ILIO BRUCIA
è una veglia funebre.
ILIO BRUCIA
è l’atroce insensatezza dell’alba prima della battaglia.
ILIO BRUCIA
è un disumano grido di guerra da un coro di uomini senza cuore
ILIO BRUCIA
è il nostro corpo la nostra casa che scompare
“ …la guerra modella l’uomo a sua immagine” e niente lascia. Solo tracce incancellabili
**
ILIO BRUCIA
è una veglia funebre.
I
Io la vela gliela cucio con la bocca e
con l’amo la rivolgo ai venti che mi turbinano il petto
qui dove nasce una primavera di neve bianca
fiori di mela e di ciliegio il mio quaderno delle date inoltrate
un giubileo una transazione tra la fine e questo oggi
ancora pieno di incisioni e formelle
nel legno secco nel mio ventre vuoto.
*
II
Oltre il senso di vivere
che ancora non conosco
oltre il senso del morire
che nessuno condivide con nessuno
oltre il senso dell’essere
che si traduce con avere
oltre i sensi che mi tradiscono
dal giorno in cui forse sono nato
cosa e dove è casa mia?
E
posso andarci?
*
V
me ne stavo come un fagotto marchiato
dagli escrementi assediato come un fortilizio
pronto a crollare.
In quel lezzo qualcosa della morte sfaceva
i fili del corpo, la favola incancreniva.
Non c’erano bozzoli
le farfalle erano larve
che già dalle carni
non più mie la propria producevano.
Abbandonate a quello dell’inizio
l’ abito: uno stare teneramente orribile
la croce, fissione di una vita ai chiodi di altre
irriducibile forza di un amore fatto di terra e riproduzioni.
**
ILIO BRUCIA
è l’atroce insensatezza dell’alba prima della battaglia
IX
E tutti camminano.
Camminano in questo
mondo di vetro
che s’incrina ad ogni visione
si frantuma ad ogni ascolto
si allontana da ogni contatto
si assottiglia ad ogni rinascita
nei sensi si perde
in ogni deserto pensiero
*
XII
Il mio popolo di turbine.
Roccia diffusa e–
rosa.
Solitari.
Brillanti.
Paradisi inclinati.
Incrinati rossi inferni permutanti.
Questo mio sangue.
Popolo della terra
In mille grotte faglie grida.
Uccelli lampi
Luci del mare che abbaglia.
Là dove tutto nasce.
**
ILIO BRUCIA
è un disumano grido di guerra da un coro
di uomini senza cuore
XIII
Bruciano
I libri
Bruciano
Gli uomini
Accendono la miccia
Spargono le ceneri
nella nostra memoria.
*
XIV
“La memoria è memoria del passato, memoria del presente, memoria del futuro.” S.Agostino
Lo avevo studiato da giovane ma ora era qualcosa oltre le pagine, che mi rileggeva e leggeva dentro quelle memorie cercando dentro me le pietre per costruire, scandire, unificare in un solo tempo la coscienza. In quel continuo la memoria diventava il mio luogo, l’identità di un soggetto, che ancora non ero riuscito a vedere e sapevo che, senza di essa, mi sarei irrimediabilmente perduto.
Un animale che ricorda annusa la terra il vento per sapersi? Per riconoscersi?
Strato su strato dentro e sopra questo mio corpo, le sensazioni, le umiliazioni, ogni difficoltà, i piaceri e i mancamenti hanno fatto di me un abito, che la memoria ha intessuto intessendo la mente, sino a costituirla come forza, identità, gesto, rampino sul mondo e domin(i)o della sua complessità. Me-morìa. Tratto per tratto morirsi, andando in altri luoghi costruiti tra il tempo e la mente. Un corpo paese, un es piccolissimo presso la sua identità più estesa. Il teatro temporale di ogni memoria. E’ là che confluiscono in competizione continua le più diversificate correnti: disperse in uno sciame le emozioni, nel flusso di maree soggette ai moti della luna i pensieri e tra le rapide scosse dei sismi i nervi innescano i ritmi delle viscere, strappano e allungano i muscoli alle lance dello scheletro, scoccano le frecce dei geni.
E molto oltrepassa il molo, oltrepassa la soglia della coscienza. Dimenticato, assopito, adombrato, innestato nei muscoli come radici per terra.
Se i semi nascessero la mente soccomberebbe?
Sotto il peso schiacciante di questi flussi il mio corpo ha memorizzato sempre in costante presa diretta nella mente e nella carne ha trattenuto quanto avveniva e ancora entra nel corso della mia vita: un’esistenza a misura di stelle. Anni luce di visione attraversandomi gli occhi e la pelle mi sono venuti dentro. Imponendomi cascate di universo hanno scaricato alle bocche limitate delle dighe del mio cervello bombe ad orologeria avviluppandovi atomi di volti, ricordi di un modestissimo passato, nuclei di disposizioni mentali, amici, parenti, gente che passa, animali, cavalli, colli, occhi. Come un ultimo esito recente di aggiustamenti biologici imposti dalla storia:evoluzione del genere umano.
**
ILIO BRUCIA
è il nostro corpo la nostra casa che scompare
XVI
La tela è un’orca
Studio dall’alto
il lavoro finito
è una misura di cartone telato
t(r)enta la lunghezza per una larghezza esagerata
in cinquanta cubiti di colore
bianco il titan(i)o
nell’oc(r)a decanta il suo chiaro
giallo di un sole appassito
bruno, quasi un van dyck
in un azzurro reale.
