Gaetano Previati- La danza delle ore
Un punto di contatto unisce Gaetano Previati e Ponchielli, le suggestioni scapigliate del Melodramma del Secondo Ottocento e il simbolismo lirico del pittore ferrarese: è La danza delle ore, ispirata all’atto terzo del melodramma La Gioconda. Fu rappresentata a Milano per la prima volta nel 1876, riscuotendo un immediato successo di pubblico e di critica. Arrigo Boito firmò il libretto con lo pseudonimo di Tobia Gorrio, anagramma del suo nome. Sono gli anni della Scapigliatura milanese: con Emilio Praga Arrigo Boito ne era l’animatore: poeta, musicista, amico e collaboratore con alterne fortune di Giuseppe Verdi, amante della Duse, per la quale tradusse i drammi shakespeariani Antonio e Cleopatra, Romeo e Giulietta e Macbeth. Il clima culturale milanese è ricco di fermenti, permeabile alle suggestioni del Simbolismo francese e alle sue inquietudini, insofferente alla letteratura ufficiale, al manzonismo, alla morale borghese. Il maledettismo bohémien attira giovani di belle speranze sulle orme di Hoffmann e di Baudelaire in un cupio dissolvi nei deliri dell’alcool e dell’assenzio. Uno spartiacque divide l’arte europea in due “anime” che attraversano la seconda metà del secolo, un doppio binario che separa due esigenze contrapposte, totalmente inconciliabili: l’adesione alla realtà e l’incapacità di confrontarsi con essa, cercando alternative in spazi di fuga di elitario e volontario esilio dal presente. Una fuga iniziata da Dante Gabriel Rossetti con l’avventura preraffaellita, di chiara matrice romantica, ad incrociare le strade del sogno e dell’incubo praticate da Baudelaire, Verlaine e Mallarmé. Da queste identità comuni europee si sviluppa la pittura Scapigliatura, rappresentata da figure di punta come Tranquillo Cremona e Daniele Ranzoni: “I colori, gli odori, le forme hanno occulti e stretti rapporti con la musica, e verrà tempo in cui si canteranno e suoneranno dal vero un mazzo di fiori, un vassoio di dolci, una statua, un edificio, come oggi un foglio di romanza o uno spirito di melodramma, aperti sul leggio”: così Carlo Dossi in Note azzurre rivela l’idea di fondo di una complementarietà delle arti, di una visione sinestetica, di una esperienza totale, di un’arte assoluta. Abbandonati i soggetti tradizionali, la storia, si dà spazio al “privato”, al minimo quotidiano. In questo percorso introspettivo tutto intimo, attraverso ritratti e paesaggi, si affacciano dubbi, fremono inquietudini, il disegno perde la sua forza strutturale, le immagini illanguidiscono, si frantumano, le tele si animano di guizzi di colori, la definizione si annulla in un incrocio di tocchi, in balenii di luci: “La scuola del futuro ha due distintissimi rappresentanti […] il signor Tranquillo Cremona e il signor Daniele Ranzoni […]. L’umanità veduta dall’occhio di que’ due artisti perde immediatamente ogni limitazione di contorni, ogni certezza di dimensioni. Le teste di bambagia, soffici, leggere, ruotano in un’atmosfera variopinta come un uovo sodo in un’insalata composta”, così il critico P. Ferrigni in occasione all’Esposizione Nazionale di Brera del 1872. La cultura ufficiale non ammette deviazioni, l’Accademia non riconosce validità al nuovo, ma la pittura del nuovo riesce a ritagliarsi uno spazio grazie all’interesse di una borghesia aperta, di mecenati generosi e lungimiranti. Nella Milano di quegli anni arriva un giovane artista, ferrarese di nascita: Gaetano Previati. Compiuti i primi studi nella città natale, per lui si aprono le porte dell’Accademia di Brera e l’esperienza dei fermenti artistici nei circuiti della Scapigliatura cittadina. Il successo definitivo arriva a partire dal 1890. Una pittura nuova, la sua, fatta di filamenti sottili, pittura di luce e di vibrazioni di colore puro, pittura di “abbagliamenti”, dove la tecnica divisionista raggiunge gli esiti più alti del lirismo. L’adozione meditata e matura alla poetica e, quindi, alla tecnica del divisionismo (oggetto di due manuali scritti da Previati: La tecnica della pittura, 1905; e I principi scientifici del Divisionismo, 1906) rivela non solo una consapevolezza tecnica delle leggi “scientifiche” del