Non so da quali radici Iole Toini beva le linfe della sua poesia, non so da quale nervo d’aria fiorisca il suo respiro, da quale bulbo d’acqua nasca azzurra la cuticola della sua parola,viva come un baccello di passione, verdissima e densa come la natura di un giovane ramarro, schizza la sua corsa tra le erbe ed è sangue e cosmo. Non so proprio come dalla durezza pieghi e calibri il bacio della bellezza, né so in quali stagioni lo specchio dei suoi fiati cresca una foresta o disegni le correnti del magma. So che non è possibile, dovunque lei attinga la sua sete e l’acqua che la nutre, restare indifferenti al suo richiamo, dovesse curvare tutto il tempo delle montagne per giungere al satellite del nostro o(re)cchio, per abitarlo e lavorare in noi un’ancora, un pianeta, terra di luce venuta dai millenni delle nostre ombre perdute e lì, in pieno petto, sollevare in noi un cielo inaspettato.
f.f.- 19 gennaio 2010
Omar Galliani- nuovi fiori nuove anime
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VISIONE
Nulle chose ne peut avoir pour destination
ce qu’elle n’a pas pour origine.
– Simone Weil
La luce entrò nel buio.
Il silenzio era curvo sul corpo di tutte le cose,
combaciava canto a respiro.
Dentro le strade suonò l’accadimento.
I
La rivelazione era nascosta da corpi
di uomini intenti a cercare bellezza, terrore.
La terra spaccò le briglie, avanzò fra cumuli
di fumo e masse metalliche, marmi, lamiere,
torri come spade lanciate nell’aria.
Tutto era chiaro:
niente dentro il bosco,
niente fra le erbe alte del prato.
Il vuoto ruminava case, ferrovie.
La parola era nel fuoco, la bocca nel fiume,
gli occhi nel cielo e il cielo si voltava
a guardare la notte aperta sui fiori.
II
Si alzava un’aria bianca.
Salivano rocce, il vento, brughiere.
Uccelli con addosso la luce entravano dentro la pioggia.
La pioggia era nel vento. Nel vento erano auto, navi, spose.
In mezzo al petto di un uomo si aprì un lago. L’uomo
sparì sul fondo, le montagne sollevarono le cime,
gli abeti fecero corona.
Ecco, ecco!
La luce, la paura.
III
Dentro le mani delle alture, uno squarcio
lasciò cadere carne e lacrime.
L’altrove abbracciò l’orizzonte,
cinse la terra fino a farla sanguinare.
IV
Un cloppete cloppete scuoteva
i campi in lontananza.
V
La notte pulsava un fragore di schegge.
Le carni ammassate urlavano con voci di corvi.
Cinghie, folate di marcio bruciavano dentro lo spazio.
Le radici gemevano verso l’alto.
Sulle case crollò silenzio.
VI
Ma la parola non venne.
Venne il buio a falciare le teste.
Il cervello schizzò dai denti.
Il cuore continuò a pulsare fra le pietre.
Gloriosa l’aria levigò la terra,
le spaccò le reni svelando la crepa,
si addentrò nell’urlo come un chiodo
o punto esclamativo.
VII
Dolcezza e rapimento si confissero
nel cuore dei campi.
Archi di erba guairono lanciati dal vento.
La terra compariva e scompariva
in soffi e colate di fuoco.
A due a due le cose deposero forme
come chi ha molto patito e nel fragore
del buio si ricompone
– spezzato, deposto, nullificato.
VIII
Il cerchio mosse l’ombra
spargendo una forma rarefatta.
Una luce come un ago cucì crepe, tuoni.
I monti si strinsero alla sabbia, i fiumi legarono
polvere con acqua, le valli fecero corpo nelle baie.
IX
Una sovrabbondanza di azzurri era dentro le cose.
La voce suonava dai rami, mentre il buio
apriva l’aria come un fiore.
X
Ogni cosa tendeva al più vivo vuoto,
al suo eccelso scoprimento.
L’immobilità vibrò la sua cinghia luminosa.
Con un intimo dolore, ogni cosa si chiuse.
Il silenzio agghiacciò comete, respiri.
Una vorticosa fissità cadde il sé nel sé medesimo.
Tutto era nel nucleo: ordigno e detonatore.
XI
A tocchi caddero i cieli. Ciechi, spalancati.
L’enorme bocca del vuoto divorò limiti, pensieri.
La luce attraversò se stessa. Scese sul primo
pugno di stelle, come una lancia.
XII
Lì il sole distese la terra
come un agnello sull’ara.
L’erba sospese l’onda.
Le pietre non fremettero più.
L’acqua disse il blu ancora una volta.
La meraviglia, terrificante e profonda, levò una mano
come un bacio sopra una corona di rose.
XIII
E quando fu tutto finito, niente aveva più suono, nome.
XIV
Un fremito corse la terra, scosse le cose,
le sollevò come la volta di una cattedrale.
E lo sguardo ebbe forza,
si aprì di stupenda fermezza.
Gli alberi si spalancarono
il nero colò pianto sui gigli
che fecero luce come una via di Damasco.
omar galliani– altri fiori
Un’atmosfera surreale, quasi da ultimo giorno, dove gli elementi si scindono per fondersi in un magma che Iole attraversa e racconta con perizia e una certa leggerezza che rafforza la visione. Testi insoliti per chi segue la scrittura di Iole, ma sappiamo che è un’autrice eclettica che sa muoversi con disinvoltura in spazi diversi: corpo, eros, invettiva, natura ecc. (non come la sottoscritta che s’avvita ossessivamente :)
Molto belli anche il dipinto di Galliani e la nota dell’ospite.
Liliana Z.
sono molto colpita da questa voce che proviene da un regno coerente
un’osservazione nitida, decisamente viva, che si imprime nel cerchio
ti porta nel cerchio del fuoco per poi liberarti
“La meraviglia, terrificante e profonda, levò una mano
come un bacio sopra una corona di rose.”
Un pudore sciocco mi chiude spesso in un silenzio incapace di comunicare quanto mi trasmettono incontri come questo…
Le parole di Fernanda mi arrivano cariche della loro bellezza, un commento che fa poesia, che mi fa capire quanto poco basti ai poeti veri per fare nuovo ramo, per trovare -dentro sé quel nucleo potente da cui nasce il canto.
grazie fernanda.
e grazie a liliana ( anche se scrivi verso un’unica direzione, quello che scrivi è sempre poesia )
grazie anche a elina per la tua lettura e attenzione
ciao!
Credo che anche altri, come me, abbiano letto e trovato baratri di luce e vertigini senza scampo in questa tua poesia…Anche se sono passati in silenzio hai rovesciato in loro il cosmo.
Un profondo grazie da parte mia per questa vasta soglia che spalanchi.ferni
NON HO PAROLE. E’ UNA VOCE DELL’UNIVERSO, SPLENDIDA, EMOZIONANTE, UNICA