10 Giugno 1998
Mettiti sdraiato sull’erba, il volto verso il cielo.
Guarda che movimento c’è nell’universo. Se la spassano le nubi condotte dal vento verso l’approdo dei monti più alti o nel cuore aperto di una vallata senza uscita. Guarda come le piante stesse siano toccate dalla sua mano gentile, quante foglie e quanti aghi di pino si stacchino riversandosi al suolo, quale ruotando, quale sorpreso scendendo a capofitto.
E per tutti gli uccelli non c’è che aria e colore.
Ora mettiti a pancia sotto. Tieni gli occhi attaccati al suolo e guarda quanto sia gigantesco ciò che appare minuscolo, a volte. Corre uno scarabeo verso un filo d’erba e lo travolge. Una formica nera trascina una scheggia di carta finita fin lì chissà come. Da questa parte una lumaca schiumosa sovrasta una gemma appena spuntata e qua un bruco si è chiuso nella sua timidezza e acciambella la propria paura all’ombra di un sassolino, là come una conchiglia senza mare, penzola una mosca imbozzolata nella tela di un minuscolo ragno, A tratto a tratto passano davanti a i tuoi occhi le scure scie di insetti volanti, tromboni ronzanti, rapidi violini o alti fiati musicali.
Tutto questo accade fin quando su questa vita non svetta il lucido verde di un’astuta lucertola. E tutto si spegne. Chi c’era dilegua. E siete voi soli, tu e i puntuti occhietti della bestia che vi siete visti e riconosciuti come chiodi ficcati nella stessa vita e nel medesimo destino.
Cheelì, mio Sultano, dimmi tu che nulla ignori se in questa che può sembrare una vana fantasticheria sia chiuso o no un senso profondo. Tu che leggi queste parole in una dorata stanza della tua lucente dimora, forse possiedi una chiave o forse una macchina di ferro che possa lasciare sulla carta un’impronta più netta e decisa di quanto non sappia far io. E se oggi tra quei meccanismi segreti riposa il tuo gatto più amato o la biscia dorata che porti sempre con te, io ti prego di allontanarli dai duri ingranaggi dentati, avviare la ruota, correggere intento e disegno alle frasi che ho scritto, per dar vita e inferno all’inchiostro più duraturo.
Tu che puoi, tira la fune che pende dal bordo di questo pozzo. Scuoti la rugginosa carrucola e guarda se nel fondo del secchio si stampa la luce dell’acqua o la nera carcassa di un calabrone morto lì per la troppa sete del nulla.
Da AL SULTANO CHEELI’ di Maurizio Marotta,un frammento.
http://gaetanobevilacqua.blogspot.com/2010/12/maurizio-marotta-un-frammento-da-al.html
http://tatlingraf.blogspot.com/2009/08/al-sultano-cheeli-1.html
Altre pagine di Al Sultano Cheelì
Profondità e sospensione, molto bello.
grazie ferni
abele