A volte le cose, le storie delle cose e della gente che le usa, sembrano a prima vista, al primo ascolto, starsene lontane, sembrano sull’orlo di un pozzo pronte a sparire, a restare sommerse. Poi, se ci fai caso, sembrano invece avere sui bordi del corpo, degli incastrarsi con cui l’una nell’altra, con una precisione millimetrica, si saldano pur consentendo il movimento. Se ascolti e guardi bene, c’è addirittura la tolleranza necessaria affinché gli ingranaggi di una ruotino con quelli dell’altra e tu ci sei perfettamente alloggiato, nel corpo di quei suoni, di quegli odori lanciati, esibiti per strade che stanno dentro il reale e non nelle tue fantasie, come credevi. Sono loro, quelle cose, a governare il metro di terra che si è. E, dentro, tra quei pugni incassati dalla sorte, nei battenti dei mercati del tempo in cui, abbandonati, vivono i miti, noi, o quasi tutti noi, abbiamo il potere, perché di questo si tratta, di precipitare il tempo, l’ordine con cui lo percepiamo, il tempo ordinario, e partecipare alla rincorsa, della fuga, l’oltraggio, della sconfitta, la disfatta che sembra essere sempre la nostra vita.
t.f.-chiesa S.Martino e S.Severo
Dentro i borghi di poesia, nelle maleparole della disaffezione e della disdetta, nella casa dello sgombero che è il corpo, un paese di in-visibili percorsi, trovi che scorre vivo un fiume, ed è sacro il suo pronunciamento, anche quando sembra prenderti per il culo, anche quando sembra portarti a fondo. E’ là, precisamente in quel muro di rovine, in quel rifiuto lasciato per strada, nell’immondizia, nel tuo esserti negato di vivere compiutamente, che arrivi a toccare la sostanza di ciò che siamo, dentro cui ci arrabattiamo combattendo sempre e solo noi stessi. In noi tutte le forme, in un corpo solo, sono sempre corpo d’altro, d’altri.
t.f.- Ingresso Museo delle Acque
Vengono per il pane, e sono ombre, vengono da sempre per la vita, rammentandoci di ricordare che dentro se già intrufolata la morte. Da subito. E non ci resta che subirla o camminarla, lavorarla proprio come un pane, come quello che Cristo diceva essere il suo corpo. E poi c’è da mangiarselo, quel pane, il corpo della fatica, le piume dell’angelo di così tanti cristi spersi nella corsa. Il fiume, quel fiume, non ha acque tranquille e spesso è fatto di melma, proprio come la vita è impastata con ciò che è abietto, sporco, truce, truculento, ma vivo e salta, si solleva, batte, porta il peso, alla pari di come salta, sbatte la lingua in bocca e il dialetto porta i pesi del senso, del nostro andare in terra sulla terra che è ogni uomo, ogni cosa.
“Parli in dialett parché dumâ in dialett/se vede tüta la merda che gh’è dent”
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t.f.- Edoardo Zuccato
Ha scritto tempo fa Luigi Bressan, in un commento alla presentazione di Ulona: – …Sembra che le immagini si sprigionino, a getti, a intrecci, da un fuoco della coscienza cui si rivolgono la memoria, la visione, lo sguardo sul presente, l’attesa. Una sorta di ciclo dell’anno – dilatato alla storia – sale a prendere forma dagli umori della terra, dei luoghi, delle acque, via via popolati da un’umanità antica e recente, attraversata da icone del passato (Porta) coi loro stemmi appesi a una disincantata attualità. E il teatro si costituisce dalla materia linguistica, dentro il racconto corale di personaggi non preordinati ma come riemergenti da una tradizione convocata per libera testimonianza.
t.f.- L. Caniato
E ci sono voci, anche qui a Crespino, che sembrano affollare la bellissima piazza, e i muri pare si alliscino lasciandosi attraversare da schiere di persone, le stesse di cui Caniato e Zuccato hanno riportato memoria. A volte rotte, a volte dure, dirette, forti, urlate, digrignate tra i denti, masticate insieme al pane, sono voci entrate e mai uscite dal comune labirinto che è la vita di uno dentro quella di tutti e di tutti in ogni singolo. Caniato attraversa, parole e storia, borghi e città, paesi tenuti insieme dalla traccia labirintica dei ricordi, versandosi egli stesso, per le strade, i ponti e i porti, perché tutto questo è ciò che è vivo in lui, è acqua del fiume, che non ha ancora ceduto l’onda alla quiete e batte alla riva.
