UN GIORNO PERFETTO- Ivano Mugnaini

Anna Razumovskaya

Ognuno nella vita ha un giorno perfetto. E’ una regola, una compensazione per sciagure e frustrazioni. O magari una fregatura ulteriore, perché un giorno solo non basta, si sa. E anche perché, spesso, non ce ne accorgiamo, quando arriva. Comunque c’è, esiste. Posso testimoniare, al riguardo. E a dire il vero, personalmente, mi sono accorto subito del suo sopraggiungere. E’ iniziato una mattina come tante, in apparenza. Lo stesso sole, lo stesso sbadiglio. Sono andato al campo per la partitella domenicale. Sono il portiere di una squadra di calcio di dilettanti. La sola cosa professionale che abbiamo è la sfiga. Faccio il portiere non per vocazione ma per necessità: è il ruolo meno ambito, il solo in cui mi fanno giocare. Dire che sono scarso è un atto di generosità verso me stesso. Per dirla con le parole di un poeta, “a volte sono quasi ridicolo, quasi, a volte, un giullare”. Quel mattino, però, ho parato tutto. Sembravo Yashin, Zamora. O, più esattamente, il loro maestro. Ho neutralizzato con disinvoltura tre rigori, e almeno una trentina di tiri, compresi quelli diretti nel sette e quelli calciati da non più di un metro dalla linea di porta. Il pubblico ha smesso di ridere. Sulla strada del ritorno guidavo sereno, più radioso del sole. Gli Apecar si spostavano su viuzze laterali per lasciarmi spazio nell’attimo esatto in cui lo desideravo, i semafori diventavano verdi con una sola occhiata, e i sassi smettevano di rotolare sotto le mie ruote e mutavano direzione, come se fossero stati di carta. Giunto a casa, Arturo, il mio gatto, mi è venuto incontro. Non ci sarebbe nulla di strano, certo, se Arturo non fosse il gatto più viziato e scostante mai apparso sulla terra. Quel giorno mi fece le fusa. Per qualche attimo, d’accordo. Ma l’evento epocale mi diede la forza per tentare di accarezzarlo. Arturo, figlio di nobilgatta, benché di facili costumi, si mise a giocare con me. Nell’acme del trasporto e della confidenza, mi dette un colpetto con la zampa sul polpaccio, come se fossi stato un gatto anch’io. Un istante di gioia assoluta. Mi sedetti estatico sul divano, e un pensiero, tra sogno e calcolo, si fece strada nella mente. Se aveva funzionato con Arturo, poteva riuscirmi anche con Lucilla. No, non si tratta di un’altra esponente della razza felina. Lucilla è una gatta con due sole gambe, corredate, il sabato sera, da tacchi a spillo. Le analogie con Arturo tuttavia sono molteplici: entrambi hanno occhi verdi e irridenti, pelo liscio e vaporoso, e uno sguardo ferocemente snob. Aspro, siderale. Un po’ Cleopatra, un po’ Visitor, un po’ Alien. Provai a chiamarla per invitarla a cena. Riuscii a farlo senza balbettare. Accettò. Il locale, proditoriamente denominato Hosteria, con tanto di acca aspirata, aveva prezzi da gioielleria di Saint Moritz. Lo stipendio di un mese fu aspirato e divorato in meno di un’ora. Non me ne lamentai. Quel giorno valeva una vita. Il passaggio dall’amaro alle erbe al letto di casa mia quella sera apparve naturale. Ci abbracciamo, nudi, sotto le lenzuola. Prima di baciarla le chiesi, con voce impostata, quale fosse il suo più grande desiderio. Avrebbe potuto chiedermi qualsiasi cosa quel giorno, l’avrei accontentata. Gli occhi verdi cercarono i miei e si strinsero, sarcastici, nell’attimo in cui la sua bocca si dischiuse in un sussurro: “Ti ringrazio, sei gentile, caro mio, ma non ho bisogno di nulla. Non oggi. E’ il mio giorno perfetto, non c’è che dire. La mia vita ha preso un corso nuovo, splendido, ottimale. Stamattina ho eliminato una mia collega che mi assillava da anni. Adesso ho l’opportunità di liberarmi per sempre dall’altra persona che più odio al mondo”. Guardai meglio la sua pupilla vitrea. Avrei voluto parlarle delle coincidenze della vita, della forza erculea del caso. Non lo feci. Lucilla è sempre stata priva del senso dell’umorismo. La osservai ancora. Era proprio bella. Come quella giornata. Dolce, suadente, con una lieve sfumatura agra. Una giornata quasi perfetta. Peccato per quel “quasi”, minuscolo e affilato come un stiletto d’acciaio puntato dritto sul mio collo da dita lunghe e sottili laccate di rosso. Quasi perfetta. Ma, si sa, la perfezione assoluta non appartiene a questo mondo.

4 Comments

  1. Succede, sì, e deve esserci il sole, un sole come non si era mai visto, ché sicuramente sarà poi stata colpa o merito del sole.
    Grazie a Ivano e a Ferni.
    Abele

  2. mi pare che non ci sia giorno che non sia perfetto per eventi tragici,tremendi, che vanno dall’eliminazione di posti di lavoro,spazzati come pattume, all’annientamento di persone senza armi che manifestano la loro presa di posizione contro un regime non più sopportabile. Qui, quanto è raccontato, sembra quasi un preambolo a tutti questi altri eventi, che sembrano cavalcare la scena umana delle relazioni mancate. ferni

  3. Caro Marco e caro Abele, sì, c’è bisogno di un sole speciale. Ed è vero Ferni, sono le relazioni mancate che offuscano quel sole. Ma c’è chi, lottando, resistendo, continuando a vivere nonostante tutto, quel giorno lo crea. Questo racconto è un modo ironico per riflettere sulle contraddizioni e le ambivalenze delle speranze e delle cose. Ma, se spostiamo il discorso alla realtà, veramente speciali sono i giorni di chi lotta per rendere le cose normali, ossia giuste, umane. E, allora, aspettiamo un sole nuovo, sperando che non tardi. Ringrazio ancora per l’ospitalità in questo sito di Carte Sensibili. Ciao, Ivano

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