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Henry David Thoreau (1817-1862) scrittore, discepolo inquieto di R.W. Emerson, tra i protagonisti del cosiddetto Rinascimento americano, si differenzia dagli altri esponenti del Trascendentalismo[1] per una maggiore aderenza al vero e per configurarsi come naturalista e antropologo. La sua fama è data soprattutto da Walden, l’esperimentodi sopravvivenza di due anni vissuti a stretto contatto con la natura sulle rive del lago omonimo e dal saggio politico Disobbedienza civile, dal quale trassero ispirazione Gandhi e Martin Luther King, eppure egli è stato un autore prolifico se consideriamo le circa seimila pagine di Journal, i molti saggi politici e naturalistici, i resoconti di viaggi e la miriade di appunti sulla storia e sulla cultura indiane che per profondità e ampiezza di orizzonti sono secondi solamente ai Diari.
Emerson mostra di essere un uomo del suo tempo – vede la natura con una visione fortemente antropomorfa e religiosa, l’uomo è il fine supremo, signore e padrone della terra e di ogni forma di vita, espressione di Dio. Thoreau guarda alla natura con grande umiltà, ponendosi sì, come un osservatore privilegiato (l’uomo con la sua consapevole intelligenza), ma facente parte – al pari di ogni altro essere – del mondo naturale, e dunque obbedendo alle sue leggi. Un approccio alla natura di stampo straordinariamente moderno, che lo allontana dal concetto di natura e di scienze allora imperante negli ambienti accademici dell’epoca.
La modernità di Thoreau, come molto opportunamente sostiene la Nocera[2], sta nel fatto che egli, oltre a discostarsi dalla visione trascendentalista e dal concetto emersoniano di Natura, includendo il «fattore umano», vale a dire, l’uomo nella natura, confutava il creazionismo. E’ vero, per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, Thoreau non aderisce alla teoria dell’immobilismo biologico di Agassiz e di Linneo, ma fino a un certo punto. Il creazionismo certo non spiegava la grande variabilità della vita che si manifesta in infiniti modi e che Thoreau vedeva nella natura intorno a sé. Egli accettava però l’idea di un creazionismo iniziale, come vedremo, che si accordava alla sua fede in Dio: di ogni specie erano stati creati in origine dei singoli esemplari, dai quali fossero poi discesi tutti gli altri. In questo “processo” di riproduzione e di diffusione, gli esseri viventi, sia vegetali che animali, adattandosi alle diverse condizioni climatiche e ambientali, si modificavano. Nella nota che segue, riportata nel diario il 18 ottobre 1860, si comprende bene questa particolare interpretazione di Thoreau del creazionismo:
” Vedo ninfee gialle e piante di pontederia in quel piccolo stagno all’estremo sud della Palude di Beck Stow. Come ci sono arrivate? Non esiste corso d’acqua in questo caso. Forse sono stati rettili e uccelli piuttosto che pesci, dunque. Infatti potremmo chiederci come hanno fatto ad andare ovunque, perché tutti gli stagni e i campi sono stati riempiti in questo modo, e non dobbiamo immaginare una nuova creazione per ciascuno stagno. Questo suggerisce di indagare il modo in cui ogni pianta è giunta dove si trova – come, per esempio, siano stati approvvigionati di ninfee, anni fa, gli stagni che ne erano pieni sin da prima della nostra nascita o della colonizzazione di questa città, e lo stesso per quelli scavati da noi. Credo che la nostra unica valida supposizione è che i primi siano stati riforniti alla stesso modo dei secondi, e che non c’è stata un’improvvisa, nuova creazione – almeno non dopo la prima; eppure non ho dubbi che nelle ninfee così seminate in vari stagni si siano gradualmente prodotte peculiarità, variazioni (corsivo mio),più o meno considerevoli, in conseguenza delle loro varie condizioni, sebbene provenissero tutte da un solo seme […] A meno che non mi mostriate lo stagno dove è stata creata la ninfea, crederò che le più antiche ninfee fossili scoperte dal geologo… abbiano avuto origine in quel luogo, in modo simile a quelle della Palude di Beck Stow […] La teoria dello sviluppo implica una maggiore forza vitale nella natura, perché è più flessibile e compiacente, ed equivalente a una sorta di costante, nuova creazione.”
