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In apertura di CARTESENSIBILI, dopo le vacanze estive, mi piace riportare un breve passo a due, o meglio di due, tra le onde. E’ stato Augusto Pivanti a muovere questo percorso. Gli avevo semplicemente inviato una brevissima lettura di uno scritto che lui aveva pubblicato e. E poi mi ero dimenticata di quanto avevo lasciato nel suo cassetto della posta. Lui, che come caratteristica peculiare ha quella di non abbandonare mai nulla al caso, ha raccolto quei segni e ne ha aggiunto memoria. Tutto quanto lui tocca diventa vita, luce, energia. Non fosse che non abitiamo proprio vicini, ma questo non è propriamente un problema, mi piacerebbe lavorare con lui ad una raccolta a doppia voce, mista, inserendo anche l’arte, passione fortissima che coltiviamo entrambi. Ma. Mai dire mai! Magari prima o poi ci riusciamo. Io cambio città di residenza e mi sposto verso i luoghi che frequentavo da bambina: Feltre, Fener, Quero, Vas, Vidor, Pederobba,… La strada a curve s’innesta direttamente nella luce e l’aria è già più fresca. Ah, dimenticavo, c’era anche una fermata d’obbligo, Brotto, per prendere un caffè o un prosecco, giusto all’altezza di Cornuda e poi… Ecco, sto già traslocando!
f.f. 25 agosto 2011
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Catrin Arno
TI RICORDI LE ONDE LUCCICANTI
1.
(Fernanda Ferraresso)
Mi ricordo che guardavo
le stelle un tempo e le sentivo
eterne in un cielo incombente
e lontane le sentivo oltre
la mia fine oltre la nostra conta.
Ricordo che avevo uno sguardo
lucente dentro il loro immutabile silenzio
e potevo dirle come faccio ancora
ora e da qui, da questo mio silenzio dentro
un cielo che mi è cresciuto in corpo
e non è oltre me o te, e loro,
le stelle, mi coltivano spazi d’ore
come semi di un giardino eterno in cui vivo
ogni momento l’infinito mare in cui sto
sempre immerso, corpo nel corpo
di un dio mutevole che non ha altro
volto se non questo mutare il cielo i luoghi
in cui supera il tempo.
2.
(Augusto Pivanti)
Era un gioco – sì – l’immaginare
di quanti anni fosse quella luce di stelle
che vedevamo ora – bambini – in cima
alla sera di un’estate del ’70.
E si diceva – nell’alibi infantile – che
era luce viva, che vedevamo ancora
l’esistente, il comprensibile,
il non passato, il non andato altrove.
Solo dopo – al limite del gioco, al
nodo degli anni – abbiamo colto
che quella luce era finita, morta –
che quella luce giungeva da un enorme
quasi infinito cimitero che aveva inghiottito
il tempo – tutto – restringendo la vita che restava.
Abbiamo mitigato il danno con la sola
illusione d’essere qualcosa, a causa
di parole sparse nella luce residua,
o forse più nell’ombra nascosta –
testimone e chiusa della sorte
rimasta a ricordare.
Rieccoti in formissima alle tue carte. Buon trasloco! Intanto già questo duetto è un bel viaggio: video immagine versi di un giardino di stelle, “di parole sparse nella luce residua”.
Abele