Si tratta di un componimento già edito: Mauro Sambi, L’alloro di Pound, Poesie 1994-2009, Altre Lettere Italiane/19 Collana degli autori dell’Istria e del Quarnero, EDIT, Fiume, Croazia, 2009, ma, come capita, di difficile reperabilità e quindi meritevole di maggior diffusione.
Ho chiesto personalmente all’autore di inviare il libro e il file da cui ho scelto questo componimento eponimo. Mi piace molto questa sua Venezia vista con gli occhi di studente povero che viene da Pola.
Mauro Sambi è nato a Pola nel 1968, attualmente risiede in provincia di Padova e lavora come ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Chimiche dell’ateneo patavino.
Penso che, invece di ulteriori note di presentazione, sia il caso di leggere il testo, come se ciascuno di noi lo accompagnasse lungo il percorso che ci indica.
Marco Munaro– 21 settembre 2010
L’ALLORO DI POUND
I
Superata la Madonna dell’Orto
verso Oriente, un arco apre alla laguna
e a San Michele. L’isola dei morti
ferma l’occhio −se la notte è di luna−
che voglia avventurarsi all’orizzonte.
Ma la notte è di nebbia, è nostra, è spuma
d’eterno su noi prossimi sul ponte;
l’illusione d’illimite fortuna
vela i cipressi dietro all’alto muro.
Il presente risplende. Un bacio punge,
affiora, prende tempo, non s’invera.
Seguiranno gli anni di poca terra
e di pochissima acqua, le lunghe
attese di una breve fioritura.
II
Nei miei girovagari estatici di studente povero,
tra chiese minime, vecchi squeri, calli impolverate
dove garrisce il gran pavese
delle lenzuola stese ad asciugare,
di rado qualcuno m’accompagnava.
Venne una volta mia madre.
Durai qualche giorno −ma con successo−
a smussarle il pregiudizio
radicato nell’infanzia più remota
sulla città triste e sul fetore dei canali.
Bella come sempre, anche nel vestito comodo
scelto per la lunga passeggiata,
a un tratto pretese una fermata a San Michele.
Mi piace −disse− la pace dei cimiteri.
Ossia: la commovente elementare trascendenza
della gente che per troppe fatiche non sa
il lusso di pensare altrove
la propria transitorietà.
Dopo un’ora indugiavamo tra lapidi e fiori.
Al Camposanto dei Greci rendemmo omaggio
a Stravinskij e alla moglie Vera.
(Nel recinto evangelico Brodskij ancora non c’era,
ancora negli occhi aveva
l’acqua-tempo-cristallo-lacrima
di un estremo margine di Dorsoduro.)
Sono due marmi semplici a ridosso del muro
dove spesso −e anche allora− una mano amante posa
il perfetto omaggio di una rosa,
− così come ai Frari molte rose ringraziano
per il Vespro della Beata Vergine −
quasi a voler significare
ch’è forte l’amore come la morte
per quelli che lo sanno suscitare.
Giungemmo infine al sepolcro di Pound.
Ci colpì il confuso ammasso vegetale,
l’effetto surreale d’abbandono e di rigoglio
che la Natura inscena a ribadire il suo primato.
Al centro campeggiava un alloro prepotente.
È questo dunque l’esito
−già tra me e me
cominciavo io− di una vita tragica e geniale…
Ma fui interrotto
dal buon senso eminentemente pratico
della donna che regge e governa il mondo:
rapida mia madre staccò
due foglie d’alloro lucenti
e con un gesto largo della mano
le pose in un anfratto della borsa.
Ricorda −mi disse− a casa ci attende il pesce.
Ne avrebbe fatto un pranzo magistrale,
purché ci fosse stato il prezioso aroma.
Tornammo in silenzio all’approdo presso la chiesa.
Non cresce più l’alloro. Fu tagliato anni dopo,
quando La Ruggi raggiunse Ezra Pound[1].
***
Sempre con un filo d’ironia col ricordo si rivà
alle carni candide e saporite delle spigole,
che per grazia dell’alloro avevano fatto loro
qualche atomo dei Cantos e del Trattato di Armonia
− e forse un’ombra di follia di un mondo alla sua fine.
Il senso scatta là, dove le cose
ultime riconoscono le prime.
Fu, in effetti, un pranzo memorabile.
III
Il poeta come Dafne mutato
in alloro trova vie inconsuete.