Qui appare oltremodo evidente che Thoreau credesse nel creazionismo, almeno in un “creazionismo iniziale”, pur se l’ultimo passo conferma che avesse intuito il concetto di evoluzione in natura, anche perché supportato dalla lettura dei saggi di Darwin, di cui conosceva oltre a The Yoyage of the Beagle, letto quando era studente ad Havard, The Origin of the species, letto nel 1860, lo stesso anno in cui annotava nel diario questo pensiero.
Qualcuno ha scritto che Thoreau come naturalista non ha apportato nessun contributo significativo, affermazione dalla quale emerge come il pensiero scientifico thoreauviano forse non è stato sufficientemente analizzato dalla critica. In The Succession of forest Trees, resoconto di una conferenza tenuta alla Middleses Agricultural Society nel 1860, Thoreau, con argomentazioni scientifiche, pur se arricchite dal suo estro di poeta e di scrittore, dimostrò come nasce una nuova foresta, laddove è stato tagliato un bosco, confutando la comune idea che indicava nei semi latenti nel terreno l’origine dei nuovi germogli di alberi. Thoreau affermò che fossero alcuni tipi di roditori, come scoiattoli e topolini e degli uccelli a dare vita a una nuova foresta, come apprendiamo da questa nota riportata nel Journal del 24 settembre 1857:
” Ho visto uno scoiattolo rosso correre lungo l’argine sotto gli abeti, con una noce in bocca. Si è fermato ai piedi di un abete e, scavando frettolosamente un buco con la zampa anteriore, ha fatto cadere la noce, l’ha ricoperta e si è ritirato arrampicandosi su una parte del tronco, tutto in pochi attimi. Mi sono avvicinato alla riva per esaminare il deposito e lui, scendendo, ha tradito non poca ansia per il suo tesoro […] Scavando, ho trovato due castagne di terra unite insieme, col guscio verde, sepolte nel terreno per un pollice e mezzo circa, sotto le foglie rosse dell’abete. E’, così, allora, che si seminano le foreste. Questa noce deve essere stata trasportata per almeno dodici pertiche, ed è stata sepolta esattamente alla giusta profondità. Se lo scoiattolo viene ucciso, o trascura il suo deposito, spunterà un albero di noce.”
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In The Succession of Forest Trees, le molte osservazioni raccolte nel Diario da Thoreau nel corso degli anni, diventano infine tesi organica e scientifica:
In questi dintorni, dove querce e pini sono sparsi in maniera più o meno uniforme, se guardate nelle pinete più fitte…di solito vedrete molte piccole querce, betulle e altri alberi di legno duro, spuntati da semi trasportati da scoiattoli o altri animali, ma che sono messi in ombra e soffocati dai pini…Ma quando i pini sono abbattuti, essendosi assicurati le condizioni favorevoli, immediatamente crescono e diventano alberi.
Thoreau è un naturalista ante-litteram poiché, oltre a discostarsi dalla tradizione accademica per abbracciare una concezione della scienza di stampo moderno, con apporti multidisciplinari, include aspetti propriamente letterari e filosofici. Questo particolare modo di intendere la scienza, con una visione dello studio della natura che potremmo definire di carattere ibrido, da poeta-naturalista, in Thoreau si manifesta sin nelle prime opere di storia naturale, vale a direin Le mele selvatiche ein Storia naturale del Massachusetts. Quest’ultima opera nasce quale recensione commissionata dal governo, ma essa presenta ben pochi elementi riconducibili ai canoni tradizionali di stesura dei rapporti di Storia Naturale. La descrizione infatti degli animali e degli ambienti naturali del Massachusetts è resa con l’estro del poeta e accompagnata da ampie digressioni di carattere filosofico, storico e letterario. Possiamo verificarlo già nelle pagine iniziali, quando volendo parlarci degli uccelli di quello Stato, Thoreau lo fa nei modi che gli sono più congeniali: «Gli uccelli che risiedono permanentemente nel nostro Stato, o che solo vi trascorrono l’estate o vi appaiono in visite passeggere, appartengono a circa duecento e ottanta razze diverse. Quelli che svernano tra noi hanno riscosso la nostra più calda simpatia: il picchio muratore e la cinciallegra, che volano insieme per gli antri del bosco, l’uno sgarbatamente starnazzando all’intruso, e l’altra invitandolo con una nota debole e balbettante; la ghiandaia, che schiamazza nell’orto; il corvo che gracchia all’unisono con la tempesta; la pernice bruno legame tra autunno e inverno…».