colore e delle sue proprietà, ma anche una capacità teorica del fare artistico esemplificata con chiarezza nei suoi capolavori divisionisti: da Maternità (1890) a Il giorno che sveglia la notte (1905), alla Madonna dei gigli (1894) a La danza (1908). Al pari di Moreau e Redon in Francia, Klimt e Schiele in Austria, Previati diviene l’esponente più importante della corrente simbolista, e sarà lui a traghettare in un certo senso l’arte italiana nel Novecento, passando il testimone agli artisti più giovani protagonisti delle Prime Avanguardie: “Non può sussistere pittura senza divisionismo” scriverà Boccioni qualche anno più tardi, nel Manifesto Tecnico della Pittura Futurista, riconoscendo la grandezza di Previati e il suo portato innovativo. In un articolo di qualche anno successivo (1916), ancora Boccioni::“Quando finirà questa infame noncuranza, questa vergognosa incoscienza artistica e nazionale verso il piú grande artista che l’ Italia ha avuto da Tiepolo ad oggi?… L’opera di Gaetano Previati è di una vastità e di un valore che sconcertano… Previati è il solo grande artista italiano, di questi tempi, che abbia concepita l’arte come una rappresentazione in cui la realtà visiva serve soltanto come punto di partenza. Egli è il solo artista italiano che abbia intuito da piú di trent’ anni che l’arte fuggiva il verismo per innalzarsi allo stile. Gaetano Previati è stato il precursore in Italia della rivoluzione idealista che oggi sbaraglia il verismo e lo studio documentato del vero. Egli ha intuito che lo stile comincia quando sulla visione si costruisce la concezione, ma mentre la sua visione si è rinnovata nella modernità, la concezione è rimasta, come ossatura, al vecchio materiale elaborato del Rinascimento italiano…”
Ne La danza delle ore Previati affronta un tema iconografico presente fin dal Rinascimento nel repertorio della pittura decorativa, reinterpretandolo in chiave sognante e metafisica: dodici figure femminili, le Ore, rappresentazioni mitologiche del tempo nel passaggio delle stagioni, danzano fra il sole e la terra in uno spazio cosmico, in un turbinoso sfarfallio di bagliori, descrivendo un cerchio che allude al continuo e infinito susseguirsi del giorno e della notte. La danza diventa quindi l’allegoria del tempo come legge che governa la vita e nella traduzione pittorica divisionista essa allude anche all’idea di un universo percepito come pura luce e pura musica, concetto ricorrente nel simbolismo e, in particolare, nella poesia di Baudelaire e Mallarmé. Il tema non era nuovo tra i pittori divisionisti: lo aveva già affrontato nel 1888 Giovanni Segantini in Le ore del mattino (Milano, collezione privata) e lo stesso Previati tornerà a elaborarlo negli anni seguenti in opere come il trittico Il Giorno (Milano, Camera di Commercio, dell’Industria e dell’Artigianato). Dieci anni più tardi sarà Henry Matisse a consacrargli una delle sue opere più celebri, La danza (1909), manifesto di un’armonia universale. Esposta per la prima volta alla III Biennale di Venezia del 1899, l’opera può essere datata a quel momento, anche se Barbantini (“Gaetano Previati”, 1919) ne anticipa ‘ideazione al 1894. Previati la presenta alla mostra insieme a Diva Nutrix, ennesima esercitazione sul tema della maternità, allontanandosi momentaneamente dalla realizzazione impegnativa e tormentata delle quattordici stazioni della Via Crucis, che in quegli anni sono al centro delle sue ricerche nello sforzo di dare vita a una pittura “religiosa” moderna, in grado cioè di esprimere con efficacia le inquietudini della spiritualità decadente. In una lettera al fratello del 30 gennaio 1893, Previati così cerca di descrivere la Madonna dei Gigli: «ho preparato anche una tela della stessa dimensione del quadro dato alla Permanente l’anno scorso – e la credo una trovata che farà maggiore effetto – ma non vi può essere questo senza lavoro intenso senza forma resa intensamente. Descrivere il soggetto è distruggerlo. Una madonna col bambino e un prato di gigli. Ma l’effetto viene dalla proporzione dal tono – dalla luce, da un “non so che” che, invano, si rintraccia nei soggetti religiosi del passato e