Carlo Braccesco (attr.), Trittico dell’Annunciazione, tecnica mista su tavola, 1490 ca., Louvre, Parigi.
L’attribuzione a Carlo Braccesco si deve a Roberto Longhi, tramite il confronto stilistico con l’unica opera autografa “Carlo da Milano”, cioè la pala del Santuario di Montegrazie presso Imperia. Nel 1812 Dominique-Vivant Denon, fondatore del Musée Napoleon, la acquistò dalla famiglia Fregoso a Genova, e la registrò come proveniente da un non meglio precisato oratorio e come di mano di Giusto D’Alemagna. Oggi non tutti accettano l’attribuzione del Longhi e c’è anche chi preferisce prudentemente parlare di un “Maestro dell’Annunciazione del Louvre”. L’opera è composta da tre pannelli. In quello centrale è rappresentata l’Annunciazione; nei pannelli laterali si trovano a sinistra San Benedetto e santo vescovo e a destra i Santi Stefano e Alberto carmelitano. “Apparizione d’oro e di avana, azzurro e grigio. Le carni lievemente aduste… Ori, ori: non però appiattiti sulla luce, anzi che smagliano nella luce, bruciati dalla penna nera dell’ombra. Sentimento degli ori…”: così un Longhi giovanissimo, affascinato da un anonimo dipinto del Louvre, nelle bellissime pagine scritte di getto “in una crèmerie di Rue de Rivoli” che diventeranno il saggio del 1942 su Carlo Braccesco, recentemente riproposto in un’edizione critica nel 2008. “La città nel pomeriggio torpido: una Pavia immaginaria, di ricordo? E l’angelo che sembra smartellinato da uno scultore della Certosa…” prosegue il Longhi. Del tutto in linea con i coevi esperimenti di Giovanni Bellini e di Giorgione, lo spazio interno si apre verso il paesaggio attraverso un arioso loggiato. Il pavimento a riquadri bianchi e neri anticipa di qualche anno quello della giorgionesca Pala di Castelfranco, l’alto parapetto marmoreo, elegantemente scolpito con un classicissimo fregio a girali d’acanto sembra una citazione del gusto archeologico di Andrea Mantegna nella padovana Cappella Ovetari. Lo spazio misurato dell’architettura interna, la prospettiva geometrica, il gradino in primo piano, costruiscono un ambiente raccolto, inquadrato da due esili colonnine in pietra di Loano, dal capitello corinzio e dalla base dorati, di gusto tipicamente lombardo. L’aria è vibrante di luce: dal parapetto, su cui è appoggiato un vaso in cui i garofani rossi si arricciano nell’aria, lo sguardo spazia ad abbracciare un giardino fiorito, dolci colline, un filare di cipressi e un casale in lontananza, nitido nell’aria cristallina, sullo sfondo di una città turrita attraversata da un ponte (Pavia?). Spostato sulla sinistra lo scranno finemente intarsiato in legno dorato della “Signora della loggia”, ammantata di blu: d’oro l’abito e il mantello, d’oro i capelli spartiti sulla fronte e pudicamente trattenuti sotto il tessuto. Il viso pallido, le sopracciglia rasate, la fanno sorella delle eroine dei poemi cavallereschi; distolta improvvisamente dalla lettura, interrotta improvvisamente la quiete sonnolenta di un pomeriggio di fine marzo, Maria si è appena levata in piedi spaventata dall’Angelo che scivola su una sorta di disco d’oro dal cielo. Stranissimo angelo: un paffuto bambolotto vestito di bianco, con un nastro svolazzante, che sembra essersi tolto l’aureola dalla testa per farne una sorta di slitta verso la terra. Saldamente appoggiato con i piedi al disco dorato, i talloni ben visibili, proietta addirittura l’ombra sul paesaggio, quasi un deus ex machina su uno scenario dipinto da teatro di corte. Sul capo una vezzosa coroncina di fiori rosa con una piumetta bianca al centro e il mazzo di gigli bianchi a completare il travestimento di scena. Maria alza un braccio per proteggersi impaurita, mentre con l’altro si aggrappa alla vicina colonna, come per farsi forza: la conturbatio (“turbamento”). Il disorientamento e lo spavento di Maria sono enfatizzati