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t.f. -Luciano Caniato
Ci sono ambientazioni dantesche divine e luciferanti bagliori, in entrambi le raccolte, c’è una durezza, che non riguarda le cose, anche se di questo pare rivestirle il poeta, entrambi i poeti di questa serata, ma la durezza degli uomini, e la loro parola, quando canta, proprio come il rituffarsi in acqua dell’acqua, è sogno, divinità che si sostanzia. Ci sono cristi inchiodati a quelle parole, come fossero pietanze da coltello, tagliano la sostanza della carne con una sola (es)pressione della lingua.
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t.f.-Marco Munaro
E’ una grande scena, quella offerta da Zuccato e Caniato che dalle acque di un fiume, finisce per incunearsi nel labirinto delle tante vite che incontra, si apre sulle nebbie e sulle acque di un corso di storie che ti passano dentro le ossa, ti fa marcire i pensieri o li germoglia, e ingarbuglia alle reti dei letti anche le stelle, cadute dentro i sogni senza chiedere un centesimo in cauzione. E il vuoto non è a rendere. C’è il mito e la storia delle contraddizioni umane in entrambi le raccolte, proprio come in questo piccolo borgo, sul fianco del Po, fiume che di morti e nascite ne ha viste molte proprio come Ulona. E anche qui, lo vedi dalle architetture, ci sono storie rimaste aggregate, che a tratti ti vorrebbero dire tutto ciò che è stato, e altre invece soffiano un passato che, forse, era rimasto attraccato alle rive del fiume, o tra le golene. A Crespino, questa sera, il Po sembra essersi coricato tra le sponde verdi dei pioppi e la popolazione, che di poco supera i duemila abitanti, sembra essersi dileguata , dietro case che sembrano quinte di una scena da set cinematografico. Già ne hanno girati di film, proprio qui, dove ci troviamo adesso. Siamo arrivati attraversando una campagna che brillava i suoi ori, come nemmeno una pala d’altare raccoglie e stavano lì, in terra, intervallati a verdi profondi, respiri, carpini e pioppi schierati, quasi appostati sul corso del fiume, il Po, animale intossicato, inquinato come noi, dall’incuria e dai tanti misfatti delle industrie che gli si sono attaccate alla costola viva e ne divorano la sostanza. Una grande piazza, nel cuore del paese, piazza Fetonte, sembra voler accendere questo posto fuori dal mondo, con luci sontuose, degne di una reggia o di una fiaba.
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t.f. – “…sul lato lungo della piazza c’è la casa di Hansel e Gretel”
C’è, di lato, sul lato lungo della piazza, una casa con due torrette merlate ai lati, in perfetta simmetria, che ricorda una casa delle fate, se ci fossero i biscotti incollati sopra, potrebbe addirittura essere la casa di Hansel e Gretel. Ma questa è una mia divagazione perchè, vengo a sapere più tardi, dal sindaco di Crespino, che apre la serata al Museo delle Acque, che una delle grandi leggende, riguardanti il paese, è infatti quella legata a Fetonte, una figura della mitologia greca, raffigurato anche nel gonfalone del Comune. La leggenda vuole che il giovane Fetonte, per vedere se Apollo fosse veramente suo padre, lo preghi di lasciargli guidare il carro del Sole. Fetonte, figlio di Elio e della ninfa Climene,era stato offeso da Epafo, il quale sosteneva che il giovane, non fosse figlio del Sole. Fetonte, in lacrime, per l’insulto subito, supplica la madre Climene, di intercedere presso il padre perché gli conceda il permesso di guidare il carro. Fetonte, bramoso di dar prova del suo valore, balza sul carro e senza ascoltare il padre, comincia il suo volo. I cavalli s’imbizzarriscono, si avvicinano alla sfera terrestre, provocando disastri, incendi, e siccità. Per evitare la distruzione della terra, il giovane Fetonte va fermato, e per fare ciò Zeus, padre degli Dei, gli scaglia contro una saetta, catapultando il giovane dio nell’Eridano, l’attuale Crespino sul Po, poco lontano dall’inizio della foce. Subito accorse le sorelle Elidi, disperate per l’incidente si mettono a piangere. Zeus, dispiaciuto, decide di fermare il loro dolore tramutandole in pioppi, e le loro lacrime in ambra. Ancora oggi, Crespino porta con sé questa leggenda, dando il nome del piccolo dio alla piazza principale, di fronte alla Chiesa dei SS. Martino e Severo.
