Ci propone Due poemetti, Luigi Bressan, un’opera di Gabriele Ghiandoni, e di lui ci offre uno sguardo dalla posizione prospettica di Francesco Piga, di cui si può leggere, di seguito, anche una presentazione delle opere giovanili del medesimo poeta. Per introdurci nel mondo di questo autore si è raccolta in rete anche la presentazione di qualche testo dalla raccolta di poesie di cui qui sotto si vede il frontespizio e la prefazione già citata.
Le prime raccolte poetiche di Gabriele Ghiandoni
Il libro più recente di Gabriele Ghiandoni, Poesie a Fano (Edizioni lacerqua, 1992), è composto da liriche scritte in dialetto fanese. La scelta di usare il linguaggio della città natale, trasformato, è conseguente al percorso culturale e poetico che Ghiandoni andava facendo fin dalle prime esperienze di scrittore e di critico letterario.
A contraddistinguere sia le poesie in lingua, dall’iniziale raccolta In cima al mare ( Maggioli, 1986), sia le prose, da Idillio marinaro (Maggioli, 1987), era proprio la grande capacità nel reinventare i modi di dire del dialetto di Fano, nel fare entrare in gioco le tante valenze che il dialetto può avere all’interno della lingua italiana.
Come dimostrano i suoi molti interventi critici su varie riviste letterarie, lo scrittore è particolarmente attento alle culture locali, e ben consapevole del concetto diverso e più esteso della lingua che si ha nel Novecento, di quel plurilinguismo con cui meglio esprimere condizioni esistenziali estremamente complesse e tentare di valicare i confini della realtà e delle apparenze.
Ghiandoni sa che non basta limitarsi al recupero del linguaggio arcaico, degli usi gergali, dei modi di dire popolari, bensì necessita l’intervento colto del poeta sulla parola, la forzatura barocca, la rielaborazione che faccia scaturire quei bagliori improvvisi con cui richiamare dal nulla le immagini. E’ l’operazione orfica di un poeta che si è inventato una propria lingua. Ora può dire di una realtà che il flusso della memoria e della coscienza gli riporta, seppure frantumata e travisata: i luoghi, le persone e le cose, di un passato ormai perduto.
In un volume dal titolo Sulle immagini. Fano d’antan (Editrice Flaminia, 1990) la Fano che Ghiandoni tenta di descrivere, con i mestieri e le osterie, la vita del porto e quella della campagna, è un paese senza contorni reali, perso nella fantasia fra ricordi e sensazioni.
Eppure l’entità dell’opera di Ghiandoni non si misura soltanto in queste prospettive perchè in lui, forse per la sua formazione di matematico, è una forte attenzione al dato oggettivo, alla razionalità che comunque vuol trovare un suo spazio fra ciò che è ambiguo e simbolico.
E’ significativo a questo proposito il bel volumetto Veleni (Edizioni L’Obliquo, 1991) dalla scrittura molto personale tra prosa e poesia, quasi aforismi, frammenti in cui è ben impressa la realtà, con tutti quelli elementi chimici, animali e piante, che sprigionano veleni, presenze di un mondo ben tangibile.
In Veleni sono lucidi i ricordi del nonno, amico e maestro di saggezza, nume tutelare di un mondo che il nipote può recuperare e rivivere soltanto attraverso le lenti deformanti della memoria e dell’operazione culturale.
Lo scrittore ha l’abilità di ben cesellare le schegge di realtà continuamente distorte nel processo memoriale, testimonianze dell’attimo fuggente, dell’apparenza, di ciò che è stato vissuto con amore e discernimento.
Queste esperienze di scrittura fatte da Ghiandoni hanno dunque una validità e un supporto teorico che trovano naturale espressione nelle poesie in dialetto.
L’autore in un intervento critico metteva in guardia dicendo che “l’impiego del dialetto va fatto con cautela per evitare la figura dell’apprendista stregone” (1). Considerando l’iter culturale percorso prima di scrivere in dialetto, Ghiandoni ha mostrato la giusta cautela.
La prima poesia a Fano è programmatica del dialetto: “Na scritura legera/sopra el mur/na bava bianca/ che porti drenta”.
Il linguaggio ora si riduce all’essenzialità, a poche parole che sembrano preludere al silenzio finale.