in maniera molto particolare, infrangendo palesemente la tradizione iconografica che voleva l’atteggiamento di Maria già “regale” al momento dell’annuncio dell’angelo. L’Annunciazione – presente nel Vangelo di Luca e, con alcune differenze nel Protovangelo di Giacomo – ha conosciuto una fortuna ininterrotta, nella pittura e nella scultura, dal Medioevo sino ad oggi, soprattutto fino al XVIII secolo. Nel Rinascimento, epoca d’oro per questo tema, gli artisti e gli osservatori erano addirittura in grado di distinguere i vari momenti dell’Annunciazione: Saluto, Turbamento della vergine, Meditazione, Umiliazione e Momento della partenza dell’angelo. La struttura iconografica dell’Annunciazione, imperniata sulle componenti dell’Angelo e della Vergine uniti da un dialogo sintetico – la salutatio e la risposta obbediente – colloca prevalentemente i due personaggi a stretto contatto e a portata di voce, oppure in due settori separati, collegati idealmente dalla posizione uno di fronte all’altro. Si viene cosi a costruire un ambiente narrativo “standard” in cui la provenienza di Gabriele evoca un “esterno” e la posizione di Maria un “interno”, evidenziando il movimento dell’uno e la posizione relativamente statica dell’altra (da Simone Martini, a Giotto, a Beato Angelico, per citare i casi più noti). In talune Annunciazioni l’Angelo e Maria sono addirittura concretamente separati da una finestra o da una lunetta. Per quanto riguarda le reazioni emotive di Maria, il testo del Vangelo di Luca ha dato origine a una vasta esegesi sui diversi atteggiamenti di Maria nel corso dell’Annunciazione. Il predicatore francescano Fra Roberto Caracciolo da Lecce (1425-1495) codificò ben cinque stati mentali e spirituali attraversati dalla Vergine: da una prima fase di conturbatio, l’iniziale turbamento di fronte all’annuncio («A queste parole ella fu molto turbata»), succesivamente alla cogitatio, riflessione («E si domandava che senso avesse un saluto come questo»), quindi alla interrogatio («Allora Maria disse all’angelo: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?”»), per poi giungere, attraverso la humiliatio («Allora Maria disse: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”») umile accettazione e sottomissione al volere di Dio, alla meritatio («E l’angelo si allontanò da lei»), cioè la fase finale dell’accettazione profonda e consapevole, della gioia e del ringraziamento. Nell’interpretare le reazioni di Maria all’annuncio dell’angelo, gli artisti hanno posto in evidenza i diversi momenti con una diversa gestualità e posizione. Su richiesta della committenza, o per scelta personale, potevano poi aggiungere alla “scenografia” tradizionale elementi poco pertinenti o spunti soggettivi, le figure degli stessi committenti (a scopo devozionale o di autocelebrazione), per esempio, come se stessero facendo delle variazioni sul tema. Mai però si era dato tanto peso alla reazione emotiva, del tutto istintiva, di una paura incontenibile, così forte da indurre la Vergine ad alzarsi in piedi e aggrapparsi ad una colonna. Le “licenze” rispetto alla norma non erano in ogni caso sempre ben viste o accettate: gli artisti stessi ne erano consapevoli, e l’arte religiosa era di per sè normativa e conservativa dal punto di vista iconografico e delle fonti. Leonardo da Vinci nel suo “Trattato della Pittura” critica quei “colleghi” troppo liberi nell’interpretare senza decoro o senso della misura: “come io vidi a questi giorni un angelo nel suo annunziare che volesse cacciare la Nostra Donna dalla sua camera, con movimenti che dimostravano tanto d’ingiuria, quanto far si potesse a un vilissimo nimico. E la Nostra donna parea che si volesse, come disperata, gettarsi giù da una finestra. Sicché siati a memoria di non cadere in tali difetti”. Tali affermazioni, se da un lato possono sorprendere in un