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t.f.- Edoardo Zuccato
Ma ciò che forse mi colpisce e mi fa pensare, dopo aver ascoltato i poeti leggere e Munaro spiegare, con loro, la trama delle raccolte e dei testi presentati è quel mito, del carro e dell’auriga, o della biga alata, tratta dal Fedro di Platone. Mi pare che spieghi una teoria che ancora oggi è la sostanza della realtà. Serve, infatti, a spiegare la teoria platonica della reminiscenza dell’anima, un fenomeno che durante la reincarnazione produce ricordi legati alla vita precedente. Mi domando se sia questo, ciò che traspare nelle poesie e nelle tante memorie che ho ascoltato, persino nel canto di apertura eseguito dal gruppo musicale di stasera. La storia dell’auriga racconta di un’ipotetica biga trainata da due cavalli: uno bianco, che dovrebbe incarnare la parte dell’anima con pensieri elevati, la parte intellettiva, e un cavallo nero, la parte dell’anima con i pensieri più bassi, le passioni e i sentimenti , i desideri, la parte concupiscente. I due cavalli sono trattenuti per le briglie dall’auriga, che rappresenta la ragione. Il viaggio della biga, diretta verso l’Iperuranio, un luogo a forma di anfiteatro dove risiedono le Idee, deve consentire all’anima di contemplare il più possibile quel luogo e assorbirne la sapienza. Per questo è necessario riuscire a mantenere i cavalli diretti verso l’alto, badando che quello nero non superi l’altro, che va spronato per precipitare il più tardi possibile nella reincarnazione. Chi è precipitato subito rinascerà come una persona ignorante, o comunque lontana dalla saggezza filosofica, mentre coloro che sono riusciti a contemplare l’Iperuranio per un tempo più lungo rinasceranno come saggi e filosofi. Ma, penso, quando ognuno di noi fa questa corsa con la biga, intesa come mezzo per affrontare il viaggio governando con le redini la corsa delle passioni e dei desideri, non c’è mai abbastanza memoria di quel luogo dell’anima alta, spesso, basta guardare questi nostri giorni, la reminiscenza non sembra essere riconducibile all’immortalità, all’anima, sembra che tutto sia sprofondato in una vacua pretesa di governo attraverso la caduta e il viaggio verso l’alto si sia perso, insieme al luogo, alla sua luce. La poesia e la musica, l’arte, mi domando, che da secoli si è fatta carro in questo viaggio, può almeno rinverdirci la memoria?
f.f.- 14 giugno 2010
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t.f.- cortiletto Museo delle Acque
NOTA: basta un clic sulle immagini per ingrandirle
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TESTI PRESENTATI
ULONA di Edoardo Zuccato- Il Ponte del Sale Editore – Rovigo, 2010.
MALIBORGHI di Luciano Caniato- Il Ponte del Sale Editore – Rovigo, 2010.
Riferimenti:
https://cartesensibili.wordpress.com/2010/02/09/ulona-di-edoardo-zuccato/
https://cartesensibili.wordpress.com/2009/04/13/maliborghi-di-luciano-caniato/
un viaggio “interminabile” tra poesia, immagini, suoni, miti e favole
bella la divagazione “casa di Hansel e Gretel” e gradita l’immersione nella teoria della biga alata
alla domanda che poni Fernanda penso tu abbia già dato una risposta con questa presentazione
naturalmente non possono mancare i miei complimenti per la scelta fotografica, molto espressivi i volti degli autori e ben immersi nell’ambiente circostante
a questo punto (non ditemi invadente) chiedo a chi daremo il compito di presentare l’ultima serata visto che Fernanda dovrebbe essere coinvolta “nel vivo” o meglio “più nel vivo”
buona giornata a voi, Elina
è stata una serata all’insegna della sobrietà e dell’incontro, questo certamente. La distanza, poi, ha messo un po’ in crisi quelli che volevano parteciparvi, o forse si sono persi strada facendo!Da parte mia, in tutti gli anni che ho girovagato per il polesine, quel paese mi mancava.Conoscevo la strada,ma non l’avevo mai percorsa fino alla fine.Ora lo so e, dicevo a mio figlio, finché ci arrivavamo, è davvero un angolo di mondo che il mondo deve esssersi dimenticato, per fortuna. Come a dire che è un posto ideale, per chi vuole starsene con la natura.Il Po, da quelle parti, è davvero bellissimo.f
Meno male! cominciavo a preoccuparmi!