Ma in queste larve di segni sono brandelli di ricordi, richiamati ora da un suono ora da un colore. Esemplare è il pépé della tromba di Varisto el carbunàr, che riecheggiava anche nei testi in lingua e perfino nelle pagine di critica letteraria.
Vi è la scontentezza del presente, prefigurato dalla pianura coperta di fiori secchi là dove i ragazzi un tempo si inventavano giochi.
L’epigrafe di Poesie a Fano è la Dedica di Pasolini a Poesie a Casarsa, epigrafe e titolo che richiamano un poeta particolarmente congeniale a Ghiandoni per l’uso del dialetto e per quei temi che sottende, il voler risvegliare il tempo mitico, astorico e poetico dell’infanzia, e recuperare le memorie della terra madre.
Francesco Piga
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fabio amadei
I testi che seguono sono tratti da Due poemetti- Edizioni Lacerqua, 2007.
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Cantata di fine estate
“E’ triste d’autunno quando tutto muore e si sfoglia,
è triste durare più delle cose.”
(Fabio Tombari, “Il martin pescatore”,in Il libro degli animali)
…cu vol dì caminà immobile sota l’onda
sonora del torrente mentre el sol cur sota
tera?
In tl’aqua apar ferma la vibrazione nasco-
sta dal canto-ruggine dei ragazzi.
Tla strada assolata senti la salina dl’aria
calpestata da le mâchin in fuga. Aspro è
l’odore che resiste tra folate vertiginose del
vento di garbino.
Lungo l’argine del torrente la pietra si
apre al sole: un crucâl assetato crolla con
le sue ali di falce, inghiottito dalla corrente
…cu vol dì caminà, cosa significa camminare
el sol cur sota tera, il sole corre sotto terra
Tla strada assolata senti la salina dl’aria calpestata da le mâchin in fuga,
Sulla strada assolata senti il sale dell’aria calpestata dalle automobili che
corrono veloci.
*
I. Avanti-indietra ogni giorn
in tla campagna, a segnare
la fin dl’estat. Luoghi visitati
pensati conosciuti; eppure
ignoti.
Cu ce sarà tla siep
verda che nascond
el mont de Pinochi?
La casa roscia vista
tant volt, el camp da tir
al piatèl…
– la stanza dei fantasmi –.
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I. Avanti-indietro ogni giorno / nella campagna, a indicare / la fine dell’estate.
Luoghi visitati / pensati, conosciuti; eppure / ignoti // Cosa ci sarà nella
siepe / verde che nasconde / il monte di Pinocchio? / La casa rossa vista /
tante volte tante volte, il campo del tiro / al piattello… / – la stanza dei fantasmi
*
II. Ancora lontana la fonte
della salute: i vechi
beven l’acqua e riden
cuntenti…
Qui sarà fuggito lo stupido
Asdrubale, caduto sopra
un fil de spranga teso
longh el fium mentre
cercava di raggiungere
il difficile guado?
Fil de spranga… long el fium, filo di ferro… lungo il fiume
*
III. Dietra la chiesa
sa i madón fati a man
grigi, impilati 1 a 1,
nascosta dalla cérqua giganta
è l’Arzilla indó faceva
el bagn tle gorg;
pescava sa la ret
qualca lasca
– la pesca del miracolo –.
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III. Dietro la chiesa / costruita con i mattoni fatti a mano / grigi, impilati 1
a 1, / nascosta dalla quercia gigante / è l’Arzilla dove faceva / il bagno nelle
gorghe; / pescava con il retino / qualche lasca / – la pesca del miracolo –.
*
IV. Domina la collina
la villa coi Nani:
“Che ci sarà laggiù?”
Sopra el camp del granon
piatto lunare, dó mâchin
arbaltàt, a gamb a pr’aria:
le rot lent, abbagliate
dal sole.
Sopra il campo di granoturco / piatto lunare, due macchine / rovesciate, a
gambe all’aria: le ruote lente, abbagliate / dal sole.
*
V. Una macchia di cemento
un intrigo di vicoli sciatti
– chi lavora chi dorme chi gioca –
Poi le fonti di Carignano:
passeggiano sicuri del liquido oleoso.
Nel parco non filtra la luce del sole,
incapace di riscaldare la stanca lucertola.
