Continuo a seminarmi
nella carne mi dissemino in tutte le parole.
Le uso per vestire la mia cruda paura di trovarmi.
Mi partecipo in ogni io che accende
una visione fatta di limite e scoria
mi precipito in metronomi di tempo e desiderio
sfuggiti all’ inesausto vagheggiare un luogo
l’ incontro
l’altro
fattosi a un passo dal mio sogno
e ancora non vedo
compiersi in me senza distanza.
Nel calice
nel fiore della grazia
sconosciuta ancora attesa
la vita greve è abbandonata per strada.
Senza più via
esiste un ritorno a me stessa?
.
f. f.- inedito- 2008
Joanna Chrobak
Narrano che proprio fuori simili odissee di carte, progettate a tavolino; da tali labirinti impossibili a sbrogliarsi, si nascondano terre promesse. I timonieri le chiamano anche sirene o chimere.Ma non è certo più di un sogno da marinai. Per noi, gente di terra, non è lusso che possiamo concederci.
Ci costringerebbe infatti, e questa volta sul serio, a divincolarci per uscire dal bosco, quello stesso che noi, da giovani botanici coglionazzi, abbiamo piantato e che ora è cresciuto giusto il tanto per darci l’illusione di perderci.
Ci costringerebbe a stracciare ridendo le rotte verso Itaca o almeno a tentare con tutte le forze di farlo.
Ci costringerebbe a non prender più i vecchi sentieri, comodi e ben conosciuti, sentieri d’onde che portano a Tarsis, la capitale di nessun luogo.
noi siamo così poca cosa al confronto del luogo che abitiamo e delle relazioni a cui è soggetta, che niente resta come segno duraturo. Il fatto è che guardiamo troppo, troppo vicino e non vediamo dove stiamo,ci sfugge la parte fondamentale:tutto ciò che ritorna e di cui non abbiamo memoria.
Se ci manca la memoria e il ricordo, facciamone un’arma: potremo rivivere le cose come non incrostate dall’ovvietà dell’intelletto.
La memoria dice “Già visto, niente di nuovo”. Invece non esiste niente di già visto. Nessun passo è stato percorso due volte. Nè da noi, nè dai nostri noi-stessi che portiamo nella memoria, come maschere appese alle pareti.
ciò che dimentichiamo è che siamo un solo uomo fatto di milioni e milioni di altri, e questi non sono solo uomini, da millenni.Forse è proprio questo, che ci impedisce di memorizzare come invece fa un semplice osso, o un dente o una pietra, un grano di sabbia,un fotone, un atomo, di cui siamo impastati
Dove nasce la poesia? Forse avevano ragione i greci, ci sono Dei, fuori di noi, che la ispirano; forse ha ragione Gibran, è l’anima del mondo intorno a noi e in noi; forse avevano ragione i romantici, è passione e ci spinge nel mondo e ci chiede di vivere; forse è costruzione, archittetura e pensiero. Forse.
fiume tempo,fiume del tempo o nel tempo, e mare o a mare, nella declinazione di molti verbi, senza mai avere una scintilla di vero. Spinge standoci davanti.Grazie,ferni
la parola ci avvicina al nostro limite
infatti non coglie che una “faccia” e sempre superabile
collega i momenti, ne fa trame affascinanti ma è poca cosa davvero
resta la condivisione, l’ascolto per farla vivere e la semplicità con cui porla a contatto con questa realtà difficile, controversa e da vivere appieno
Elina