artista molto libero nell’interpretazione dei soggetti tradizionali, sono la conferma di un sistema piuttosto rigido di regole che, quando non condivise sul piano del decor, erano sentite come opportune sul piano della più pratica utilitas. La scelta iconografica di Braccesco rappresenta, quindi un apax sorprendente: evidentemente non ha incontrato riscontri positivi nell’ambiente ecclesiastico, già restio ad accettare deviazioni rispetto ai codici iconografici tradizionali e in questo caso verosimilmente ostile ad accettare un’immagine di Maria troppo “umanamente donna”. Anche gli artisti, dal canto loro, erano disincentivati ad accettare la sfida del nuovo, quando una consolidata tradizione iconografica rendeva più sicuri successo e committenze. Ma dove può aver tratto Braccesco questa soluzione iconografica? La scena dell’Annunciazione si svolge nella casa di Maria, a Nazareth. Di quella casa, oggi, rimane solo la roccia della montagna a cui era addossata, la cosiddetta Grotta, a portare ancora qualche segno e a conservare qualche indizio della primitiva disposizione degli ambienti che videro compiersi i misteri narrati nel Vangelo. Nei secoli le trasformazioni sono state numerose e da sempre il luogo è stato centro di devozione e meta di pellegrinaggi: due colonne sono tuttora visibili all’esterno della Grotta. La più grande delle due fu chiamata, nel passato, “colonna dell’angelo” e la finestra aperta fra le due colonne “finestra dell’angelo”. Una terza colonna perforava il soffitto della Grotta e restava isolata in questo angolo del vano. I pellegrini anticamente la chiamarono “colonna della Vergine”, ritenendo evidentemente che essa segnasse il punto preciso dove stava seduta la Madonna al momento dell’Annunciazione. Per questo la colonna stessa divenne oggetto di venerazione e al suo contatto si diceva che si verificassero miracoli. Per questo molti pellegrini cercavano di strappare qualche frammento di pietra per portarselo come reliquia al proprio paese. Dopo la partenza dei crociati e prima dell’arrivo dei francescani, i musulmani, divenuti padroni del santuario, pensarono che tanta venerazione nascondesse la presenza di un segreto o di un tesoro, celato appunto dentro la colonna. Decisero così di scoprire il segreto della colonna a colpi di mazza, demolendola completamente nella parte inferiore. La tradizione vuole che a questo punto, con grande meraviglia e ammirazione dei cristiani, la parte superiore della grossa colonna rimase come sospesa a mezz’aria, tanto era ben fissata nelle murature restanti del pilastro e nella volta della Grotta. I racconti dei numerosi pellegrini di ritorno dalla Terrasanta poterono quindi alimentare l’immagine di una Maria spaventata che, come veniva loro raccontato nella Grotta di Nazareth, avrebbe cercato riparo dietro il fusto di una colonna. Un’ipotesi affascinante, che aggiunge un tocco di mistero all’innegabile bellezza di questo dipinto, poco noto ai più, ma tra i capolavori dell’ultimo Quattrocento. “Occhio fiammingo e misura italiana”, per dirla alla maniera di Longhi: l’opera rientra infatti nello stile della cosiddetta “Congiuntura Nord-Sud”, tipica della Liguria del XV secolo, dove elementi mediterranei si fondono mirabilmente con elementi fiamminghi. Si riscontrano i modi formali di un Foppa nell’arredo e nello sfondo; la sensibilità del paesaggio dei Veneti, nella luce chiara che sbiadisce il quieto paesaggio, quasi a suggerire la calura dell’atmosfera, il naturalismo fiammingo, nella resa dei piccoli dettagli, nel gusto per la ricca ornamentazione e nell’uso di oggetti reali in chiave simbolica (il vaso di garofani rossi, associati alla Passione di Cristo), il gusto lombardo (e ligure) per l’oro, che non diminuisce l’effetto realistico dell’insieme, le tendenze franco-provenzali dell’arte ligure di fine quattrocento.