In queste descrizioni Thoreau indugia molto sui suoni e i canti che emettono i vari tipi di uccelli, un argomento continuamente ripreso che rende la sua Relazione anche in questo originale e diversa da quelle tradizionalmente concepite. Thoreau non manca, per esempio di cogliere nel paesaggio i segni delle attività umane che sembrano inserirsi armonicamente nella natura: «Vicino alla natura le azioni umane paiono diventare più naturali tanto dolcemente si accordano ad essa. Le piccole scorticarie di lino (reti da pesca), stese attraverso le parti basse e trasparenti del nostro fiume, non costituiscono ostacolo maggiore d’una ragnatela al sole. Fermo la barca in mezzo alla corrente e guardo nell’acqua piena di sole, per scorgere le belle maglie della sua rete […] L’intreccio sembra una nuova alga, e, per il fiume, è una bella testimonianza della presenza dell’uomo nella natura, scoperta silenziosamente e delicatamente come l’orma d’un piede sulla sabbia».
Anche in Storia naturale del Massachusetts come in Walden l’impianto descrittivo ruota intorno al ciclo reale e simbolico delle quattro stagioni, con le strategie degli animali e la risposta della natura ai mutamenti climatici. Ciò vale naturalmente per l’uomo che in primavera con lo scioglimento dei ghiacci trova il miglior tempo per la pesca con la fiocina. Thoreau ci racconta allora di come i pescatori di notte si lanciano sulle acque dei laghi o dei fiumi «con il fuoco che schioppetta allegramente a prora» a sorprendere gli inquilini semi-addormentati di quelle città sommerse. La descrizione entusiastica della pesca notturna – che Thoreau stesso molto probabilmente ha praticato – si arricchisce di riflessioni che investono aspetti che oggi definiremmo ecologici, di rispetto della natura e dunque di ogni forma di vita: «…quel viaggiatore (il pescatore) può esercitare la sua abilità sui pesci più lontani e attivi, o fiocinare il pesce che gli è più vicino e riporlo in barca come si fa quando si tolgono le patate da una pentola; oppure può addirittura afferrare con le mani quelli che dormono. Ma presto egli imparerà a scartare queste ultime possibilità, distinguendo il vero oggetto della sua caccia, e troverà così compenso nella bellezza e nell’infinità novità della propria posizione».
Un elemento nel Rapporto che s’impone al lettore, comune agli altri saggi di storia naturale, è l’entusiasmo di Thoreau per la natura, che trasuda come stilla di rugiada da ogni pagina. Pensiamo alla descrizione poetica che ci fornisce degli amenti del salice e dell’ontano: «…Si potrebbe vivere nella natura selvaggia con il cuore pieno di gioia, se fossimo sicuri di trovare i piumetti del salice e dell’ontano. Quando leggo di loro nelle relazioni degli avventurieri del Nord, vicino alla baia di Baffin o al fiume Mackenzie, mi rendo conto che potrei vivere anche in quei luoghi. Essi sono i nostri piccoli redentori vegetali. Penso che la nostra virtù resisterà fino al loro ritorno. Meritano d’essere stati scoperti da degli dei superiori a Minerva o Cerere. Chi fu la dea benigna che li concesse all’umanità?».
Sono le tematiche care a Thoreau intorno alla natura della scienza che deve essere materia viva, portatrice di umana esperienza, come Thoreau stesso alla fine della Relazione ci ricorda, prendendo le distanze da quei libri che «trattano, principalmente, di misure e di descrizioni minute, cose che non interessano il lettore medio: solo ogni tanto hanno una frase colorita, per ridestare l’attenzione. Assomigliano a quelle piante che crescono nel buio della foresta e che producono solo foglie, senza fiori…».
Emerge da queste considerazioni come Thoreau si muove sempre al confine tra filosofia, scienze e poesia, attento a ricercare un connubio tra esperienza e scrittura e, soprattutto attento a trovarvi lo spirito d’umanità, senza il quale tutto sembra essere perduto.