E forse sulla scena del teatro
immenso, lungo i sentieri segreti
che tramutano la polvere in vita
incessantemente, e la vita in polvere
nel cono di luce stretto dell’essere,
(disfatti noi in oblio, disunite
le cellule che −“io”− e −“noi”− e −“mai”−
articolarono in sillabe e senso,
nel passato irrevocabile ormai
chiuso ogni tremito, ogni moto spento)
forse su quella scena di noi due
entro due corpi l’uno all’altro offerti
si riconosceranno due lacerti
e rivivranno nella loro luce.
Dolcemente, come dopo l’amore
le carezze che sanno il ritmo lento
delle maree per sciogliere il furore
della vetta, troverà compimento
alla salita che qui è senza meta
− nella gioia perfetta del discendere −
la sete di te che nulla disseta.
In due corpi dopo l’amore splende
l’esito necessario e impossibile.
***
Così sogno io, che vivo
di poca terra, di pochissima
acqua, aggrappato alla roccia
arida e bianca che il mare
morde con furia feroce
per lunghi mesi dell’anno
verde inappariscente
offerto alla sferza dei venti
al sale delle correnti
finché a giugno breve parentesi
venga la fioritura
un pianto giallo di gioia
un grido folle e puro.
È grazia inesprimibile
se prima che stinga e muoia
l’aria prospera di pollini
feconda altro futuro.
(giugno 2004)
[1](2 ottobre 2007): Sono ricomparsi tre giovani allori sulla tomba di Olga Rudge e di Ezra Pound. Josif Brodskij riposa a pochi metri di distanza.
*
Riferimenti in rete:
“Sempre con un filo d’ironia col ricordo si rivà
alle carni candide e saporite delle spigole,
che per grazia dell’alloro avevano fatto loro
qualche atomo dei Cantos e del Trattato di Armonia”
Un omaggio sentito ed ispirato, l’eleganza degli endecasillabi all’inizio si aprono a un canto lirico e puntuale.
complimenti e grazie per la proposta
Abele
Il senso scatta là, dove le cose
ultime riconoscono le prime.
*
troverà compimento
alla salita che qui è senza meta
− nella gioia perfetta del discendere −
la sete di te che nulla disseta
*
l’esito necessario e impossibile.
*
prima che stinga e muoia
l’aria prospera di pollini
feconda altro futuro.
*
c’è una continuità degli estremi, una lucida follia dei contrari che si fanno contatti di una corrente necessaria, a cui è impossibile opporsi.La resa, solo la resa, si fa prospera di un futuro di pollini, di altra vita, come la vita non trovasse altro modo per dissetare la sua sete che bersi e bersi e.Questo l’esito necessario e impossibile.
Grazie a Marco e a Mauro Sambi che, visto che abitiamo nella stessa città, mi auguro di incontrare, magari anche per un caffè. L’ Istituto in cui lavoro non è lontano dal suo.Anzi, stanno praticamente uno di fronte all’altro.ferni
Cari amici, ringrazio Marco per avermi convinto ad affrontare questa “prima volta” in rete dopo 16 anni di scrittura e per le belle parole introduttive; grazie ad Abele per i complimenti e a Ferni per il suo penetrante commento – a lei suggerisco di chiedere a Marco la mia email, così mettiamo in cantiere un caffè qui vicino.
Segnalo infine, tra i riferimenti in rete, che l’indirizzo web dell’EDIT di Fiume non è (ancora) editfiume.com (il nuovo sito è in via di allestimento), ma http://www.edit.hr/editoria/collana1.htm
Un caro saluto a tutti!
Grazie,lo farò sicuramente. Ci sentiamo, anche per altre collaborazioni:ci farebbero senza dubbio felici. ferni
Un libro di una compattezza monolitica, che raggruppa silloge gia’ apparse su riviste e antologie. E’ un autore da diffondere e far conoscere. Senz’ombra di dubbio uno dei piu’ bei libri di poesia che io abbia letto di recente.
sto leggendolo con attenzione e non posso che ammettere che il carattere fondante di questo testo è la compattezza, ma anche una lucidità che sa, attraverso traduzioni illuminanti,aprire varchi dentro la parola,usata come luogo (logo) dell’incontro. Muta la parola, si fa segnaletica: dirige lo sguardo e acuisce la sensibilità, la percezione.Chiama e richiama la tra-dizione, costruendone una propria, una dizione scelta con precisione, capace di fare luce, anche in angoli dell’interiorità.
Ringrazio Mauro Sambi, incontrato tra gli istituti in un momento di pausa comune qualche giorno fa, per il dono di questo suo viaggio, per tutte le tappe che in esso sono rigorosamente ma anche finemente segnalate, abitate, vissute e ospitate nella sua, ora mia, nostra memoria. fernanda