che proviene dalle stesse sorgenti se pure sono arrivato a conoscere me stesso e non restare illuso dalle debolezze d’autore.» Forse proprio per queste aspettative, andate deluse, la critica espresse giudizi piuttosto tiepidi su La danza delle ore, il cui il decorativismo, apparentemente disimpegnato, sembrò voler eludere i temi più importanti della ricerca dell’artista: “troppo semplice e troppo poco nuovo come invenzione” (Vittorio Pica), “sorta di rebus con segni geometrici” (Ugo Fleres), “nebuloso e inespressivo” (Pasquale De Luca). Solo Domenico Tumiati intuisce che le scelte iconografiche perseguite da Previati in questa opera sono riconducibili a una ragione simbolista: “In mezzo a un cielo di luce, in cui le ombre sono di aurea viola, ruota il globo della terra in vista del sole. Tra le stelle e il pianeta, cingendo quest’ultimo, gira un cerchio — il cerchio della luce — origine prima della vita; quel primo cerchio che considerò Salomone insieme a quelli delle acque e dei venti. Acqua, aria, tutta la vita è frutto di luce, e il tempo è misurato dalla luce; perciò a reggere questo cerchio, quasi ali della linea, soccorrono le Ore, dodici figure indescrivibili, animate dall’ebbra vita dell’etere — dodici anime o dodici sogni — spinte come un inno di dodici strofe verso il sole. Qui si vede con quanta affinità il Previati potrebbe illustrare il «Paradiso» di Dante. Il colore giunge a spogliare la materia, e a restare pura vibrazione. Il segreto che rivela la commozione dell’artista, sta nel metodo impiegato, tenendo divisi i pochi colori componenti, e distendendoli sempre in tratteggi sottili, di forma circolare. Dalla fotosfera al cerchio; dal cerchio al globo terrestre; dall’atmosfera raggiante alle volute dei veli e delle chiome delle danzatrici, tutto disegna il circolo della luce vitale” (Tumiati, 1901). Lo spazio è indefinito, la luce è quella dell’alba “dalle dita di rosa”: la terra è una sfera che sembra rotolare per il contatto dei piedi delle ore, impegnate a disegnare nell’aria un’antica carola tenendosi ad un cerchio, il perpetuo divenire delle cose e del mondo. Le vesti fluttuano nell’aria, non disegnano i corpi ma sottraggono loro il peso, rendendole di pura essenza spirituale. Le chiome sciolte si illuminano di bagliori rossastri per la presenza del sole in controluce, i volti rivolti verso l’alto, la bocca aperta in un canto che si vede. Un canto che è armonia di vibrazioni luminose, armonia ritmica di gesti in leggerezza. La luce incanta Previati, lo affascina, lo ossessiona: è una luce metafisica, platonico medium di conoscenza, spazio dell’incommensurabile dove l’anima trova se stessa in una dimensione totale: dalla Danza delle ore al trittico del Giorno la ricerca dell’artista si precisa e si approfondisce in una direzione eminentemente lirica: De Chirico e De Pisis riconosceranno in opere come queste le suggestioni tipiche della poetica metafisica, ma ci si può spingere oltre: se il tema della luce non poteva non incrociare gli esiti della poetica dannunziana, la pittura di luce di Previati si intreccia con gli esiti più emozionanti della poesia tra Ottocento e Novecento, riuscendo nel miracolo di trascrivere in maniera visibile “l’indefinito, l’impalpabile e l’effuso” (Contini) del Pascoli di Myricae la luminosità diffusa di Ossi di Seppia,
“quand’ombra non rendono gli alberi
e più e più di mostrano d’intorno
per troppa luce le parvenze falbe”.
Ecco come la critica d’arte, quando sa essere comparativa e dentro la vera storia di un’epoca, è capace di “mettere al mondo” un artista poco conosciuto ai non cultori del genere.
elio
http://www.szecesszio.com/2011/02/07/gaetano-previati-la-danza-delle-ore-richard-riemerschmid-wolkengespenster/
La bellezza espositiva e la ricchezza di richiami alimentano e accrescono il desiderio di maggiori approfondimenti tematici: la consapevolezza che il suo descrivere sia l’avvio di nuovi interessi deve essere per Raffaella motivo di grande orgoglio.
Anna Sarcina
Molto brava, Raffaella, come sempre.
ringrazio Anna e Gian Ruggero per le belle parole, stimolo a continuare su questa strada. è bello condividere ciò che si ama. grazie