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Che cosa ricerca Thoreau nella natura? Ogni singolo fenomeno naturale e ogni essere vivente sono importanti tasselli di quel grandioso libro della vita e dei processi biologici che egli cerca di leggere e di interpretare, per poterli infine scrivere e cantare. Solo il poeta è in grado di farlo. Nella natura non c’è posto per l’uomo civilizzato, poiché allontanandosi si è irrimediabilmente guastato, rapportandosi ad essa con cinismo e distruttività. L’uomo in natura esiste e indica nell’indiano il modello archetipo, in quanto rappresenta la perfetta simbiosi, colui che in essa si inserisce in modo sano ed armonico. La grandezza del poeta di Concord sta anche in questo, nell’aver guardato agli indigeni del nuovo mondo con spirito d’umanità e con una visione moderna, da antropologo, averne studiato la cultura, le tradizioni, il linguaggio e il loro singolare rapporto con la natura; nell’aver denunciato nel contempo l’insensibilità e la miopia degli stessi intellettuali dell’epoca, che quasi senza distinzione consideravano gli indiani esseri inferiori e la crudeltà con la quale i bianchi trattavano le popolazioni autoctone:
“E’ lo spirito d’umanità, quello che anima i cosiddetti selvaggi non meno dei popoli civili, che opera attraverso l’uomo, a interessarci di più, non l’individuo che esprime se stesso. Il pensiero di una tribù detta selvaggia è sovente più giusto di quello di un unico uomo civile.
…La brutalità del selvaggio non è che un pallido fantasma della spaventosa ferocia che spinge gli uomini civili l’uno contro l’altro.”
Taluni hanno parlato degli indiani con sufficienza, come di una razza che possiede ben poca intelligenza o abilità, così bassa nella scala dell’umanità e così selvaggia da meritare a malapena di essere rammentata – ed hanno usato i termini “miserabile”, “penosa”, “disgraziata” ed altri consimili per designarla. Nello scrivere la “loro” storia di questo paese si sono rapidamente sbarazzati di questo rifiuto umano (come avrebbero potuto definirlo) che aveva imbrattato e profanato le sponde e l’interno del nostro continente. Ma se perfino gli animali indigeni son per noi fonte d’inesauribile interesse, quanto più interessanti dovrebbero essere gli uomini indigeni d’America! Se degli uomini selvaggi, assai più simili a noi di quanto non siano dissimili, hanno abitato prima di noi queste lande, noi vogliamo sapere con ogni dettaglio di che specie di uomini si trattava, e come vivessero in questi luoghi, e quale fossero i loro rapporti con la natura, la loro arte, i loro costumi, le loro leggende e le loro superstizioni. Essi remavano su queste acque, vagavano per questi boschi, ed avevano leggende e credenze legate al mare e alla foresta, storie che ci dovrebbero interessare almeno quanto le favole dei popoli orientali. Avviene di frequente che lo storico, pur professando una maggiore umanità del cacciatore, del montanaro, del cercatore d’oro che sparano alle creature come se fossero bestie feroci, in verità dimostri una simile mancanza di umanità, solo usando la penna anziché il fucile.
Riguardo al tragico destino dei nativi d’America, Thoreau si pone dunque come una voce fuori dal coro, in un periodo in cui la conquista dell’Ovest conosceva il suo volto più feroce, quello della sistematica persecuzione dei legittimi abitanti, considerati alla stessa stregua di animali nocivi e dunque brutalmente annientati.
L’interesse di Thoreau per gli indiani d’America è di una tale profondità e ampiezza di orizzonti da costituire un documento di eccezionale valore antropologico, nel senso più moderno del termine: gli appunti sulla storia e sulla cultura indiane raggiungono duemila e ottocento pagine a formare i dodici quaderni degli Indian Notebooks, solo in minima parte tradotti. Emerge da questa miriade di appunti e riflessioni sugli indiani, la volontà dello scrittore di scrivere un’opera di ampio respiro e di carattere antropologico di cui ci ha lasciato il titolo, My Own Ante-Columbian History e un possibile primo capitolo, First Aspect of Land and People, che denotano chiaramente il suo profondo interesse per i nativi d’America che negli anni aveva acquisito una valenza scientifica.