…peccato che Tommaso non abbia fotografato la casa di Hansel e Gretel…
Brava FERNI, A SABATO!
no,c’è anche quella ma è un po’ scura,la dovrebbe schiarire. A sabato.f
Ciao ferni, volevo lasciare un saluto.Già l’ho fatto di là, da te, ora anche qui, con la preghiera di non chiudere. Vado in Canada per qualche mese e tu sari come casa mia, anche là. Ti abbraccio e ti ringrazio per la generosità con cui porti a tutti una parola sempre ricchissima di percorsi.Grazie,seba
Ciao Seba.TI AUGURO UN BUON VIAGGIO.MA: anch’io ho necessità di un po’ di silenzio, non credi? Scriverò di tanto in tanto, il blog resterà aperto comunque. Buona fortuna.ferni
ho letto tutte le serate,e penso che tu abbia portato ancora qualcosa in più, rispetto a ciò che si è visto lì, al festival.Grazie per la partecipata passione che metti in ciò che scrivi. Grazie per guardare la vita anche dall’occhiello di una parola. Dario
credo che ognuno di noi, quando partecipa , partecipa con tutto se stesso, le emozioni, i ricordi,i sogni,le idee.Anche la tua lettura è qualcosa in più. La serata ha aperto delle piccole finestre dentro ciascuno degli ospiti credo, le mie, sono quelle che ho portato qui, in questo testo, anche se altro ancora, è rimasto in me, di quel breve lunghissimo viaggio.Grazie,ferni
Due testi, Maliborghi e Ulona, che sono tornato a leggere,con piacere.Soprattutto Ulona mi ha stregato,per quelle sue tinte ora cupe ora di sogno. Corrado
mi hai messo la voglia di andarci in quel paesino.Magari prima o poi ci capito, con la moto.Il Po’ è una delle mie gite preferite. Una bellissima presentazione della serata, con molto ancora in più.peter
Merita, davvero, come gita.Seguendo l’argine del Po o tra i campi, la statale,offrono scorci di grande bellezza, di una armonia che è spesso perduta nelle campagne.ferni
ancora un po’ di esami e poi ho finito! non vedo l’ora di leggere qui, tutte le letture disponibili.Grazie anche per questa, l’ennesima prova di una sensibilità ricchissima.giuly
Il pezzo in apertura mi ha messo i brividi.E poi quello che hai scritto mi ha portato in un mondo che sembra quasi impossibile che esista.Deve certo essere un posto incantevole, per quelli che amano natura acqua e cielo.Grazie ferni.Germana
Lo hanno eseguito le ragazze del gruppo di flautiste che hanno accompagnato la serata. Non l’hanno eseguito con l’enfasi della cantante del video, ma con una voce minuta, flebile, molto vicina, credo, alle donne di qua, stanche per le fatiche nelle campagne, che ancora trovavano un filo di fiato per dire la loro situazione. Ciao Germana.f
letta d’un fiato. sì! se non ci fosse la tua passione a de-scriverla, non potrei farne parte, visto che…
un abbraccio, api
grazie Api per esserti sobbarcata il viaggio. In fondo anche questo è un viaggio lungo lungo…lungo canali e mari e reti fino a queste rive di un fiume antico. Bacio.f
mi scuso per la luminosità di alcune immagini ma ho voluto privilegiare il lato piu artistico della fotografia piuttosto che un semplice resoconto documentaristico delle serate.
piu avanti correggerò le foto per renderle un pochino piu leggibili.
intanto grazie a tutti per la fiducia..
T.
le ho trovate tutte leggibili, il cielo è “leggibile”, i volti con le loro luci e ombre
ne avrai fatte sicuramente tante, ho apprezzato quel cielo iniziale, come nella precedente presentazione
hai dedicato un buon tempo e hai fatto una cosa gradita, sicuramente un’esperienza di conoscenza, diversa
dietro ogni scatto leggo rispetto per il lavoro dei poeti
Elina