Senza simmetria: bandita la linea diritta
Retta resta solo la morte
nei limiti del campo
il calcio di un tuono estende un vano di vento
e va come duna del Sahara
nel libro di sabbia che accumula il tempo
agli avanzi di spazio una nube di aghi
polvere bianca nei gialli dell’ora fendente
chiara nel vano di un gesto abbandonato alla tela.
Porta l’opposto
riga il gesso dell’area il rigore della vista
lanciata in manciate di sguardi di sbieco
Diagonale grottesca attraversa la muta delle stagioni
il fango e l’ombra delle terre emerse
bruciate da ogni inverno che torna in questi stazzi
regno di luci pascolanti e ombre proiettate dalle foglie
a caccia di primavera spiando già da quelle
piccole coralline le tessere dell’estate il tappeto intarsiato nella polpa succulenta
di un’india nostrana, erosa dai rossi
vermiglioni di porpore e t(r)oni del cadmio
l’outunno del tempo che sconvolge i pensieri in folate di fogli e cartocci di bruni
Un muro la cinge di un grido continuo
la soma dei grilli assommati a centinaia di urli
il profondo dell’eco:
bambini che scappano dalla scuola dei giorni
il lungo, protratto, intatto colore della gioia.
Bianco latteo la curva dell’arco accende di luce l’ocra
Antica un’ocarina impone le sue note di tela
Celata resta l’insegna la rosa il regno dell’ombra
l’involucro del rosone è un cuore di mistero e solo
un soffio una brevissima impercettibile corrente
lancia scaglie d’aria
altrove ovunque.
*
XVII
Ho piantato tutti i suoni della voce
in un piccolo orto
ma gli uccelli
li hanno scambiati per semi o radici
e
non è sbocciato più alcun fiore di parola.
E’ stato così che dentro il silenzio
ho rimesso il cuore
ma non è uscito altro che una talpa
cieca e sorda e non mi ha riconosciuta
quando sfiorandola le ho scritto il nome sulla schiena.
**
“ …la guerra modella l’uomo a sua immagine” e niente lascia. Solo tracce incancellabili.
XVIII
oltre non vedo nemmeno me stessa
mi sono abituata a scavalcarmi
oltre non c’è nemmeno una lampada da accendere
la mia è una cecità profonda
*
XX
quante inutili vanità ci portiamo appresso e ci precludono il piccolo salto dentro noi stessi
noi che ci crediamo così utili,così disperatamente sempre lontani persino da noi stessi
nemmeno più animali
carte e inutili scritture ci scricchiolano sotto i denti
parole che non saziano,mai, che non si lasciano sgravare del futile
inganno che in loro coltiviamo credendoci scaltri, mentre alla fine restiamo
zoppi e mutilati d’ogni verità
di niente padroni, solo predati.
*
XXIII
nascere è (af)fermare il tempo
da qualche parte lo spazio
nel rosso del sangue
si fa cometa e crea uno sciame
nell’oro di ogni istante
miele nel favo di un corpo
la nostra casa
da subito
per sempre
e
non ha i confini degli occhi
né quelli del cuore
ma un battito
inesausto
ampio quanto un’eternità.
Ogni attimo ci è natale.
*
XXVIII
E noi crediamo che parlarne regga lo strazio
Crediamo che lasciare oltre la nostra bocca lo schifo e la paura dell’atrocità di vivere
ci permetta di nasconderci in una riga di nero, che l’inchiostro copra
la macchia che ci oscura il sangue
noi pensiamo che un pennino di latta riesca
a trovare le risposte quando nemmeno la domanda
riesce a raggiungere un bersaglio
noi abbiamo frecce senza punta e senza acume
noi siamo solo silenzio nel silenzio
*
XXX
E non nasconderti
dietro la volontà di un dio
nel tuo deserto ogni miraggio ha luce di miracolo.
E non tenere in mano la stessa pietra
per scrivere la legge e scannare tuo fratello.
Riluce l’argento nel midollo di ogni gente
Verde chiaro come linfa di una pianta
in te e in ogni altro rischiara
più della luna la notte
di tutti i soli mostra una certezza comune.
E’ un vuoto di memoria la tua sovranità
si perde nell’incompleto credo che esibisci per accrescerti
nel cero di un potere che è attimo
lo stesso imperfetto dell’essere
primo di ogni specie.
*
XXXI
in questa terra senza uguali
noi venti
soffiati dal recinto
nel buio nelle profondità della luce
noi caduti sulla pietra e sull’erba
aprendo un varco dentro la carne della madre
noi che abbiamo visto farsi sabbia la vita
dimenticando di stare di guardia al mutamento
noi
ci siamo fatti involucro
un limitato confine di noi stessi.
La luce non è che tempo al passato
un precipitato universo.
Se è dalla luce che veniamo
è un’anteriorità
il grumo il fossile lo spaccato
e noi esplosi viviamo
con l’ampiezza quella deflagrazione. Stiamo
dentro il geode di modeste parole
a spillarci gli aghi dei pensieri
*
XXXII
Brucia Ilio è perduta.
Di ora in ora la notte riproduce
tutte le sue moltitudini di inganni
Ma lo hai pubblicato? Se si mi dici dove lo trovo? Ho cercato in rete ma non ho avuto alcun risultato.
Un testo che immagino abbia tanti percorsi,qui si intravede solo una parte,penso di quelle luci che esplodono qui e là nel percorso.Davvero mi hai sorporeso.fammi sapere per favore.Anna Mela
No Anna, non l’ho pubblicato.E’ leggibile solo qui e in parte.Temo che prenderà anch’esso le fiamme!Scusami del ritardo con cui ti rispondo,vedo solo ora.Sono impareggiabile,ma non lo avevo proprio visto.Scusami.f