L’oggetto di interesse antropologico è l’indiano, simbolo della vita selvaggia, capace di sopravvivere grazie alla sua straordinaria capacità di adattamento all’ambiente, all’abilità fisica e ad una maggiore saggezza e conoscenza della natura. L’indiano al contrario dell’uomo bianco, mostra rispetto della natura: i simboli, i miti e le leggende di cui è intrisa la sua cultura ne sono una prova significativa e suggestiva. Thoreau ammira dell’indiano la sua capacità di resistenza, di camminare silenziosamente su qualsiasi terreno, di sapersi orientare perfettamente nei luoghi più selvaggi; ammira la sua abilità nel leggere le tracce degli animali selvatici, di essere in grado di costruirsi una canoa, una tenda o dei mocassini con la corteccia di betulla, di procacciarsi il cibo, pescando, cacciando o raccogliendo bacche. Ammirazione che ravvisiamo dalla sistematica, rigorosa passione che Thoreau impiega per documentarsi e per osservare direttamente e descrivere la vita dei nativi americani. Thoreau è sul piroscafo sul lago Moosehead, nel suo secondo viaggio nel Maine e non manca di cogliere degli indiani i loro migliori sensi:
“L’indiano Saint Francis doveva prendere a bordo qui suo figlio, ma all’approdo non c’era. Gli occhi acuti del padre avvistarono di lontano, a sud della montagna, una canoa con il ragazzo, che nessun altro fu in grado di distinguere. – Dov’è la canoa? Chiese il capitano. – Non la vedo -, ma ugualmente attese, e di lì a poco la canoa comparve.”
Ancora in Chesuncook, Thoreau ci descrive la vita in un accampamento di cacciatori indiani, il modo di affumicare la carne di alce sopra una specie di trespolo, le pelli dello stesso animale tese ad asciugare su dei pali, il sistema di costruzione delle tende:
” Era difficile immaginare, nel suo insieme, uno spettacolo più selvaggio, e mi sentii improvvisamente trasportato indietro di trecento anni. C’erano anche molte tracce di corteccia di betulla pronte per l’uso, sagomate come piccoli corni diritti, appoggiate sopra un ceppo fuori dalla tenda.”
E, seguendo attentamente le conversazioni nella loro lingua e ponendo loro molte domande sui significati dei nomi dei luoghi visitati, Thoreau antropologo osserva:
” Non c’è prova più evidente del fatto che siano una razza distinta e autoctona, del loro linguaggio tipico, inalterato nel tempo, che l’uomo bianco non sa né parlare né comprendere. Possiamo supporre cambiamenti e degenerazioni in quasi ogni altro aspetto della loro vita, tranne che nel linguaggio, rimasto totalmente inintelligibile. Mi stupii nel constatarlo, sebbene avessi raccolto molte punte di freccia e mi fossi ormai convinto che gli indiani non erano un’invenzione di qualche storico o di qualche poeta. Era il suono puro, selvaggio e primitivo dell’America, esattamente come l’abbaiare di un chickare, di cui non capivo una sillaba, ma se Paugus fosse stato lì, non avrebbe capito. Questi Abenaki vociavano, ridevano, gesticolavano nella loro lingua in cui era stata scritta la Bibbia indiana di Eliot, la lingua che – quanto a lungo nessuno può dirlo – si parlava un tempo nel New England. Erano i suoni che uscivano dai wigwam di questo paese prima che Colombo venisse alla luce; non si sono ancora spenti e con pochissime eccezioni la lingua dei loro antenati è ancora ricca e diffusa. Avevo l’impressione di stare, o meglio di giacere, quella notte, accanto all’uomo primitivo americano, così com’era accaduto a tutti coloro che avevano scoperto quelle terre.
Lo scopo dei viaggi di Thoreau nel Maine era, oltre quello di penetrare la natura selvaggia, la wilderness e di vedere come il pino «vive e cresce», di conoscere e studiare i modi di vita degli indiani. Joe Aitteon, per esempio, la guida indiana assoldata nel secondo viaggio di Thoreau nel Maine, è oggetto di un attenta osservazione: «Scrutavo i suoi movimenti da vicino, ascoltavo attentamente le sue osservazioni; se avevamo assunto un indiano era soprattutto perché io avessi l’opportunità di studiarne il comportamento…». E’ da dire subito che le aspettative di Thoreau di trovare in Joe un modello di indiano da studiare sono piuttosto deluse, in quanto la guida aveva perso molte delle abitudini e delle abilità dei suoi simili. Thoreau quando gli chiede «come le centine fossero saldate ai parapetti orizzontali» (della canoa), Joe risponde di non saperlo, di non averci mai fatto caso. E della possibilità di vivere nei boschi contando sulla propria abilità di cacciatore e di procurarsi i frutti che la foresta poteva offrire, «come avevano fatto i suoi antenati», egli risponde semplicemente che «non avrebbe mai potuto fare altrettanto», poiché aveva vissuto diversamente. L’indiano però conserva dei suoi antenati selvaggi una certa abilità che Thoreau ha modo di osservare e di descrivere durante la battuta di caccia all’alce: «Risalì rapidamente l’argine e si inoltrò nei boschi, procedendo con una particolare andatura, elastica, silenziosa e furtiva, osservando il terreno a destra e a sinistra…Un’altra volta, quando udimmo un lieve scricchiolio di rami, ed egli scese a terra a perlustrare, lo vidi camminare con molta grazia e leggerezza, insinuandosi furtivamente tra i cespugli facendo il minimo rumore possibile, come nessun uomo bianco avrebbe saputo fare, scegliendo ogni volta il punto giusto dove appoggiare il piede».
