, sono infisse in terra e hanno una mano dentro la corrente del vento. Incantata dal testo riportato e ascoltato dalla sua voce netta perfetta e ferma con un battito d’osso dentro, un battito tra legno e legno. Annabelle