L’uso della critica d’arte, in Raffaella, raggiunge risultati sapienziali oggi poco riscontrabili in altre esperienze (se penso a un nome, Cristina Campo è quello che mi viene subito in mente – e non esagero!). Se a tutto questo aggiungiamo la sorpresa che ci danno le sue “scoperte”, e il modo con cui ci spiega l’essenza di un’opera, sentiamoci in dovere di leggere, prima di tutto con attenzione, e poi di chiederle altri scritti ugualmente prossimi a questo tipo di profondità.
Detto questo, aggiungo semplicemente: “bravissima”.
Elio
sulle tracce che ha dato Raffaella sono andata a cercare le note che Longhi ha lasciato relativamente all’opera e all’artista. Devo ringraziare Raffaella per questa sua preziosa presentazione.Lascio il link che ho trovato relativamente al Longhi
Fai clic per accedere a 0304MiglioriniLonghi.pdf
e aggiungo una nota riguardanete un’osservazione sul vaso fiorito al balcone di Maria.Sembrano garofani, e non in un vaso immerso nell’acqua,ma piantati.
Profumato e popolare ovunque, come la rosa, è tra i fiori più noti presenti in occasione di cerimonie e festeggiamenti. Nativo delle terre d’oriente, ha crescita spontanea nel bacino del Mediterraneo, fu ripreso nell’arte decorativa greca e romana. Nell’antichità era considerato sacro a Zeus dai Greci ed era noto come il ‘fiore di Giove’ tra gli antichi Romani. Il termine scientifico greco ‘Dianthus’ designava, infatti, il ‘garofano’ come ‘fiore degli dei’ o, quale ‘incoronazione’, le ‘corone’, cioè le ghirlande di garofani offerte nelle antiche cerimonie sacre greche. Altre interpretazioni suggeriscono la derivazione dal latino ‘carnis’ (genitivo di ‘caro’, ‘carne’) riferito al colore rosato del garofano originale o da ‘incarnatio’ (‘incarnazione’), personificazione di Dio fattosi carne. Introdotto in Europa durante il Medioevo, fu inteso come il ‘fiore di Dio’, il Suo occhio onnipresente al quale nulla può sfuggire. Anche se secondo una leggenda cristiana sarebbe apparso per la prima volta sulla Terra dalle lacrime versate dalla Vergine per la sofferenza di suo figlio Gesù,che portava la Croce al Calvario prima di morire, mi è parso significativa la scelta qui di garofani rossi e non bianchi,segno di purezza, che si scambiavano anche gli sposi nei matrimoni.Rosa -rosso,come ad indicare appunto la carnalità dell’atto che di lì a poco si compie.f
Bellissimo, condivido e ammiro
MPia Quintavalla
ottima lettura raffaella..
L’ha ribloggato su Pittura1arte2disegno3e ha commentato:
COMMUNITY ARTISTICA CULTURALE “IL NOSTRO IMMENSO PATRIMONIO ARTISTICO CULTURALE”Google+ in connessione con ARTE.IT online MAPPARE L’ARTE IN ITALIA notizie e informazioni d’arte con scheda personale profilo: http://www.arte.it/profilo.php INVITO in Allegato: IL TRITTICO DELL’ANNUNCIAZIONE 1490-1500 MUSEO DEL LOUVRE PARIGI ,FRANCIA . CARLO BRACCESCO 1478-1501 MILANO LOMBARDIA scheda informativa e descrittiva con mappa e collegamenti e in Allegati : Affreschi dell’ ORATORIO CHIESA SS. ANNUNZIATA, DIANO MARINA, IMPERIA, LIGURIA ,CORDIALMENTE,pittrice Susanna Galbarini profilo personalizzato con collegamenti e connessione , click grazie: https://plus.google.com/+SusannaGalbariniartista