Nel terzo viaggio nel Maine, il cui resoconto è The Allegash and East Branch, Thoreau conoscerà Joe Polis, la guida indiana che maggiormente rispecchierà il modello archetipo concepito dall’autore e dunque incontrerà il suo ideale di uomo, l’uomo in natura.
Thoreau sembra sorprendentemente anticipare i concetti fondanti dell’antropologia moderna fissati nel 1871 da E.B.Tylor con la pubblicazione di Primitive Culture: «La cultura o civiltà, intesa nel suo più ampio senso etnografico, è quell’insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro della società». Occorre evidenziare il fatto che Taylor è uno spirito particolarmente illuminato, rispetto a diversi studiosi dell’epoca, i quali, interessandosi alle culture umane primitive, lo facevano tradendo una visione fortemente eurocentrica.
L’antropologia moderna ha ampliato i confini attraverso un approccio metodologicamente complesso ai diversi campi di indagine, con un apporto di elementi provenienti da altre discipline, quali l’etologia, la biologia, la sociologia, ma anche la filosofia. Thoreau può essere considerato a giusto titolo un precursore dell’antropologia moderna, poiché si è accostato alla conoscenza degli indiani d’America con la giusta sensibilità, dimostrando di aver compreso l’importanza di uno studio multidisciplinare: è significativa a questo riguardo l’attenzione che egli riserva al linguaggio degli indiani Penobscot.
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Tom Chambers- entropic kingdom heros
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BIBLIOGRAFIA
Ianniciello, Riccardo., Henry David Thoreau: la filosofia dell’essere, Bologna: Arianna Editrice, 2009.
Ianniciello, Riccardo., Elogio della semplicità – Henry David Thoreau: la Natura come musa ispiratrice, Salerno: Galzerano Editore, 2008.
Matthiessen, Francis O., Rinascimento americano, Torino, 1954.
Meli, Francesco., La Letteratura del luogo, Milano: Arcipelago Edizioni, 2007.
Meli, Francesco. (a cura di), Henry David Thoreau, Le foreste del Maine (Chesuncook), Milano: SE Edizioni, 1999.
Meli, Francesco. (a cura di), Henry David Thoreau, Disobbedienza civile, Milano: SE Edizioni, 1992.
Meli, Francesco. (a cura di), Henry David Thoreau, Camminare, Milano: Mondadori, 1991.
Nocera, Gigliola., Il linguaggio dell’Eden: natura e mito nell’America di Thoreau, Milano: Giovanni Tranchida Editore, 1998.
Omodeo, Pietro. (a cura di ), Charles Darwin, Viaggio di un naturalista intorno al mondo, Milano: Feltrinelli Editore, 1967
Sanavio, Piero. (a cura di), Henry David Thoreau, Walden, ovvero Vita nei boschi, Milano: Rizzoli, 1996.
Sanavio, Piero. (a cura di), Opere scelte, Venezia: Neri Pozza Editore, 1958.
Tedeschini Lalli, B. (a cura di), Henry David Thoreau, Vita di uno scrittore, (I Diari), Vicenza: Neri Pozza Editore, 1963.
Tedeschini Lalli, B., Henry David Thoreau, Roma: 1953.
Thoreau, H.D., L’agire del mondo, a cura di Laura Dassow Walls, Roma: Donzelli Editore, 2008.
Thoreau, H.D., The Journal of Henry D. Thoreau, a cura di Bradford Torrey e Francis H. Allen, 1949 – Houghton Mifflin Company – Cambridge – Massachusetts.
