L’emigrazione veneta- Marco Crestani

I movimenti migratori di massa cominciano nella seconda metà dell’Ottocento nel corso della rivoluzione industriale. Nelle campagne povere del vecchio continente la sovrabbondanza della popolazione cerca e trova sbocco occupazionale nelle aree correnti di manodopera agricola e operaia del mondo sviluppato o in via di rapido sviluppo. L’emigrazione italiana conserva tra le sue mete principali alcuni Paesi europei confinanti o più vicini come la Francia e la Germania. Tra i tanti emigranti “temporanei” spicca una forte presenza di veneti.
In cento anni escono dai confini nazionali circa 27 milioni di persone. Di qui nasceranno molte comunità etniche, negli USA, in Brasile, in Argentina ecc., destinate a costituire, ancora oggi, la parte più consistente della “presenza italiana” nel mondo. Non è casuale la nascita nelle grandi città delle Little Italies nell’America dell’inizio del secolo, o la formazione della colonia Piemontese nel quartiere “Belle de mai” a Marsiglia , o quella ligure del “camminito”a Buenos Aires nello stesso periodo. Si vuole ricreare nelle città straniere angoli o quartieri etnici che in qualche modo ricordino caratteristiche del luogo d’origine.

L’emigrazione italiana si sviluppa a partire da aree provinciali o regionali, seguendo ritmi ben definiti. In origine ai flussi Liguri e Piemontesi si sovrappongono durante gli anni di esordio dell’esodo di massa, 1870 e 1880, quelli in genere settentrionali dei Lombardi, Trentini, Veneti, Friulani. L’ondata delle partenze diviene prevalentemente transoceanica, indirizzata verso l’America Meridionale. Questo continente e in particolare gli Stati Uniti, diventa ben presto, dopo il 1896, la meta delle correnti migratorie meridionali. Tra le due guerre le correnti migratorie continuano a vedere ai vertici: al Nord regioni come il Piemonte, la Lombardia e il Veneto e al Sud la Campania, la Calabria e la Sicilia. Con l’eccezione vistosa del Veneto, ancora in testa alle graduatorie di espatrio, il flusso migratorio ritorna ad essere in larga prevalenza meridionale dall’ultimo dopoguerra fino agli anni sessanta.

Dalla FONTE DEL MINISTERO DEGLI ESTERI ci risulta che fra il 1861 e il 1974 le regioni a maggiore emigrazione vedono in testa il Veneto con 3.300.000, seguono in ordine calante la Campania, la Sicilia, la Lombardia, il Friuli e la Calabria. Le più importanti presenze nei diversi continenti, a tutela dei valori, della identità culturale ed etnica degli emigranti italiani, perlomeno fino al secondo dopoguerra, sono stati gli ordini religiosi. Tra di essi si distinsero gli Scalabriniani e i Salesiani. Seppure in dimensione minore furono attivi soprattutto nelle grandi realtà urbane, gruppi di intellettuali-Liberali-Anarchici, attraverso società umanitarie e di mutuo soccorso, a difesa dell’italianità e delle loro condizioni sociali.

L’emigrazione all’estero creò serie difficoltà al nascente movimento operaio e socialista sia in Italia che fuori d’Italia. Il principio dell’internazionalismo proletario, infatti entrò presto in contrasto con la dura realtà della guerra fra poveri e con le contraddizioni provocate da un sistema che spesso costringeva gli emigrati a vestire i panni dei “crumiri”. Dagli anni Cinquanta, l’ultima fase di emigrazione dall’Italia, quella verso i paesi più sviluppati del Centro e Nord Europa, fu preparata da una graduale ripresa di vecchie abitudini migratorie interrotte dalla guerra appena conclusa. Fu però solo all’indomani del 1948 che, in forza di accordi bilaterali stipulati dal governo italiano con paesi come la Svizzera, il Belgio e la Francia , ebbe luogo l’avvio di un primo consistente ciclo di emigrazione operaia che imboccò la via dei bacini minerari della Francia e del Belgio.

italiani nelle miniere del Belgio

.

Successivamente con la nascita del MEC e con l’ascesa economica della Germania Occidentale, rinata dalle ceneri della guerra si verificò un ennesimo nuovo orientamento dei flussi di uscita dal nostro Paese. In prevalenza erano uomini e donne provenienti dal mondo rurale, ma destinati a trasformarsi in forza di lavoro industriale soprattutto nelle grandi fabbriche tedesche e svizzere. La vastità dell’esodo dal Veneto generò un forte contributo alle trasformazioni socioeconomiche in atto. Quindi il Veneto, dal dopoguerra al 1961, contribuisce con la quota di gran lunga più alta di emigrazione fra tutte le regioni italiane, seguono la Sicilia la Calabria e la Puglia. In Europa, per tutti gli anni Cinquanta, il lavoro nelle miniere continuò ad essere la condizione di impiego ”obbligatorio” almeno cinque anni in miniera prima di poter essere impiegati in altri settori (questa la regola in Francia e in Belgio), con esiti a volte altamente drammatici. Da non dimenticare la tragica sciagura del 1956 a Marcinelle (Belgio) dove morirono 136 italiani, dei quali 12 del trevigiano, su 262 minatori rimasti vittime.

Tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta si costituiscono le Associazioni regionali che nel Veneto assumono la caratteristica prevalente e la dimensione a carattere provinciale, anche in previsione delle regioni come istituzioni, in grado di sostenere con provvedimenti amministrativi, l’iniziativa associativa. Le prime a sorgere, anche per il forte legame delle comunità che avevano i “maschi” prevalentemente all’estero e che ancora vivi erano i legami dei primi esodi di fine Ottocento e fra le due guerre, sono state l’Ente Vicentini nel Mondo, in cui soci sono gli stessi comuni, la Provincia e la Camera di Commercio vicentina fruendo anche dell’impegno culturale dell’Accademia Olimpica. Nello stesso anno 1966, viene costituita l’Associazione emigrati bellunesi con l’apporto dei comuni e della provincia di Belluno, segue l’Associazione Trevisani nel mondo, anch’essa col sostegno degli enti locali e della Diocesi. In tempi più recenti, l’Associazione dei Padovani, Veronesi e dei Veneziani e man mano seguirono altre iniziative. Le Associazioni, svolgono e mantengono, tra l’altro, le relazioni con la regione d’origine e con le espressioni istituzionali della madrepatria all’estero. Esse svolgono, pure, attività ricreative e culturali. La realtà dell’emigrazione veneta e dell’associazionismo pone delle domande.

In generale, non sono domande di un’emigrazione povera, che ha bisogno soprattutto di sostegno economico. Le domande fondamentali sono in primo luogo quelle di tipo culturale ed è quella che porta alla richiesta della conservazione della lingua, della conoscenza delle tradizioni della cultura veneta italiana e del turismo culturale. La seconda componente, più avvertibile riguarda le giovani generazioni; le loro attività professionali ed economiche. L’emigrazione pensa di avere ancora qualcosa da dare in questo campo, al sistema Veneto. Chiede di essere concepita anche come risorsa dell’economia Veneta. Solo così, il Veneto verrà visto ,non solo come luogo della memoria, ma anche per quello che oggi rappresenta, in quanto realtà economicamente sviluppata, moderna, dotata di strutture formative qualificate, in cui si utilizzano tecnologie e produzioni che è importante conoscere, per utilizzare nel Paese di adozione.

*

http://dallaltopianoalmayumbe.wordpress.com/2010/12/27/l%E2%80%99emigrazione-veneta/

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.