*
VI. E’ la fonte degli eroi e
dell’eterna gioventù.
Un capanon svòid, scheletro-
tempio moderno
del non finito allarga
la vista sulla collina solitaria
Un capanon svòid, Un capannone vuoto
*
VII. El fabre dla Trâv*,
l’officina favolosa: oltre
di essa Finisterre le campagne
deserte, poche case isolate
nascoste dietra l’aia larga indó
el purcel gioca sal pavon:
quasi un idillio.
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El fabre dla Trâv*, Il fabbro della Trave, località alla periferia di Fano che
costeggia il torrente Arzilla.
dietra l’aia larga indó / el purcel gioca sal pavon, dietro l’ampia aia dove / il
maiale gioca con il pavone
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… la mâchina roscia scura attraversa
la piana sensa un alber;
la collina con due campanili
opprime la città.
– una zolla d’erba sul sentiero –
un ricordo: le pitture nere nella casa-carcere.
In mezzo alla radura un grattacielo.
Dal decimo piano guarda in basso:
solo macchine vertiginose.
In alto S. Luca e i suoi 600 archi
illuminati dai bambini in corsa.
Note sull’autore-
Gabriele Ghiandoni nasce a Fano nel 1934 , ha conseguito la laurea in ingegneria al Politecnico di Milano.
Ha pubblicato per Maggioli di Rimini:
-In cima al mare (1986)
-Idillio marinaro (1987)
-Fano, una città, un racconto (1987)
-Il peso della trasparenza (Pesaro, Flaminia, 1988), con una nota di E. Bellucci
-Trattatello di geometria fantasiosa (Siena, Barbablù, 1989)
luoghi (Brescia, L’Obliquo, 1990) con un commento di M. Ferri
-La vacanza a mare (Pesaro, Flaminia, 1991) con una notizia di E, De Signoribus
Veleni (Brescia, L’Obliquo, 1991) con una presentazione di A. Lolini
-Poesia a Fano (Fano, Lacerqua, 1992) con una nota di G. Neri
-Fì a tors (Ravenna, Longo, 1994) introdotta da A. Serrao
-El viag (Fano, Lacerqua, 1995)
-Da per lu sol (Faenza, Mobydick, 1996) con una postfazione di M. P. Ambrosetti
-In cima al mare/bis (Fano, Lacerqua, 1996) con una nota di G. Bellosi
-El cimiter tla campagna (Fano, Lacerqua, 1997) con uno scritto di E. De Signoribus.
Ghiandoni è intervenuto nella “costruzione” testuale di varie plaquettes tra il 1987 e il 1994 con xerigrafie, incisioni ed acqueforti di E. Ricci, T. Ghiandoni, W. Gambelli e C. Fayer.
Dirige insieme a E. Bellucci e M. Ferri l’almanacco di letteratura “Cartolaria”.
Riferimenti:
http://www.fondazionecarifano.it/Progetti/DueCitta/DueCittaGhiandoni.pdf
sembra, in queste poesie, che ogni riga di scrittura sia un segno preciso in terra, per tanto concluso, imperativo, pregno. Intendo dire che ogni verso potrebbe respirare di vita propria e ci si potrebbe sostare come sotto l’ombra di un albero, o il suono di fosso che scorre, o la parola di una rana lasciata per strada mentre tu eri là, nella stessa situazione di un mattone su una pare-te, e tutto ti sostanzia, tutto ti è indispensabile, persino il cedere, il morire, anche ciò che pesa.ferni
Sento un dolore profondo, tra queste poesie e sento anche, in questa tragica lettura del mondo, il legante che da’ la vitalità alla nostra esperienza di esseri caduchi.
Gabriel
Dietra la chiesa
sa i madón fati a man
grigi, impilati 1 a 1,
nascosta dalla cérqua giganta
è l’Arzilla indó faceva
el bagn tle gorg;
pescava sa la ret
qualca lasca
– la pesca del miracolo –.
E’ quell’iniziale “dietro la chiesa” che apre al miracolo della vita, miracolo che si compie dovunque, che è la vita stessa.
Ringrazio per la proposta. Nicolò
anche se con qualche difficoltà nel leggere il dialetto, ho comunque sentito di partecipare a queste letture della vita, del mondo che ci ospita ma, spesso, non ospitiamo in noi. Jacopo