[1]Movimento filosofico letterario nordamericano del XIX secolo con caratteri simili a quelli del Romanticismo europeo. Tra i principali esponenti, R.W.Emerson, M.Fuller, B.Alcott e W.E.Channing. Il Trascendentalismo metteva in discussione i principi del Razionalismo settecentesco e del Dogmatismo puritano che permeavano la cultura americana.
[2] G. Nocera. Il linguaggio dell’Eden: natura e mito nell’America di Thoreau, Milano: Giovanni Tanchida Editore, 1998.
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Riferimenti sull’autore e bibliografia.
Riccardo Ianniciello, scrittore e saggista, ha pubblicato per Galzerano Editore, Passeggiando (e pensando) nelle terre del Bussento (2007); Elogio della semplicità – Henry David Thoreau: la Natura come musa ispiratrice (2008).
Collabora a La Repubblica di Napoli in qualità di critico letterario.
Relativamente a H.D.Thoreau ha pubblicato
EBOOK – Henry David THOREAU: la Filosofia dell’Essere- Macroedizioni.it
http://www.macroedizioni.it/ebooks/henry-david-thoreau-la-filosofia-dell-essere.php
Ringrazio con particolare calore Riccardo Ianniciello, per averci inviato questo suo saggio. Come già ho avuto modo di dirgli, Thoreau è un autore di cui sento vive in me le osservazioni e le affermazioni. Tagliano la consuetudine di abitare i luoghi ritenendoli un naturale possedimento di chi detiene ” la cultura della logica” e innescano la miccia della responsabile condivisione della vita ad ogni livello e in qualunque dislocazione la si “abiti”.
fernanda
il saggio è denso, fitto di richiami da percepire e praticare
“Che cosa ricerca Thoreau nella natura? Ogni singolo fenomeno naturale e ogni essere vivente sono importanti tasselli di quel grandioso libro della vita e dei processi biologici che egli cerca di leggere e di interpretare, per poterli infine scrivere e cantare”.
Da approfondire, chiarissimo
Elina
Un ottimo, interessantissimo saggio su uno scrittore, filosofo – di – vita e natura che amo da sempre. Da approfondire, senza dubbio.
“Trascrivere la natura e la storia che in essa si incide; scrivere dunque, come gesto vivo, scrivere come vigoroso atto d’amore verso la realtà, come espressione di una totale esigenza di realtà”
Thoreau
Desidero ringraziare Fernanda Ferraresso per la squisita attenzione mostrata nei miei confronti. Sono gratificato sapendola sensibile poetessa e competente cultrice di H.D.Thoreau. Riccardo Ianniciello
Oggi, 25 aprile, è giornata di grandi e durissime memorie. Ricordare nel 2010, purtroppo,significa ancora esibire una giornata in cui si sperpera la retorica su ciò che è STATO, su ciò che è luogo, ed è stato in luogo di troppi morti, che ancora continua ad imbastire col filo della distruzione ogni tipo di rapporto con l’ambiente e con le etnie che abitano il pianeta, con le specie che stanno estinguendosi per mancanza di attenzione, per tutto ciò che non ha rispetto per il luogo, che supera i limitatissimi confini di ciascuna nazione, di ciascuna edizione ed esibizione di un potere che nessuno ha realmente. Oggi gli scritti di Thoreau, ma anche di Gandhi e M.L.King, di Krishnamutri e di tutti gli altri che hanno portato la parola oltre il muro di se stessi è un fatto, non è una teoria, non è idolatrare utopie, è necessità.Se l’uomo non apre il fondo di se stesso e se non lo guarda e vede il suo precipizio, allora anche l’uomo è una specie in via di estinzione.Se non capirà che comincia dal cambiamento di se stesso tutto è solo vuoto.
Ringrazio Riccardo Ianniciello per quanto ha offerto alla nostra riflessione.fernanda f.
questo articolo è arrivato anche qui:
http://www.bryantmcgill.com/interests/~Henry_D._Thoreau/
Complimenti,Hai scritto cio che ho sempre pensato ed è una vergogna che “appunti indiani” di Thoreau non venga tradotto visto che rappresenta uno straordinario saggio umano e antropologico soprattutto se unito alle citazioni che Thoreau fa agli indiani nelle altre sue opere